2020-01-23
Di Maio lascia l’incarico sganciando la bomba. «I nemici sono nel M5s»
Il ministro abbandona leadership (e cravatta), appena in tempo per scansare il crollo alle regionali. E lancia bordate: «Bisogna essere umani, non carogne».L'altro ieri sera, nelle curve dello stadio San Paolo di Napoli, hanno fatto la loro apparizione, per la prima volta, gli steward. Non ce ne vorrà, Luigi Di Maio, ma è inevitabile che il pensiero corra alla precedente e nobile occupazione dello statista di Pomigliano d'Arco: ora che si è dimesso da capo politico del M5s potrebbe fare un pensierino al ritorno sugli spalti di Fuorigrotta.Di Maio, dopo un'attesa lunga settimane, ieri ha gettato la spugna (non sarà neanche più capo delegazione, ha precisato Vito Crimi). In mattinata ha comunicato ai ministri del M5s il suo addio alla guida del Movimento che condusse, poco meno di due anni fa, alla straordinaria affermazione delle elezioni politiche, con il 33% dei consensi. Poi, così come rapida era stata l'ascesa, fulmineo è stato il declino di Giggino, un declino che si è snodato attraverso sonore batoste. Tracollo dopo tracollo, il M5s è diventato un partitino: stando a indiscrezioni assai attendibili, Di Maio ha preferito mollare prima delle elezioni di domenica prossima in Emilia Romagna e Calabria. I sondaggi non possono più essere pubblicati, ma le segreterie dei partiti ne commissionano uno al giorno, e hanno suggerito a Di Maio di fare un passo indietro di sua iniziativa, prima che fosse costretto a un addio assai più traumatico: in Calabria la vittoria del centrodestra, e della candidata alla presidenza della Regione, Jole Santelli, di Forza Italia, appare certa; probabile, molto probabile, pure l'affermazione di Lucia Borgonzoni, candidata della Lega e della coalizione dei moderati.In entrambe le regioni, stando agli spifferi che circolano nelle cabine di comando giallorosse, il M5s uscirà dalle urne stritolato, prospettiva che ha accelerato le dimissioni di Di Maio dalla guida del Movimento. Che ci crediate o no, perfino lo spread ha risentito della decisione di Giggino, che anche ieri, fino all'ultimo istante, è stata avvolta da un alone di suspense, con il discorso di addio, annunciato da lui stesso per le 17, slittato di un'ora. Alle 18, finalmente, l'ormai ex leader del M5s si presenta dimissionario al tempio di Adriano, a Roma. «Ho cominciato a scrivere questo discorso un mese fa», rivela Di Maio, facendo intendere di aver già da tempo pensato al passo indietro. «Ho portato a termine il mio compito», aggiunge, e non è ben chiaro se si riferisca alla vittoria del marzo 2018 o alla successiva distruzione del M5s. «Da oggi inizia il percorso per gli stati generali del Movimento», sottolinea Di Maio, riferendosi all'assemblea di metà marzo, quando il M5s sarà chiamato a decidere come proseguire e che struttura di vertice darsi. «È giunto il momento di rifondarsi. Oggi si chiude un'era», esagera Giggino, tra gli applausi (liberatori?) della platea. Il discorso di addio di Di Maio è pieno zeppo di banalità, un elenco di presunti risultati ottenuti, ma soprattutto di velenose stilettate rivolte ai suoi avversari interni: «I peggiori nemici sono quelli che al nostro interno lavorano non per il gruppo ma per la loro visibilità», ringhia Di Maio. «C'è chi è stato nelle retrovie e, senza prendersi responsabilità, è uscito allo scoperto solo per pugnalare alle spalle, il fuoco amico grida vendetta. C'è chi ha giocato al tutti contro tutti», denuncia il ministro, «ho lavorato per far crescere il Movimento e proteggerlo dagli approfittatori e dalle trappole lungo il percorso, anche prendendo scelte dure e a volte incomprensibili. La storia ci dice che alcuni la nostra fiducia l'hanno tradita», frigna Giggino, «ma per uno che ci ha tradito almeno dieci quella fiducia l'hanno ripagata. Le mie funzioni passano a Vito Crimi che è il rappresentate anziano del Comitato di garanzia. Sono qui per comunicare le mie dimissioni da capo politico del M5s per favorire il percorso verso gli stati generali: io non ci penso per nulla a mollare», minaccia Di Maio, «io ci sarò e non mollerò mai. Crimi e il team del futuro ci porteranno fino agli stati generali dove discuteremo sul cosa. Subito dopo passeremo al chi. Qualsiasi cosa accadrà mi fido di noi, del M5s e di chi verrà dopo di me». Ma ha anche aggiunto, rivolto agli scontri intern, che a volte occorre « restare umani e non diventare carogne». A proposito di governi: ora che Di Maio resta solo (per modo di dire) ministro degli Esteri, c'è da giurare che lo statista di Pomigliano abbandonerà la linea bellicosa con gli alleati: «Noi dobbiamo pretendere il sacrosanto diritto di essere valutati almeno alla fine dei cinque anni di legislatura. Io penso che il governo deve andare avanti. Il premier Giuseppe Conte è la nostra più alta espressione. In questi anni», ammette Di Maio, «su alcune cose non siamo stati sempre d'accordo ma al presidente Conte riconosco onestà intellettuale» (il premier, dal canto suo, ha così commentato la mossa di Giggino: «Mi rammarica, ma è una decisione di cui prendo atto con doveroso rispetto»; Di Maio, ha aggiunto, «è stato il protagonista della realizzazione dei valori cardine del Movimento: si è sempre battuto per essi e sono sicuro che continuerà nell'impegno in questa direzione»). Il gran finale? «Per me la cravatta», dice Di Maio, «è stata il simbolo del ruolo di capo politico. Quindi tolgo qui la cravatta davanti a voi». Una liberazione: per lui, per il M5s, e un po' anche per gli italiani.
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
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