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2022-07-07
Dietro la ricostruzione dell’Ucraina c’è la gara ai suoi immensi giacimenti
Ora dovrebbero averlo capito tutti (anche quelli che l’hanno snobbata), che la conferenza di Lugano non è stata una semplice passerella perché durante i lavori, ma soprattutto lontano dalle telecamere e dai giornalisti, sono state scritte le prima pagine di quel gigantesco e costosissimo libro che sarà la ricostruzione dell’Ucraina.
Come vi abbiamo raccontato ieri il premier ucraino, Denys Shmyhal, ha mostrato una cartina nella quale si leggeva la sua proposta evidentemente concordata con altri su chi si occuperà (zona per zona) di ricostruire l’Ucraina. Il business della ricostruzione, quando questa avverrà, sarà gigantesco perché la stima che gli stessi ucraini hanno previsto è pari ad almeno 750 miliardi di dollari, anche se gli analisti prevedono che non basteranno a ricostruire un Paese che, mentre scriviamo, è ancora sotto le bombe. Ovvio che chi si candida a ricostruire il Paese pensa anche alle sue immense risorse che di certo, in qualche caso, passeranno di mano. E non saranno quelle italiane… come vedremo.
Che l’Ucraina sia un importante produttore di grano è un fatto assodato visto che ne produce decine di milioni di tonnellate mentre meno si sa di quello che c’è sottoterra. Partiamo da un dato: malgrado rappresenti soltanto lo 0,4% della superficie terrestre, ben il 5% delle risorse a livello globale sono presenti in Ucraina, per un valore di 7,2 trilioni di dollari. Sono contenute in circa 20.000 depositi di cui solo 7.800 sono stati sviluppati e 3.300 sono in fase di esplorazione con la presenza di 194 minerali.
Nel sottosuolo ucraino troviamo gas (1,1 trilioni di metri cubi), petrolio (135 milioni di tonnellate), argilla (caolino, argille plastiche ed argille refrattarie), minerale di ferro (2.3 miliardi di tonnellate) e carbone (34 miliardi di tonnellate primo Paese in Europa, al 7° posto nel mondo), manganese (tra i primi dieci produttori al mondo, nel 2020 la sua produzione è stata di 550.000 tonnellate). E che dire dell’uranio? Sebbene la sua produzione sia diminuita nel 2020 e nel 2021, la società ucraina di estrazione dell’uranio VostGok ha storicamente prodotto fino a 830 tonnellate di uranio all’anno. Il piano delle autorità ucraine per l’indipendenza dall’approvvigionamento dell’uranio prevede l’utilizzo della miniera di Smolinskaya, situata nella regione di Kirovograd in Ucraina (qui troviamo i norvegesi), fino al 2023 e della miniera di Ingulskaya, la più grande delle miniere di uranio dell’Ucraina, situata nel villaggio di Neopalimovka sempre nella regione di Kirovograd fino al 2028 in attesa di rendere operativi i nuovi progetti di Severinskiy e Safonovskiy.
Ma non è tutto, come ci conferma l’ingegnere minerario Giovanni Brussato: «Innanzitutto va detto che sulle riserve, cioè sui depositi non ancora coltivati, ovviamente c’è un certo riserbo sulla posizione esatta quindi, solitamente, viene fornita la regione o un’area geografica approssimativa. Poi», continua Brussato, «le riserve di ferro in Ucraina sono davvero vaste. Nel gennaio 2015, negli 80 giacimenti ucraini si potevano trovare 6,5 miliardi di tonnellate di riserve di minerale di ferro grezzo. Allo stato attuale, solo 30 di questi depositi sono in fase di sviluppo. Tuttavia, nonostante 50 giacimenti non siano stati sviluppati, l’Ucraina è il settimo produttore mondiale di minerale di ferro, con una quota totale del 3,4%. Gran parte di questo minerale si presenta sotto forma di magnetite e si trova principalmente nell’oblast di Poltava nell’Ucraina centrale». Anche il settore dell’alluminio trova importanti interessi in Ucraina e i seguenti tipi di minerali sono considerati i più preziosi per l’industria dell’alluminio: quelli di bauxite si trovano nel deposito di Vysokopillia nel centro di Dnipropetrovsk, l’alunite a Zakarpattia (sud-ovest) mentre quelli di nefelina sono vicino al Mar d’Azov (sud-est). Anche le risorse di titanio identificate in Ucraina sono economicamente interessanti: nel bacino del fiume Samotkan ci sono riserve significative da estrarre.
Nella cartina presentata da Denys Shmyhal non si dice chi dovrebbe operare in questa zona, che non è certo secondaria perché è la storica regione ucraina produttrice di minerale di ferro e la più grande fonte singola di ferro nell’ex Unione sovietica come ci conferma Brussato: «È una stretta striscia lunga circa 100 km e larga 2-7 km, che si estende attraverso l’oblast di Dnipropetrovsk occidentale dalla città di Zhovti Vody a nord a Inhulets a sud, il bacino copre un’area di circa 300 kmq. La città di Kryvyi Rih è il principale centro industriale della regione. Da questo bacino sono stati estratti centinaia di milioni di tonnellate di minerale di ferro e, pur in presenza di un calo della qualità del minerale il cubaggio, resta di assoluto rilievo». E chi se ne occuperà? Il suo nome non è stato scritto, ma di sicuro c’è che non saranno più gli ucraini. Altro gigantesco business che fa gola a tutti, compreso Vladimir Putin, è quello dell’oro: il bilancio statale delle riserve minerarie dell’Ucraina tiene conto delle riserve auree in sei depositi: Muzhievskoe, Saulyak nella regione transcarpatica, Bobrikovskoe nella regione di Luhansk (dove ci saranno Svezia, Finlandia e Cechia), Sergeevskoe, Balka Zolotaya nella regione di Dnipropetrovsk e Klintsovskoe nella regione di Kirovograd. Si stima che l’Ucraina disponga di riserve per quasi 3.000 tonnellate d’oro che, secondo l’Us Geological survey, rimanendone solo 50.000 tonnellate nel mondo, rappresentano il 6% del totale. Depositi con risorse di circa 400 tonnellate sono stati identificati nella regione occidentale della Transcarpazia vicino al confine con l’Ungheria. Sono state localizzate anche altre 500 tonnellate nella regione del Donbass che è dove dovrebbero operare, secondo quanto deciso a Lugano, la Polonia e l’Italia e il tutto a questo punto ha davvero il sapore della beffa.
Le operazioni minerarie sono state in gran parte concentrate nelle aree occidentali e centrali dell’Ucraina e in tre o cinque anni si prevede che l’Ucraina potrebbe produrre almeno una tonnellata d’oro all’anno.
Russi respinti (per ora) a Sloviansk
L’offensiva russa nel Donetsk prosegue come una fotocopia di quella nel Lugansk. La Russia sembra aver trovato il suo schema vincente: il fuoco incessante dell’artiglieria e i raid aerei vengono usati per sfiancare il nemico, poi si procede a sfondare nei centri abitati con le truppe di terra.
La battaglia per Sloviansk sarà la prossima sfida chiave nella lotta finale per il Donbass mentre le forze russe si avvicinano e sono a 16 chilometri dalla città di Donetsk, stando al report dell’intelligence britannica. L’esercito ucraino tenta di fare ciò che può e, per ora, ha respinto l’assalto dei russi nei pressi di Dolyna, proprio in direzione di Sloviansk, come riportato dallo Stato Maggiore ucraino.
«Nell’ultima settimana, le forze russe sono probabilmente avanzate di altri 5 chilometri lungo la strada principale E40 da Izyum, di fronte alla resistenza ucraina estremamente determinata», afferma il rapporto dell’intelligence del ministero della Difesa britannico. La battaglia nel Donetsk si preannuncia, dunque, durissima, tanto che il governatore della regione ha spronato le ultime persone rimaste nell’area, si calcola circa 350.000, a lasciare la zona.
«Il destino dell’intero Paese sarà deciso dalla regione di Donetsk. Se ci saranno meno persone, saremo in grado di concentrarci di più sul nostro nemico e svolgere i nostri compiti principali», ha detto Pavlo Kyrylenko. Pesanti bombardamenti, come da strategia consolidata, sono intanto in corso con mortai e artiglieria lungo la linea di contatto nelle direzioni di Avdiyivka, Kurakhiv, Novopavlivka e Zaporizhia.
Una notizia destinata ad influire in maniera determinante sui rapporti internazionali arriva da Mariupol. I separatisti sostenuti dalla Russia hanno sequestrato due navi (la «Smarta», battente bandiera liberiana e la «Blue Star», battente bandiera panamense) nel porto della città conquistata, affermando che ora sono «proprietà statale». Si tratta del primo atto di questo tipo contro la navigazione commerciale dall’inizio della guerra. Secondo l’Organizzazione marittima internazionale (Imo) dell’Onu, oltre 80 navi battenti bandiera straniera rimangono bloccate nei porti ucraini, molti dei quali sono sotto il controllo russo.
Mentre Mosca precede nei suoi piani, Volodymyr Zelensky ha a che fare anche con l’opposizione interna, per la controversa decisione della Difesa di impedire agli uomini fra i 18 e i 60 anni di lasciare la loro residenza senza un permesso speciale dell’ufficio militare di riferimento. Il presidente ucraino ha reagito chiedendo allo Stato maggiore dell’esercito di non prendere iniziative di questo tipo senza consultarlo, in futuro. «Valuterò io sui permessi per chi è in età militare», ha detto.
E la questione «servizio militare» inizia ad assumere importanza nelle nazioni che si sentono minacciate dalla crescente tensione. Il ministro della Difesa lettone, Artis Pabriks ha dichiarato che lo Stato baltico ripristinerà il servizio militare obbligatorio. E mentre tutti i Paesi che orbitano attorno alla Russia cercano di correre ai ripari, Papa Francesco tenta ancora la via diplomatica ma incontra solo freddezza.
Il Cremlino, tramite il portavoce Dmitrij Peskov, ha affermato nuovamente, come davanti alle richieste passate di Bergolio, di non essere a conoscenza di contatti sulla visita del Papa. Peskov ha spiegato che «una visita dovrebbe essere elaborata al più alto livello, i preparativi dovrebbero precederla. Per quanto ne so, non ci sono contatti sostanziali su questo argomento».
Nel frattempo, la Russia «incassa» l’appoggio della Cina. Il viceministro degli Esteri cinese Ma Zhaoxu, in un incontro con l’ambasciatore russo a Pechino Andrey Denisov, ha dichiarato che «la Cina è disposta a rafforzare il coordinamento strategico con la Russia e ad ampliare la cooperazione pragmatica in quadri multilaterali, tra cui il G20, in modo da promuovere lo sviluppo del sistema di governance globale in una direzione più giusta e ragionevole». Gli equilibri mondiali diventano sempre più chiari e netti.
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Il 5% di tutte le risorse globali si trovano dentro i suoi confini. Ecco la mappa: dal petrolio all’uranio, dal ferro all’alluminio. I «ricostruttori» guardano nel sottosuolo. All’Italia una zona ricca d’oro ma... in mano a Mosca.Russi respinti (per ora) a Sloviansk. Continua l’avanzata in Donbass e verso Donetsk. A Mariupol i separatisti sequestrano due navi commerciali straniere. La Cina è «disposta a rafforzare» il legame con Mosca.Lo speciale comprende due articoli. Ora dovrebbero averlo capito tutti (anche quelli che l’hanno snobbata), che la conferenza di Lugano non è stata una semplice passerella perché durante i lavori, ma soprattutto lontano dalle telecamere e dai giornalisti, sono state scritte le prima pagine di quel gigantesco e costosissimo libro che sarà la ricostruzione dell’Ucraina.Come vi abbiamo raccontato ieri il premier ucraino, Denys Shmyhal, ha mostrato una cartina nella quale si leggeva la sua proposta evidentemente concordata con altri su chi si occuperà (zona per zona) di ricostruire l’Ucraina. Il business della ricostruzione, quando questa avverrà, sarà gigantesco perché la stima che gli stessi ucraini hanno previsto è pari ad almeno 750 miliardi di dollari, anche se gli analisti prevedono che non basteranno a ricostruire un Paese che, mentre scriviamo, è ancora sotto le bombe. Ovvio che chi si candida a ricostruire il Paese pensa anche alle sue immense risorse che di certo, in qualche caso, passeranno di mano. E non saranno quelle italiane… come vedremo.Che l’Ucraina sia un importante produttore di grano è un fatto assodato visto che ne produce decine di milioni di tonnellate mentre meno si sa di quello che c’è sottoterra. Partiamo da un dato: malgrado rappresenti soltanto lo 0,4% della superficie terrestre, ben il 5% delle risorse a livello globale sono presenti in Ucraina, per un valore di 7,2 trilioni di dollari. Sono contenute in circa 20.000 depositi di cui solo 7.800 sono stati sviluppati e 3.300 sono in fase di esplorazione con la presenza di 194 minerali.Nel sottosuolo ucraino troviamo gas (1,1 trilioni di metri cubi), petrolio (135 milioni di tonnellate), argilla (caolino, argille plastiche ed argille refrattarie), minerale di ferro (2.3 miliardi di tonnellate) e carbone (34 miliardi di tonnellate primo Paese in Europa, al 7° posto nel mondo), manganese (tra i primi dieci produttori al mondo, nel 2020 la sua produzione è stata di 550.000 tonnellate). E che dire dell’uranio? Sebbene la sua produzione sia diminuita nel 2020 e nel 2021, la società ucraina di estrazione dell’uranio VostGok ha storicamente prodotto fino a 830 tonnellate di uranio all’anno. Il piano delle autorità ucraine per l’indipendenza dall’approvvigionamento dell’uranio prevede l’utilizzo della miniera di Smolinskaya, situata nella regione di Kirovograd in Ucraina (qui troviamo i norvegesi), fino al 2023 e della miniera di Ingulskaya, la più grande delle miniere di uranio dell’Ucraina, situata nel villaggio di Neopalimovka sempre nella regione di Kirovograd fino al 2028 in attesa di rendere operativi i nuovi progetti di Severinskiy e Safonovskiy.Ma non è tutto, come ci conferma l’ingegnere minerario Giovanni Brussato: «Innanzitutto va detto che sulle riserve, cioè sui depositi non ancora coltivati, ovviamente c’è un certo riserbo sulla posizione esatta quindi, solitamente, viene fornita la regione o un’area geografica approssimativa. Poi», continua Brussato, «le riserve di ferro in Ucraina sono davvero vaste. Nel gennaio 2015, negli 80 giacimenti ucraini si potevano trovare 6,5 miliardi di tonnellate di riserve di minerale di ferro grezzo. Allo stato attuale, solo 30 di questi depositi sono in fase di sviluppo. Tuttavia, nonostante 50 giacimenti non siano stati sviluppati, l’Ucraina è il settimo produttore mondiale di minerale di ferro, con una quota totale del 3,4%. Gran parte di questo minerale si presenta sotto forma di magnetite e si trova principalmente nell’oblast di Poltava nell’Ucraina centrale». Anche il settore dell’alluminio trova importanti interessi in Ucraina e i seguenti tipi di minerali sono considerati i più preziosi per l’industria dell’alluminio: quelli di bauxite si trovano nel deposito di Vysokopillia nel centro di Dnipropetrovsk, l’alunite a Zakarpattia (sud-ovest) mentre quelli di nefelina sono vicino al Mar d’Azov (sud-est). Anche le risorse di titanio identificate in Ucraina sono economicamente interessanti: nel bacino del fiume Samotkan ci sono riserve significative da estrarre.Nella cartina presentata da Denys Shmyhal non si dice chi dovrebbe operare in questa zona, che non è certo secondaria perché è la storica regione ucraina produttrice di minerale di ferro e la più grande fonte singola di ferro nell’ex Unione sovietica come ci conferma Brussato: «È una stretta striscia lunga circa 100 km e larga 2-7 km, che si estende attraverso l’oblast di Dnipropetrovsk occidentale dalla città di Zhovti Vody a nord a Inhulets a sud, il bacino copre un’area di circa 300 kmq. La città di Kryvyi Rih è il principale centro industriale della regione. Da questo bacino sono stati estratti centinaia di milioni di tonnellate di minerale di ferro e, pur in presenza di un calo della qualità del minerale il cubaggio, resta di assoluto rilievo». E chi se ne occuperà? Il suo nome non è stato scritto, ma di sicuro c’è che non saranno più gli ucraini. Altro gigantesco business che fa gola a tutti, compreso Vladimir Putin, è quello dell’oro: il bilancio statale delle riserve minerarie dell’Ucraina tiene conto delle riserve auree in sei depositi: Muzhievskoe, Saulyak nella regione transcarpatica, Bobrikovskoe nella regione di Luhansk (dove ci saranno Svezia, Finlandia e Cechia), Sergeevskoe, Balka Zolotaya nella regione di Dnipropetrovsk e Klintsovskoe nella regione di Kirovograd. Si stima che l’Ucraina disponga di riserve per quasi 3.000 tonnellate d’oro che, secondo l’Us Geological survey, rimanendone solo 50.000 tonnellate nel mondo, rappresentano il 6% del totale. Depositi con risorse di circa 400 tonnellate sono stati identificati nella regione occidentale della Transcarpazia vicino al confine con l’Ungheria. Sono state localizzate anche altre 500 tonnellate nella regione del Donbass che è dove dovrebbero operare, secondo quanto deciso a Lugano, la Polonia e l’Italia e il tutto a questo punto ha davvero il sapore della beffa.Le operazioni minerarie sono state in gran parte concentrate nelle aree occidentali e centrali dell’Ucraina e in tre o cinque anni si prevede che l’Ucraina potrebbe produrre almeno una tonnellata d’oro all’anno.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dietro-la-ricostruzione-dellucraina-ce-la-gara-ai-suoi-immensi-giacimenti-2657618962.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="russi-respinti-per-ora-a-sloviansk" data-post-id="2657618962" data-published-at="1657133949" data-use-pagination="False"> Russi respinti (per ora) a Sloviansk L’offensiva russa nel Donetsk prosegue come una fotocopia di quella nel Lugansk. La Russia sembra aver trovato il suo schema vincente: il fuoco incessante dell’artiglieria e i raid aerei vengono usati per sfiancare il nemico, poi si procede a sfondare nei centri abitati con le truppe di terra. La battaglia per Sloviansk sarà la prossima sfida chiave nella lotta finale per il Donbass mentre le forze russe si avvicinano e sono a 16 chilometri dalla città di Donetsk, stando al report dell’intelligence britannica. L’esercito ucraino tenta di fare ciò che può e, per ora, ha respinto l’assalto dei russi nei pressi di Dolyna, proprio in direzione di Sloviansk, come riportato dallo Stato Maggiore ucraino. «Nell’ultima settimana, le forze russe sono probabilmente avanzate di altri 5 chilometri lungo la strada principale E40 da Izyum, di fronte alla resistenza ucraina estremamente determinata», afferma il rapporto dell’intelligence del ministero della Difesa britannico. La battaglia nel Donetsk si preannuncia, dunque, durissima, tanto che il governatore della regione ha spronato le ultime persone rimaste nell’area, si calcola circa 350.000, a lasciare la zona. «Il destino dell’intero Paese sarà deciso dalla regione di Donetsk. Se ci saranno meno persone, saremo in grado di concentrarci di più sul nostro nemico e svolgere i nostri compiti principali», ha detto Pavlo Kyrylenko. Pesanti bombardamenti, come da strategia consolidata, sono intanto in corso con mortai e artiglieria lungo la linea di contatto nelle direzioni di Avdiyivka, Kurakhiv, Novopavlivka e Zaporizhia. Una notizia destinata ad influire in maniera determinante sui rapporti internazionali arriva da Mariupol. I separatisti sostenuti dalla Russia hanno sequestrato due navi (la «Smarta», battente bandiera liberiana e la «Blue Star», battente bandiera panamense) nel porto della città conquistata, affermando che ora sono «proprietà statale». Si tratta del primo atto di questo tipo contro la navigazione commerciale dall’inizio della guerra. Secondo l’Organizzazione marittima internazionale (Imo) dell’Onu, oltre 80 navi battenti bandiera straniera rimangono bloccate nei porti ucraini, molti dei quali sono sotto il controllo russo. Mentre Mosca precede nei suoi piani, Volodymyr Zelensky ha a che fare anche con l’opposizione interna, per la controversa decisione della Difesa di impedire agli uomini fra i 18 e i 60 anni di lasciare la loro residenza senza un permesso speciale dell’ufficio militare di riferimento. Il presidente ucraino ha reagito chiedendo allo Stato maggiore dell’esercito di non prendere iniziative di questo tipo senza consultarlo, in futuro. «Valuterò io sui permessi per chi è in età militare», ha detto. E la questione «servizio militare» inizia ad assumere importanza nelle nazioni che si sentono minacciate dalla crescente tensione. Il ministro della Difesa lettone, Artis Pabriks ha dichiarato che lo Stato baltico ripristinerà il servizio militare obbligatorio. E mentre tutti i Paesi che orbitano attorno alla Russia cercano di correre ai ripari, Papa Francesco tenta ancora la via diplomatica ma incontra solo freddezza. Il Cremlino, tramite il portavoce Dmitrij Peskov, ha affermato nuovamente, come davanti alle richieste passate di Bergolio, di non essere a conoscenza di contatti sulla visita del Papa. Peskov ha spiegato che «una visita dovrebbe essere elaborata al più alto livello, i preparativi dovrebbero precederla. Per quanto ne so, non ci sono contatti sostanziali su questo argomento». Nel frattempo, la Russia «incassa» l’appoggio della Cina. Il viceministro degli Esteri cinese Ma Zhaoxu, in un incontro con l’ambasciatore russo a Pechino Andrey Denisov, ha dichiarato che «la Cina è disposta a rafforzare il coordinamento strategico con la Russia e ad ampliare la cooperazione pragmatica in quadri multilaterali, tra cui il G20, in modo da promuovere lo sviluppo del sistema di governance globale in una direzione più giusta e ragionevole». Gli equilibri mondiali diventano sempre più chiari e netti.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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