2022-05-06
Il diario di Azov: «Maidan fu un colpo di Stato»
Tradotto in italiano «Valhalla Express», il racconto di un esponente della destra radicale ucraina. Ne emerge un ritratto diverso dai resoconti a cui siamo abituati: «L’Ue? Non ci interessava. I russofoni capiscono solo la violenza. E quegli infiltrati torturati...».«Così è iniziata Maidan. Non proprio quella Maidan, ma un raduno di studenti a sostegno dell’integrazione europea. Non ci sentivamo attratti da essa, tutto sembrava così infantile, un paio di volte siamo arrivati a piazza Indipendenza, ma non era niente di esaltante. Tuttavia alcuni dei nostri erano già là e questo permise che gli eventi prendessero una piega diversa. Capivamo che da quel momento in poi qualcosa sarebbe potuto accadere. L’Unione europea e i valori europei non ci interessavano, eravamo piuttosto degli avversari di questi stessi valori. Le autorità hanno commesso un errore. A quanto pare le autorità non conoscevano il detto: “Provocazione - repressione - rivoluzione” ». Il suo nome di battaglia è Woland, ed è un combattente inquadrato nella seconda compagnia del battaglione Azov. Il suo lungo memoriale (pubblicato ora da Italia Storica e curato da Andrea Lombardi e Domenico Di Tullio) ha un titolo potente: Valhalla Express, come un treno diretto a tutta velocità verso il paradiso in cui corrono i guerrieri norreni morti eroicamente in battaglia.Quel termine nordico lo ha sentito pronunciare da un suo superiore, nei primi tempi della guerra in Donbass, appena prima di scendere sul campo di battaglia. «Ci raggruppiamo e ascoltiamo il discorso del comandante di Battaglione. Le sue parole mi colpiscono profondamente. Non sono un pagano, ma immagino i miei antenati che mi aspettano nel Valhalla, anche se non avevo ancora tanta voglia di vederli. In battaglia! Tutti corrono verso il mezzo di trasporto. Il cielo si sta schiarendo. Echeggia il grido: “Al Valhalla!” Si sta formando un convoglio, andiamo verso il nostro primo combattimento…». Nella storia di Woland, i combattimenti occupano uno spazio piuttosto rilevante. La violenza è ovunque, è normale, è un profumo nell'aria che fa desiderare la rivoluzione. È per via di questo desiderio che un giovane studente è diventato prima un militante nazionalista, poi un soldato. Tutto inizia fra i banchi di scuola, dopo una lite con una professoressa russa. Woland non capisce perché «una fervente patriota di un’altra nazione insegnasse nell’ordinamento scolastico superiore ucraino». Seguono scintille e una convocazione dal vicepreside con reprimenda annessa. «Nella loro filippica avevano citato un paio di volte Hitler e il Mein Kampf. A scuola avevo imparato chi era Hitler, ma non sapevo ovviamente nulla dei suoi libri. Petrivka mi ha aiutato a trovare quel libro, che mi è piaciuto: c’erano un mucchio di parole strane e tutta una discussione su argomenti in cui non mi ero mai addentrato, ma le parti sulla politica e sulla propaganda erano davvero interessanti. Non si trattava comunque del primo libro che avevo letto in vita mia. Leggere mi piaceva e avevo un sacco di libri. Questo però era il primo libro che trattava del corso che avrebbe poi preso la mia vita. Per ironia della sorte, erano stati i miei professori “preferiti” ad avermi condotto a questo testo».inizia la militanza La curiosità si trasforma presto in militanza, prima in piccoli gruppi e poi in associazioni più robuste come i Pu. «All’epoca i “Patrioti dell’Ucraina” erano molto diversi da tutte le altre organizzazioni di destra. La struttura era militare con una gerarchia, una disciplina e un’ideologia chiara. Non era facile far parte dei Pu, bisognava superare un periodo di prova, superare un test di forma fisica e passare un esame sull’ideologia. All’epoca il movimento era una spanna sopra tutti gli altri. E gli obiettivi puntavano molto in alto, mentre le priorità del resto dei movimenti di destra era bere, fare il saluto romano e picchiare i Churka, queste persone pensavano a come prendere il potere nel Paese e non si trattava solo di castelli in aria, ma di un piano ben preciso su come arrivarci». I Pu hanno le idee chiare. «L’ideologia era il Social-nazionalismo razziale ucraino, da non confondere con il Nazionalsocialismo. Si tratta di due cose completamente diverse, anche se per una persona comune può non sembrare. L’ideologia si basava sugli scritti di Mykola Stsiborskyi». Come spiegano i curatori del volume, Stsiborskyi (1897-1942) fu un «politico nazionalista ucraino, ideologo e figura di rilievo nel consiglio direttivo dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (Oun). Criticò i sistemi democratico-capitalisti e comunisti, propugnando uno stato organico di ispirazione fascista, armonizzante le diverse classi in nome dello sviluppo nazionale, basato sul “culto della creatività” contro il “culto del numero/voti” delle democrazie. Nella sua opera maggiore, Naziocrazia (Parigi 1935), criticava anche la dittatura di Hitler, e nei suoi scritti si oppose all’antisemitismo. Morì assassinato a Zytomyr il 30 agosto 1942, probabilmente su iniziativa di sostenitori del suo rivale politico Stepan Bandera; le autorità tedesche d’occupazione reagirono con una dura repressione del movimento di quest’ultimo». I Patrioti ucraini hanno raccolto questa eredità ideologica e hanno deciso di metterla a frutto. Con qualche piccola modifica: «In seguito la parola “razziale” sarebbe stata rimossa dalla definizione dell’ideologia, dato che la maggior parte dei cittadini manca di conoscenza e le loro menti sono state manipolate dalla propaganda liberale, tanto che quella parola avrebbe potuto suscitare una reazione isterica, che nel loro subconscio avrebbe evocato tremende immagini di campi di concentramento».La prima grande occasione di mettersi alla prova, per i militanti, arriva proprio con piazza Maidan, nel 2014. gli scontri del 2014I nazionalisti non lottano per la «liberaldemocrazia» o per l’Ue. Tutt’altro. Loro sono rivoluzionari social-nazionalisti, e hanno voglia di combattere. Lo fanno assieme ad altre formazioni di cui anche in Italia abbiamo ormai imparato i nomi. Dopo qualche scaramuccia, la situazione si fa seria. «Ci allineammo di fronte al palazzo della Municipalità. Siamo una settantina. Il Praviy Sektor si è già messo in marcia. Iniziamo a muoverci. Abbiamo tutti un aspetto minaccioso. Si vede chiaramente che non siamo lì per cantare inni e ballare. I sostenitori delle proteste pacifiche cercano di fermarci, bollandoci come provocatori, ma siamo ormai inarrestabili. Li spingiamo via, quelli più violenti di loro rimediano una botta in testa. In ogni caso l’assalto è ormai deciso. [...] Era ormai evidente come non si scherzasse più e il combattimento sarebbe stato fino alla morte. Non avevamo armi, ma nessuno sarebbe morto senza combattere. I bastoni vengono sostituiti con spranghe di metallo, rompighiaccio, asce. Cerchiamo in giro pistole traumatiche o almeno a gas». I giorni di Maidan sono scanditi dagli scontri, col buio iniziano le spedizioni. «Di notte, davamo la caccia agli anti-Maidan e loro a noi. I fortunati sarebbero sopravvissuti alla caccia. Gli scontri erano molto duri. Non si trattava solo di scazzottate, avevamo già ucciso persone e catturato prigionieri. Il settimo Ufficio di Polizia aveva infiltrati che ricercavano i Maidan. Ma tre dei loro colleghi non ebbero fortuna, furono scoperti e finirono nelle nostre mani. Questo causò alte grida e proteste, “Torturati! Ah! Inumano! Inconcepibile!”. Tutti urlavano queste cose, ma chi lo faceva forse non sapeva che azioni commettevano queste persone». Poi Maidan finisce come tutti sanno. E l’analisi di Woland sorprende: «Nell’insieme non si trattava di una rivoluzione, ma di un colpo di stato. Uno dei gruppi favorevoli al governo si sostituiva all’altro, ma in un modo crudele e sanguinoso. Noi, il popolo, avevamo la possibilità di fare la vera rivoluzione, ma l’abbiamo sprecata. Non abbiamo spinto abbastanza come avremmo dovuto, non abbiamo creato una nostra struttura alternativa, abbiamo permesso agli stessi bastardi di governare il Paese, ed erano ancora più scaltri, duri e intelligenti dei loro predecessori».la guerra vera Una nuova occasione di mettersi alla prova, di combattere i nemici della patria arriva non molto tempo dopo, quando i filorussi del Donbass cominciano a parlare di autonomia, a coltivare sogni di separatismo sullo stile della Crimea. I Patrioti ucraini ora sono membri di uno dei battaglioni che nell’aprile del 2014 il governo ucraino riconosce ufficialmente: eccoli, i combattenti di Azov. Finalmente in guerra. «I nostri metodi potevano apparire brutali e disumani, ma così era a quei tempi. Visitavamo le persone che cercavano di sovvertire lo status quo ed erano per un cambio in senso federalista. Dopo che lo facemmo, non volevano più passare alla Russia». I battaglioni si presentano come «castigatori», e imparano presto a detestare la popolazione filorussa: «Quelle persone non sono abituate ai rapporti umani. Hanno bisogno di sentire il potere sopra di loro. E non hanno bisogno solo di potere, ma di un potere che li pieghi in modo che non possano raddrizzarsi più». Il resto sono granate, mitragliatrici, schegge che feriscono e scantinati in cui si tortura. Il memoriale di Woland non va oltre gli scontri nel Donbass, ma non serve proseguire: il profilo del guerriero che aspira al Valhalla è nitido. E non ha affatto i colori con cui qualcuno, qui, cerca di ridipingerlo.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)