2022-02-10
Numa: «Diamo voce al bambino interiore che vive in noi, sarà la nostra cura»
La cantante: «Metto in versi il dialogo con me stessa a sei anni, la mia più grande alleata. La musica mi ha salvata dal bullismo».La musica italiana non è solo l’apparenza dorata del Festival di Sanremo, che si accende e spegne una volta l’anno facendo risplendere stelle già cadenti, ma un labirinto dove si può rimanere incastrati per sempre se non si ha la forza di far sentire la propria voce, anzi il proprio urlo. Numa, la cantante del self empowerment, si muove magicamente tra le note e la ricerca di sé stessa, tenendo celata la sua identità, ma svelando la sua anima. Proiettata verso l’universo (canta in italiano, inglese e spagnolo) e saldamente ancorata alle sue origini.Com’è nato il nome Numa?«Semplicemente perché mia figlia, da bambina, non era in grado di pronunciare il mio nome e mi chiamava “mamma numa”, ma già a scuola i miei compagni si divertivano a dire al contrario “manunuma”. Evidentemente era il mio destino. Chi mi vuole bene, a cominciare da mia madre, mi chiama Numa. Se mi chiamano con il mio vero nome, non mi giro perché non penso che si stiano rivolgendo a me!».È un ritorno all’infanzia. Non a caso nella sua ultima canzone, 6 Tu, si immedesima con la bambina che era e parla con lei.«È un dialogo che ci salva la vita. Sarebbe bello se tutti quanti lo adottassimo perché la voce interiore è la voce dell’anima, la voce originale che ci dice la verità, mentre noi troppe volte siamo in ascolto solo della voce della mente. La voce della bambina è la voce del cuore. Quando la mente e il cuore non vanno d’accordo, accadono diverse cose negative: le conflittualità, le malattie e soprattutto si spegne la nostra parte creativa. Perciò parlare con il bambino interiore è qualcosa di molto più grande di quello che pensiamo: significa riascoltare la voce del cuore e aiutarla a trovare l’armonia con la mente, ovvero i nostri doveri e le nostre responsabilità, impedendo alla paura di autosabotarci».Questa bambina è una sua alleata.«I nostri bambini interiori sono sempre i nostri alleati, i nostri salvatori, la nostra bussola e la nostra lanterna nell’oscurità».Che bambina era?«A scuola ho sofferto di bullismo perché ero un esserino con le antenne verdi. Parlavo solo di musica, ballavo in mezzo alla classe. Da ragazzina uscivo di casa, ai Parioli, con i tacchi di mia madre, un mantellone lungo con le pailettes... ero una sorcina, una fan di Renato Zero, altro che i paninari! E poi sono arrivata a cantare per Fonopoli e a scrivere canzoni per lui, pensa che evoluzione della mia vita. In adolescenza mi aspettavano fuori scuola per menarmi, allora mi sono ritirata e mi sono dedicata al ballo e al canto e ho cominciato a fare concertini, a partecipare a festival allora in voga, come Castrocaro e il festival della canzone romana, che ho vinto con una canzone di Aldo Donati, Tevere. Ho fatto la gavetta, per anni».Quando ha scelto di diventare cantante?«È la musica che ha scelto me. A scuola ero un disastro perché non seguivo le lezioni, ero sempre con la penna a mano a scrivere testi e racconti. Avevo bisogno di mettere in versi il mio tumulto interiore. All’epoca il mio pubblico era i ragazzini, poi lo sono diventati anche gli adulti. Percepivo il sorriso e il buonumore che suscitavo negli altri: con una canzone puoi cambiare lo stato vitale delle persone attorno a te, rendendole più ottimiste».Come ha fatto a inserirsi nell’ambiente della musica?«Con tanto coraggio, tanta forza, tanta volontà, tante porte in faccia, tanta sofferenza, non avendo mai raccomandazioni e non scendendo mai a compromessi. Sono una ragazza che ha sofferto ogni tipo di sopruso per riuscire a far parte del mondo dello spettacolo in maniera pulita, ma non mi sono mai arresa perché non ci si può arrendere alla propria missione. Mia madre mi ha sempre detto che ce l’avrei fatta. Ma ho pagato a caro prezzo tutto questo soffrendo per anni di attacchi di panico».Come n’è venuta fuori?«A 25 anni sono diventata buddista. Mi ha fatto capire che la vita è per noi, non contro di noi, e che siamo responsabili di tutto quello che ci accade. Due anni prima avevo cercato di salvarmi la vita creandomi una famiglia. Mi innamorai di un ragazzo molto giovane con il quale feci una figlia. Fu un comportamento ingenuo: il matrimonio naufragò immediatamente e io rimasi ragazza madre con una bambina piccola e tutti i miei sogni ancora da realizzare. Da lì è iniziata un’altra odissea. Lavoravo di notte in un piano bar per dare da mangiare a mia figlia. Prendevo 50.000 lire. La carriera che ho oggi me la sono conquistata un passo per volta: ho alzato il telefono, ho fatto sentire le mie cose, così mi sono conquistata il consenso e la collaborazione di grandi artisti internazionali, come Trevor Horn, famosissimo per Video Killed the Radio Star, George Michael e Alan Clark, il tastierista dei Dire Straits».Com’è Numa oggi?«Credo di essere una delle poche artiste d’Italia ad avere un target di tutte le età: mi sentono le ragazzine, gli adolescenti, i trentacinquenni e i sessantenni, questo forse è il mio vero grande successo. Io spero che le ragazzine mi vedano come una fatina buona, una Winx: il loro entusiasmo nei miei confronti mi fa commuovere fino alle lacrime di gioia perché penso che vedano in me un punto di riferimento. Non sentono la grande differenza generazionale perché non mi considerano come una mamma, ma come una sorella maggiore».
Pier Luigi Lopalco (Imagoeconomica)
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo