2019-09-17
Denunciarono il commercio dei feti. Giornalisti finiscono sotto processo
David Daleiden e Sandra Merritt investigarono su tessuti e organi che sarebbero stati venduti da Planned parenthood, colosso abortista. Rinviati a giudizio per registrazioni illegali e associazione a delinquere: rischiano 10 anni.Sabato scorso numerose associazioni pro life negli Stati Uniti si sono riunite per pregare sulle tombe dei bambini abortiti. Perché «l'aborto ha delle vere vittime», ha ricordato uno degli attivisti che hanno recuperato molti poveri resti dando loro sepoltura. La maggior parte dei feti, però, finisce ancora tra i rifiuti ospedalieri e viene incenerita. Una buona percentuale di cuore, testa, tessuti verrebbe invece venduta ad aziende di biotecnologie, come per anni avrebbe fatto la multinazionale dell'aborto Planned parenthood secondo la documentazione raccolta dai giornalisti investigativi David Daleiden e Sandra Merritt. Tra il 2014 e il 2015, i due attivisti del no profit Center for medical progress (Cmp) registrarono di nascosto una ventina di filmati dal contenuto sconvolgente, di cui La Verità mostrò alcuni frammenti. Scene raccapriccianti con feti dissezionati, ciniche contrattazioni sul prezzo del materiale umano venduto, commenti di medici e operatori sanitari sul lavoro da bassa macellazione, scambiati mentre pranzano al ristorante. Gli autori di quella formidabile denuncia sono finiti, loro, dalla parte del torto. Rinviati a giudizio, devono rispondere di 14 accuse di reato per «registrazioni illegali» e una per associazione a delinquere. Il 3 settembre, in un tribunale di San Francisco ha preso il via l'udienza preliminare e se al termine delle due settimane, martedì prossimo, il giudice dovesse decidere per il dibattimento, il processo potrebbe concludersi con una condanna a 10 anni di carcere per Daleiden e Merrit. Il sito Lifesitenews sta seguendo tutte le fasi dell'udienza e ne dà testimonianza, a differenza di quanto fanno i principali quotidiani americani. David Daleiden, che per la sua campagna antiaborto aveva creato Biomax procurement services, una finta società di ricerca biomedica, assieme all'attivista Sandra Merritt si era finto potenziale acquirente di tessuti e organi fetali. Parteciparono a convegni, a incontri riservati, registrando di nascosto commenti, dichiarazioni di medici, dirigenti che lavorano per Planned parenthood. Video che accusavano il colosso abortista (ha fatturato quasi 1,46 miliardi di dollari di negli Stati Uniti secondo il report 2016-2017) di vendere tessuti fetali in violazione del diritto federale. Invece di essere salutati come paladini dei diritti di donne e bambini, che sono i primi a essere calpestati da un simile mercimonio, i due attivisti si sono ritrovati contro l'America dei democratici. A Planned parenthood l'ex presidente Barack Obama aveva concesso finanziamenti pubblici per circa mezzo miliardo di dollari l'anno e in difesa del centro «per la pianificazione familiare» si contano più i favorevoli che i contrari. Durante l'udienza, l'ex ufficiale giudiziario Brian Cardwell ha testimoniato che l'ordine di perquisire Daleiden partì dall'allora procuratore generale degli Stati Uniti Loretta Lynch (prima donna afroamericana a ricoprire quel ruolo per volontà di Obama), che chiese alla procuratrice generale della California, Kamala Harris, di indagare su Daleiden e Merrit. La Harris, oggi senatrice democratica candidata alle primarie, secondo Lifesitenews avrebbe ricevuto ingenti somme di denaro da Planned parenthood in appoggio alla sua candidatura. Anche il suo successore, il procuratore generale Xavier Becerra, è democratico e abortista.La Nuova Bussola quotidiana ricorda che «il comitato editoriale del grande quotidiano New York Times, definì l'indagine (degli attivisti, ndr) una «campagna di diffamazione contro Planned parenthood» e si chiede quale sarebbe stata la reazione pubblica se «i procuratori fossero stati repubblicani e le vittime della giustizia politica dei progressisti». Daleiden e il suo team sostengono che le loro azioni non sono illegali, secondo le leggi che proteggono i giornalisti da potenti gruppi di interessi che cercano di intimidire o mettere a tacere una persona che denuncia la corruzione. Eppure, lo scorso aprile la Corte suprema degli Stati Uniti ha negato la richiesta della Thomas More society di annullare quella che lo studio legale pro life definisce causa «discriminatoria», intentata dal colosso abortista contro il giornalista sotto copertura. Per il trentenne, fondatore nel 2013 del Center for medical progress, venerdì è stata la giornata delle dichiarazioni. Daleiden ha testimoniato di essersi mosso, indignato perchédopo le audizioni al Congresso di un ex tecnico nelle cliniche abortiste, Dean Alberty in cui spiegava come feti smembrati venivano venduti per la ricerca scientifica, «dal 2000 al 2010 nessuno si era mosso per investigare». Nel corso dell'udienza preliminare molte sue accuse sono state confermate. Il testimone Doe 12, amministratrice delegata dell'azienda biotech Stemexpress, ha ammesso che l'azienda fornisce ai ricercatori «cuori fetali battenti e teste fetali intatte», che possono essere anche «strappate dal corpo». L'abortista Doe 3, che aveva definito il bimbo in grembo come un «piccolo oggetto tenace», ha confermato al giudice di usare la digitale per fermare il cuore dei bambini e poter poi operare con maggiore tranquillità. Altre testimonianze dovrebbero scagionare Daleiden, mostrando l'utilità del suo lavoro di denuncia, eppure molti temono che finirà sotto processo. Il presidente Donald Trump ha promesso di tagliare i fondi alle cliniche abortiste, ma c'è ancora tanto da fare per togliere vita ai movimenti abortisti.
Ilaria Salis e László Dudog (in foto piccola) Ansa
Ilaria Salis (Imagoeconomica)
Donald Trump (Ansa). Nel riquadro il suo post pubblicato su Truth con cui ha annunciato il raggiungimento dell'intesa tra Israele e Hamas
Nella notte raggiunto l'accordo tra Israele e Hamas per il cessate il fuoco e la liberazione dei prigionieri. Il presidente americano: «Giornata storica». Le truppe israeliane lasceranno la Striscia, tranne Rafah. Guterres: «Tutti rispettino l’intesa».
È stato Donald Trump, poco prima dell’una italiana, ad annunciare il raggiungimento di un accordo tra Israele e Hamas per una tregua nella Striscia di Gaza e la liberazione degli ostaggi ancora in mano al gruppo islamista. «Sono molto orgoglioso di comunicare che Israele e Hamas hanno entrambi firmato la prima fase del nostro piano di pace», ha scritto il presidente americano su Truth, definendo quella di oggi «una giornata storica».
Secondo le prime ricostruzioni dei media israeliani, la firma ufficiale dell’intesa è prevista alle 11 italiane. L’accordo prevede il ritiro dell’Idf, l’esercito israeliano, da gran parte della Striscia di Gaza, con l’eccezione di Rafah, e il rilascio degli ostaggi sopravvissuti entro la fine del fine settimana, probabilmente tra sabato e domenica. Il piano, frutto di settimane di mediazione tra Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia, stabilisce anche la liberazione di circa duemila detenuti palestinesi in cambio del rilascio dei prigionieri israeliani. Lo scambio dovrà avvenire entro 72 ore dall’attuazione dell’accordo.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato la notizia in un comunicato del suo ufficio, parlando di «una conversazione molto emozionante e calorosa» avuta con Trump subito dopo l’annuncio. «I due leader si sono congratulati per lo storico risultato ottenuto con la firma dell’accordo per la liberazione di tutti gli ostaggi», si legge nella nota. Netanyahu ha ringraziato Trump «per la sua leadership e per gli sforzi a livello globale», ricevendo a sua volta le lodi del presidente americano per «la sua guida determinata». Trump, parlando poi con Axios, ha rivelato di aver ricevuto un invito ufficiale a recarsi in Israele. «Probabilmente nei prossimi giorni visiterò il Paese e potrei rivolgermi alla Knesset. Vogliono che tenga un discorso, e se lo desiderano, lo farò sicuramente», ha detto. E ha aggiunto: «Per raggiungere questo accordo si sono uniti gli sforzi di tutto il mondo, compresi Paesi ostili. È un grande risultato. La mia chiamata con Netanyahu è stata fantastica, lui è molto contento, e dovrebbe esserlo». In un altro messaggio pubblicato sui social, il presidente americano ha voluto ringraziare i mediatori regionali: «Tutte le parti saranno trattate equamente. Questo è un grande giorno per il mondo arabo e musulmano, Israele, tutte le nazioni circostanti e gli Stati Uniti d’America. Benedetti gli operatori di pace!».
Da Gaza, Hamas ha confermato la propria adesione, sottolineando che l’accordo «prevede la fine della guerra, il ritiro dell’occupazione, l’ingresso di aiuti e uno scambio di prigionieri». Il movimento islamista ha ringraziato «i mediatori di Qatar, Egitto e Turchia» e «gli sforzi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che mira a porre fine definitivamente alla guerra». Hamas ha poi chiesto ai mediatori internazionali di «costringere Israele ad attuare pienamente i requisiti dell’accordo e a non permettergli di eludere o ritardare quanto concordato». Secondo la Bbc, resta invece fuori dall’intesa la richiesta di Hamas di includere nel piano lo storico leader palestinese Marwan Barghouti, la cui scarcerazione è stata respinta da Israele.
La notizia dell’accordo ha provocato scene di entusiasmo nella Striscia: i media israeliani riferiscono che migliaia di palestinesi sono scesi in strada a Gaza, tra clacson, canti e fuochi d’artificio, dopo l’annuncio del presidente americano. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha accolto con favore la svolta: «Accolgo con favore l’annuncio di un accordo per garantire un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi a Gaza, sulla base della proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti. Elogio gli sforzi diplomatici di Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia nel mediare questa svolta disperatamente necessaria». Guterres ha poi invitato «tutti gli interessati a rispettare pienamente i termini dell’accordo», sottolineando che «tutti gli ostaggi devono essere rilasciati in modo dignitoso» e che «deve essere garantito un cessate il fuoco permanente».
Intanto, sui social, i familiari degli ostaggi hanno diffuso un video di ringraziamento rivolto a Trump: «Il presidente ce l’ha fatta, i nostri cari stanno tornando a casa», affermano alcuni di loro. «Non smetteremo di combattere finché non tornerà l’ultimo dei 48 ostaggi». Se i tempi saranno rispettati, la giornata di oggi potrebbe segnare la fine di una guerra durata quasi un anno, costata decine di migliaia di vittime e un drammatico esodo di civili. Un accordo che, nelle parole dello stesso Trump, «è solo il primo passo verso una pace forte e duratura».
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