
Pur di andare contro l'altro vicepremier, il leader politico grillino sta rinnegando tutte le sue idee. Si era dimostrato sostenitore del deficit fin quasi al paradosso, adesso si atteggia a piccolo Moscovici. Il clima lo consente. Un bel loden con questo maggio freddo e piovoso ci sta proprio bene. L'altra, sera prima di coricarsi, il vicepremier Luigi Di Maio ha provato quello di Mario Monti. Ci vorrà un sarto per metterlo a misura, ma intanto il capo dei grillini ha iniziato ieri a sfoggiarlo durante i comizi elettorali. Attaccando l'alleato leghista di governo, ha infilato una serie di dichiarazioni che imprimono una svolta totale rispetto a tutte le politiche economiche e, dunque sociali, alla base del famoso contratto di governo. Ribadiamo, l'unico collante tra Lega e 5 stelle. «Il tema non è lo spread in sé e neanche il 3%, il tema è quando dichiari che vuoi sforare il 3% aumentando il debito pubblico», ha detto Di Maio puntando il dito contro le dichiarazioni leghiste. «Quindi lo dico chiaramente: il Movimento non voterà mai un legge di bilancio per aumentare il debito pubblico», aggiungendo che «l'Iva non aumenterà».Dichiarazioni così inginocchiate all'Ue da cambiare tutti gli assetti politici. Di Maio sta rinnegando tutto quanto sostenuto e pure realizzato negli ultimi mesi, cominciando dalla manovra 2019 di cui il politico di Pomigliano è stato cofirmatario. I due pilastri, il reddito di cittadinanza e quota 100, si basano su un concetto totalmente opposto a quanto ha sostenuto ieri. Si basano sul debito. Per quest'anno le due misure (andate in porto a primavera) prevedono una spesa (tutta a deficit) di circa 15 miliardi di euro. La scelta a fine settembre 2018 è stata rivendicata in sede europea. E il simbolo, pure un po' scomposto, è stato lo stesso Di Maio che con il pugno alzato festeggiava dal balcone di Palazzo Chigi l'aver sforato il deficit al 2,4%. Dietro c'era un ragionamento (spiegato più volte dall'ex ministro Paolo Savona): violare i patti Ue siglati dai governi precedenti per garantire margini sia alle misure di sostegno al reddito sia per poter limare la riforma Fornero. Stesso discorso per le infrastrutture. La trattativa Stato-Ue ha poi imposto un limite all'uso del deficit e la messa in congelatore della vera riforma fiscale: la flat tax. L'errore semmai è stato concentrarsi sul deficit solo per le prime due misure e sacrificare invece il taglio delle tasse e gli investimenti pubblici in nome dell'altare europeo. Accettabile se il prossimo anno ci si concentrerà sulla flat tax. La mediazione si è resa necessaria perché il terzo azionista del governo, il Colle, per tramite del Mef ha avviato la cosiddetta moral suasion. In questa battaglia con l'Ue Di Maio non ha mai rinnegato la posizione di fondo andando in scia alla Lega. Anzi si è sempre dimostrato un sostenitore del deficit a tratti fino al paradosso. Basti pensare che la scorsa settimana - non parliamo di mesi fa - il vice premier sostenuto dal presidente Inps, Pasquale Tridico, ha persino annunciato di voler usare la minor spesa legata al reddito di cittadinanza per finanziare altri sussidi a poveri e disoccupati. Spacciando un minor spesa in deficit addirittura per un risparmio. Ieri, invece, l'infilata di no debito, no deficit e no all'aumento Iva fa capire che da domani Di Maio si batterà per aumentare le tasse e avviare tagli di spesa pubblica. Perchè alternative alle sue dichiarazioni non ne esistono. Se dopo il voto, pur di allinearsi alle fila dei competenti europeisti e al Quirinale, Di Maio deciderà di votarsi all'austerity, significa che in fase di definizione della prossima manovra dovrà smontare il reddito di cittadinanza (idem per il provvedimento leghista di quota 100), dovrà intervenire sulle agevolazioni fiscali, tagliandole, senza fare alcuna riforma fiscale. E soprattutto dovrà limitare i costi della sanità e avviare una politica le cui linee guida può trovare agevolmente nelle tasche del loden di Mario Monti. Dovrà però farsi consigliare meglio dai colleghi di + Europa per evitare di cadere in contraddizione. Come ha fatto ieri. Dopo aver sparato a zero contro le dichiarazioni pro debito di Matteo Salvini, è stato a Genova in visita allo stabilimento della Piaggio Aerospace, azienda in grave crisi e con oltre 1.000 dipendenti (elettori) a rischio. Di Maio ha detto no allo spezzatino immaginato dal colosso della difesa Leonardo. Ha ribattuto davanti ai sindacati: garantiremo tutti i posti e il ministero della Difesa si impegnerà per nuove commesse. Che tradotto significa, fare deficit (e poi debito) per garantire con denaro pubblico posti di lavoro. Sarebbe una scelta in linea con il contratto di governo gialloblù. Peccato che ieri Di Maio abbia rinnegato tale filosofia per vestire il loden. Evidentemente l'inversione a U dovrebbe servire per tenersi pronto a ogni evenienza. Soprattutto quella di dover trovare un nuovo alleato. La mossa non esclude però una serie di cause effetto, fino a trasformare il leader grillino in un Moscovici usa e getta. Adesso l'attrazione del Quirinale è forte, ma una volta rotta l'alleanza con la Lega quale spazio politico potrebbe avere il nuovo Di Maio ? A sostenere l'Europa c'è già il Pd e soprattutto (nome omen) +Europa. Assieme ai competenti Di Maio starebbe a disagio e poi dovrebbe scansare l'ego di Carlo Calenda. Ma soprattutto, adesso il capo dei grillini è così preso dall'ostacolare Salvini in vista del voto europeo, poi si troverebbe a spiegare al suo elettorato che tutti i ragionamenti sulla necessità di ridiscutere le regole Ue e cercare un rilancio dell'economia erano fuffa. Perderebbe per strada metà Movimento. Esattamente ciò che vogliono coloro che in questi giorni lo stanno consigliando di inginocchiarsi all'Ue.
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