2022-11-11
Descalzi boccia la ricetta Ue. «Price cap e acquisti comuni non frenano i prezzi del gas»
Claudio Descalzi (Imagoeconomica)
L’ad di Eni a ruota libera a Bruxelles: «Servono subito rigassificatori e liquefatori. Il Green deal è d’ostacolo alla transizione. C’è troppa incertezza sugli investimenti».Col regolamento sull’inquinamento atmosferico, l’Italia dovrà abbattere le emissioni non più del 30% ma del 43,7%. Lo stop al gasolio rischia di far saltare l’intero mercato.Lo speciale contiene due articoliMentre a Bruxelles si prepara il confronto tra Commissione e Consiglio europeo sul price cap, ieri l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, è intervenuto all’evento «Zero carbon technology roadmap», organizzato dalla European House Ambrosetti proprio nella capitale belga. A margine dell’incontro il manager ha rilasciato una serie di dichiarazioni.Sul price cap, il manager ha affermato che si tratta di uno strumento insufficiente per contenere i rincari. Quello che occorre è «diversificare le fonti di approvvigionamento e investire in infrastrutture: rigassificatori e liquefatori». «Occorre però capire qual è il ruolo del gas in Europa, perché se il gas non ci fosse in Europa nel prossimo futuro gli investimenti non si possono fare, dunque è un cane che si morde la coda» ha proseguito Descalzi.Qui il riferimento è alle prospettive del Green deal in salsa europea, che punta ad eliminare totalmente il gas. Il paradosso attuale è evidente: per attuare il Green deal si è disincentivata l’offerta di idrocarburi, che però sono necessari per la transizione verso le emissioni zero. Ma se la prospettiva è idrocarburi zero, nessuno investe e l’offerta non copre la domanda neppure nel breve termine, con gli effetti che stiamo vedendo.Si tratta di un’aporia da cui Bruxelles deve uscire al più presto. Negli Usa, ad esempio, si stanno costruendo alcuni impianti di liquefazione di gas con data di consegna 2025, insufficienti a coprire la domanda asiatica e la nuova domanda europea. Per fare nuovi impianti di liquefazione servono certezze per gli investitori, cioè contratti di lungo termine, a 20 anni. Ma quale azienda europea oggi si può legare con un contratto ventennale di acquisto di gas se poi il quadro normativo di Bruxelles ne vieterà presto il consumo? In merito alle novità regolatorie che l’Unione europea sta studiando, Descalzi si è mostrato scettico sull’efficacia della costituenda piattaforma per gli acquisti comuni, su cui invece l’Ue punta molto. La piattaforma «probabilmente è uno dei possibili strumenti» utilizzabili, ma «ricordiamoci che si tratta di accordi fra privati non fra Stati». Un conto, afferma in sintesi Descalzi, è il modello russo, dove c’è uno Stato che vende gas a compagnie private (come fa anche il Qatar). «Ma tutto il resto del mondo sono compagnie che vendono gas ad altre compagnie; quindi, l’Europa dovrebbe costruire una piattaforma con competenze commerciali, contrattuali, conoscenze profonde del mercato non solo europeo ma mondiale ed entrare in un discorso di mediazione tra compagnie e non Stati», ha proseguito. «Non so come sarà concepita la piattaforma, ma se mette insieme delle compagnie che devono negoziare, queste compagnie sono in competizione». Dal tono delle dichiarazioni dell’ad di Eni, sembra di capire che ci sia ben poca voglia da parte dell’azienda italiana di partecipare al pool di acquisto. Di cui, del resto, né Eni né l’Italia hanno bisogno. Il forte scetticismo sullo strumento degli acquisti comuni mostrato da Descalzi è suffragato anche dalle difficoltà pratiche di un modello del genere. Il mercato europeo ha, ad esempio, degli spread di prezzo tra i vari hub nazionali: a quale hub dovrebbe avvenire la consegna di un acquisto comune? Lo spread sarebbe poi ripartito pro quota sugli acquirenti? Piuttosto, afferma Descalzi, è indispensabile non tardare neppure di un giorno sulla messa a regime dei rigassificatori. «In Italia abbiamo sostituito parzialmente il gas russo dal 2023 con circa 7 miliardi di metri cubi da diverse parti del mondo attraverso Gnl. I nostri impianti di rigassificazione sono occupati fino al 2026 e questi 7 miliardi che dovrebbero rimpiazzare parzialmente il gas russo e riempire gli stock se non trovano rigassificatori vanno da altre parti. Questa è la criticità: rigassificatori immediatamente».Infine, un accenno alla tassonomia green promossa dall’Ue per incentivare gli investimenti nella transizione energetica. «Con tutto il rispetto, ma l’inserimento del gas in tassonomia è uno scherzo. Non è possibile usarlo. I limiti imposti per gli impianti non sono soddisfacibili». Il riferimento è alla soglia massima di emissioni di CO2 che sono consentite agli impianti termoelettrici a gas dalla tassonomia approvata, un valore talmente basso da essere di fatto irraggiungibile.Le parole di Claudio Descalzi, pronunciate non casualmente proprio a Bruxelles, suonano come una critica radicale, sia pure garbata, alle scelte dell’Unione europea. Acquisti comuni, price cap e tassonomia verde sono di fatto bocciati dall’ad di Eni, che stigmatizza anche l’incertezza conseguente alla scarsa lungimiranza della Commissione. Non sembra casuale neppure la circostanza in cui queste affermazioni vengono fatte, cioè in un momento di passaggio, con il nuovo governo italiano che sta prendendo in mano i vari dossier. È stato grazie al pragmatismo di Descalzi che il precedente governo ha potuto stringere diversi accordi per ricevere gas liquido nei prossimi anni e sostituire così il gas russo dal 2024. Oggi, lo stesso pragmatismo sembra suggerire a Giorgia Meloni e al ministro della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin un approccio meno deferente e più oggettivo, per non dire più robusto, alla trattativa continua che si sviluppa a Bruxelles, in discontinuità con il governo precedente.In conclusione, una nota su prezzi e consumi di gas. Con l’arrivo dei primi freddi i consumi civili di gas alzano la testa e i prezzi seguono. Le quotazioni del gas con consegna giornaliera in Italia sono tornate sopra i 90 €/MWh, in corrispondenza con l’aumento dei consumi per riscaldamento. Ieri sono stati consumati oltre 80 milioni di metri cubi di gas per usi civili, quasi il doppio di quanto si è consumato il 3 novembre. I dati consuntivi dei consumi di ottobre invece fanno segnare in Italia un complessivo –15% rispetto alla media dei quattro anni precedenti, con consumi industriali da piena recessione (-24%).<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/descalzi-boccia-la-ricetta-ue-price-cap-e-acquisti-comuni-non-frenano-i-prezzi-del-gas-2658630267.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="leuropa-ci-bastona-su-diesel-e-c02" data-post-id="2658630267" data-published-at="1668105019" data-use-pagination="False"> L’Europa ci bastona su diesel e C02 Per avere aria pulita l’Europa c’impone di smettere di respirare. O perlomeno soffoca l’economia. Due sono i provvedimenti che fanno innalzare le barricate al mondo produttivo. Il primo è il regolamento sull’inquinamento atmosferico e le emissioni di Co2 sui cui Consiglio Ue e Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo anche per farsi belli durante la Cop27 (si è tenuta a Sharm El Sheikh giusto per stare comodi e sono arrivati quasi tutti col jet privato). L’accordo stabilisce che i diversi Paesi devono tagliare le emissioni per ottenere il risultato del 40% in meno di gas serra in Europa entro il 2030. L’Italia si era data come obbiettivo una riduzione del 30% entro il 2030, l’Europa lo porta al 43,7%. La Bulgaria dovrà ridurre solo del 10% la Svezia al 50%, ma a fare infuriare i produttori è che i settori che devono tagliare le emissioni sono quelli che non si possono comprare i Tse (i famigerati permessi a inquinare che sono i primi responsabili degli aumenti fuori controllo del prezzo del gas) e cioè il trasporto marittimo, quello su strada, gli edifici, l’agricoltura, i rifiuti e le piccole industrie. Ma il secondo provvedimento è ancora più stringente. La Commissione ha varato i nuovi limiti dei motori euro 7 che diventeranno operativi – una volta approvati a Strasburgo - entro il luglio 2025 per i veicoli leggeri ed entro il 2027 per i camion. Non si occupa solo di emissioni di Co2 ma anche di polveri sottili che si producono con i freni e gli pneumatici, pone limiti anche alle auto elettriche. Le auto e i furgoni dovranno emettere il 35% in meno e i mezzi più grandi il 56%. Inoltre, il particolato dovrà essere ridotto, rispettivamente, del 13% e del 39%, mentre per gli impianti frenanti è previsto un taglio del 27%. La stangata è soprattutto su camion e furgoni perché i limiti sono di fatto incompatibili con l’attuale produzione. La Commissione ha allungato la vita degli Euro 6 ora in circolazione a 200.000 chilometri, ma di fatto decreta la morte anticipata dei motori diesel. Ursula von der Leyen ha fatto sapere: «Ci siamo preoccupati anche del possibile aumento dei costi, ma stimiamo che l’adeguamento inciderà tra 90 e 150 euro per auto e furgoni e circa 2700 euro per camion e autobus». Il problema è che probabilmente i costruttori non avranno più interesse a sviluppare questi motori. Lo dice chiaro Marco Bonometti, ex presidente di Assolombarda: «Se questi limiti sono troppo onerosi il gioco di produrre motori non vale la candela». L’Anfia – sono i costruttori italiani - sostiene che questo pacchetto soprattutto per i veicoli pesanti finirà per far venire meno gli investimenti per lo sviluppo dei veicoli elettrici e a idrogeno. Per il capo dei costruttori europei Oliver Zipse «il beneficio ambientale della proposta della Commissione è molto limitato, mentre aumenta pesantemente il costo dei veicoli. Inoltre il regolamento è stato scritto pensando a un uso estremo dei veicoli che non si verifica nella realtà. E c’è il problema dei tempi, soprattutto per i veicoli pesanti. Le norme non saranno definite prima di metà 2024 e le date di attuazione - luglio 2025 per le auto e i furgoni e luglio 2027 per i veicoli pesanti – non sono realistiche: ci sono tantissimi modelli che devono essere sviluppati, ingegnerizzati, testati e omologati. Euro 7 rischia di essere troppo complesso e troppo oneroso». E se sui i veicoli va così peggio ancora va con l’agricoltura. Dice Massimiliano Giansanti presidente di Confagricoltura: «I nuovi limiti di emissione proposti da Consiglio e Parlamento europeo sono impossibili da raggiungere. L’agricoltura italiana ha tagliato le emissioni del 24% in ventiquattro anni. Pensare di fare in 8 anni più di quello che siamo riusciti a fare in 20 è quasi impossibile. In Europa si guarda più a un mondo virtuale, mentre serve un aggancio all’economia reale».
Il deputato M5s Leonardo Donno, a destra, aggredisce Paolo Barelli di Forza Italia alla Camera dei Deputati (Ansa)
Alberto Nagel (Getty Images)
Antonio Tajani, Giorgia Meloni e Matteo Salvini (Ansa)