
I magistrati in corsa per la Procura di Roma erano 13. Alla fine sono rimasti in 3. Perché? Nessuno lo sa e i verbali non ci sono.Sono un po' come i dieci piccoli indiani di Agatha Christie. Per loro fortuna, diversamente da quanto accade nel famoso romanzo della giallista britannica, i nostri dieci personaggi non sono stati eliminati fisicamente uno dopo l'altro su un'isola disabitata, dopo esservi stati attirati da uno strano invito. La loro sorte è stata meno cruenta, ma non per questo meno nera e misteriosa: perché i dieci sono stati comunque eliminati dalla gara per sostituire Giuseppe Pignatone, il procuratore di Roma andato in pensione lo scorso 9 maggio. Nel totale silenzio dei media, i loro dieci nomi sono scomparsi dalla scena e dalla competizione, e questo è avvenuto senza che nessuno ascoltasse le loro voci o si desse la pena di dare la minima spiegazione per l'esclusione.È un corollario ancora inesplorato dello scandalo che i giornali hanno ribattezzato «toghe sporche», scoppiato una dozzina di giorni fa per il mercato delle nomine al Consiglio superiore della magistratura. Lo scandalo ha scoperchiato un verminaio di traffici e scontri tra correnti, tese a imporre loro uomini al vertice della più importante Procura italiana e di altri uffici giudiziari di potere. Finora, sul tavolo delle polemiche erano finiti i nomi dei tre contendenti sui quali si sono concentrati i giochi a partire dal 23 maggio, il giorno in cui la quinta commissione del Csm, che si occupa del «conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi», ha indicato al plenum la sua preferenza per una terna composta da Marcello Viola, procuratore generale di Firenze; Francesco Lo Voi, procuratore di Palermo; e Giuseppe Creazzo, procuratore di Firenze: Viola aveva incassato quattro voti, lasciandone uno a testa agli altri due candidati. Nei giorni successivi, lo scontro tra correnti è esploso e ha fatto emergere manovre oscure, pressioni e baratti. Si è scatenato un fuoco incrociato di accuse, denunce, inchieste, richieste di dimissioni e polemiche a non finire. Il Csm e la magistratura ne stanno uscendo letteralmente a pezzi. Per ora, però, nessuno ha messo a fuoco un altro aspetto della vicenda, che forse non è meno importante: quello che per l'appunto chiama in causa i nostri «dieci piccoli indiani». Perché all'inizio di quest'anno, quando era stato chiaro che la poltrona di Pignatone stava per liberarsi, a candidarsi al suo posto non erano stati solo tre alti magistrati, ma 13: in 13 avevano inviato i loro curriculum alla quinta commissione del Csm, allegando i giudizi ottenuti dai Consigli giudiziari, cioè le assemblee di toghe e avvocati nelle quali il Csm stesso si articola a livello territoriale. Tutti e 13, come previsto dalle norme, avevano spedito i rapporti dei dirigenti degli uffici superiori. E tutti e 13 avevano chiuso la richiesta spiegando come intendessero organizzare il lavoro alla Procura di Roma.Accanto ai colleghi Creazzo, Lo Voi e Viola, seguendo le medesime procedure, si erano fatti avanti Giuseppe Corasaniti, capo del dipartimento degli Affari di giustizia del ministero della Giustizia; Giuseppe De Falco, procuratore di Frosinone; Claudio Di Ruzza, procuratore del Tribunale dei minori di Campobasso; Alessandro Mancini, procuratore di Ravenna; Antonio Maruccia, procuratore generale di Lecce; Michele Prestipino, procuratore aggiunto di Roma; Francesco Prete, procuratore di Velletri; Leonida Primicerio, procuratore generale di Salerno; Cuno Tarfusser, vice presidente della Corte penale internazionale dell'Aja ed ex procuratore di Bolzano; e Salvatore Vitello, procuratore di Siena.Nomi assolutamente non di secondo ruolo, insomma, rispetto a quelli dei tre prescelti. Al contrario, tutti magistrati importanti ed esperti, oltre che dotati di esperienza e di capacità organizzative. In alcuni casi, gente di fama: dei veri personaggi. Eppure, come i dieci indiani di Agatha Christie, sono stati tutti cancellati. Scomparsi nel nulla perché i sei membri della quinta commissione (per la cronaca: Mario Suriano, che ne è il presidente; Emanuele Basile, il vicepresidente; Pier Camillo Davigo; Marco Mancinetti; Fulvio Gigliotti; Loredana Miccichè) non li hanno valutati meritevoli. Perché? Non lo sa nessuno. La quinta commissione di sicuro ha applicato al millimetro il Testo unico della dirigenza giudiziaria, la norma che disciplina le nomine per gli uffici direttivi. Però ancora oggi, a scandalo esploso, si ignora come mai i tre concorrenti siano stati prescelti e gli altri siano stati esclusi: i verbali delle riunioni non sono mai stati depositati. Alla Verità risulta per certo che alcuni degli stessi «bocciati» siano ancora in attesa di conoscerne il perché. Questo apre una fondamentale questione di trasparenza, cui il Csm, già terremotato dallo scandalo, deve rispondere velocemente. Oggi un gentile funzionario, che preferisce l'anonimato, si limita a rispondere che gli risulta che «tre o quattro di quei dieci in realtà avevano poi revocato la loro richiesta di concorrere» al posto di Pignatone. Sarà sicuramente così. Ma che cosa è accaduto agli altri? E perché nessuno dei candidati è mai stato ascoltato dalla commissione? Perché questo non è avvenuto nemmeno il 23 maggio, quando una richiesta in tal senso era arrivata perfino dal vicepresidente del Csm David Ermini? Pare che in quel caso la proposta, messa ai voti in commissione, sia stata bocciata con tre voti favorevoli (Suriano, Gigliotti e Morlini) e tre contrari (Basile, Davigo e Lepre). E se c'è parità, la proposta non passa. Proprio come certi piccoli indiani.
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