2024-05-09
De Pasquale non confermato procuratore aggiunto
Il Csm boccia l’incarico a Milano del magistrato a processo per il caso Eni-Nigeria: «Manca di equilibrio e imparzialità».Ieri il Consiglio superiore della magistratura ha deciso la «retrocessione» del procuratore aggiunto di Milano, Fabio De Pasquale: da oggi torna a essere un pubblico ministero qualsiasi, privo degli incarichi direttivi che ricopriva dal dicembre 2017. Il motivo è la grave condotta di De Pasquale durante il processo Eni-Nigeria, dove una decina d’anni fa (assieme al sostituto procuratore Sergio Spadaro) l’ormai ex procuratore aggiunto aveva sostenuto l’accusa di corruzione internazionale contro 15 imputati, tra cui l’ex amministratore delegato dell’ente petrolifero, Claudio Descalzi. In quel procedimento, per la sua importanza «politica» ritenuto cruciale dalla Procura milanese, s’ipotizzava che l’Eni avesse pagato una tangente da oltre 1 miliardo di dollari per ottenere diritti di esplorazione nel Paese africano. Il processo Eni-Nigeria, però, si era concluso in primo grado nel marzo 2021 con l’assoluzione piena per tutti gli imputati. E la Procura generale milanese aveva addirittura deciso di non ricorrere in appello, rendendo così definitive le assoluzioni. Nel gennaio 2023 De Pasquale era poi finito sotto processo a Brescia per il reato di rifiuto di atti di ufficio, accusato di non aver depositato alcuni importanti documenti a favore delle difese. In una chat telefonica risultava che un teste dell’accusa, l’ex dirigente dell’Eni Vincenzo Armanna, aveva versato 50.000 dollari ad altri due testimoni perché confermassero le sue accuse. In una videoregistrazione del luglio 2014 lo stesso Armanna manifestava propositi ritorsivi nei confronti dell’Eni, minacciando di far cadere «una valanga di merda» sui vertici dell’ente. De Pasquale era a conoscenza di queste prove di estrema rilevanza, che devastavano la credibilità del teste Armanna, ma con il sostituto Spadaro aveva deciso di non depositarle.Per queste condotte, contro De Pasquale il procuratore generale della Cassazione aveva aperto un procedimento disciplinare e il Csm ne aveva avviato uno per incompatibilità ambientale: entrambi al momento sono sospesi in attesa dei risultati del processo penale di Brescia. La delibera approvata ieri dal plenum del Csm - che ha ottenuto 23 voti favorevoli, tra cui quello del vicepresidente Fabio Pinelli, mentre altri quattro membri (tutti progressisti) si sono astenuti - critica con durezza «il difetto d’imparzialità e di equilibrio» di De Pasquale nel processo Eni-Nigeria, e censura con forza «la contraddittorietà delle sue scelte processuali». Nell’atto si legge che «risulta dimostrata l’assenza dei prerequisiti della imparzialità e dell’equilibrio» del magistrato, cui viene rimproverato di aver «reiteratamente esercitato la giurisdizione in modo non obiettivo né equo rispetto alle parti, nonché senza senso della misura e senza moderazione». La censura del Csm nei confronti di De Pasquale è così aspra da lasciar intendere che anche il procedimento disciplinare al momento sospeso non sarà una passeggiata. Nella delibera si legge infatti che «le condotte poste in essere dal magistrato, lungi dall’essere contingenti e occasionali, rappresentano un modus operandi consolidato e intimamente connesso al suo modo di intendere il ruolo ricoperto». È probabile che De Pasquale chieda al Tar una sospensiva della delibera. Ieri, intanto, sulla sua «retrocessione» si è espresso con ironia Maurizio Gasparri, presidente dei senatori di Forza Italia: «Spero che il Csm guardi anche altrove», ha detto, «perché di magistrati da declassare ce ne sono tanti…». Poi ha aggiunto: «Penso ad esempio a quanti non accettano le sentenze della Cassazione che smentiscono le azioni infondate che hanno avviato per anni». Gasparri è parso riferirsi agli inquirenti fiorentini che dal 2017 accusano l’ex parlamentare azzurro Marcello Dell’Utri (e, attraverso di lui, il defunto Silvio Berlusconi) di essere il mandate delle stragi di mafia del 1993. «Speriamo davvero», ha concluso Gasparri, «che il Csm prosegua in questa ottima azione disciplinare».
Richard Gere con il direttore di Open Arms Oscar Camps (Getty Images)
Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
(Guardia di Finanza)
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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