2022-12-05
La denatalità ci porterà all’estinzione. È folle «il diritto a non essere madri»
Gian Carlo Blangiardo (Imagoeconomica)
Lo scenario delineato da Gian Carlo Blangiardo al festival di Statistica e demografia a Treviso è mostruoso. Ma anziché reagire alla cultura dell’estinzione, si sbaglia ancora, rivendicando la libertà di non avere figli.Un tempo, almeno, c’era il sole dell’avvenire. La promessa di un futuro caldo e radioso, di una vita libera e armoniosa. Oggi, invece, resta la notte nera e gelida dell’inverno demografico. Fateci caso: quelli che un tempo si chiamavano progressisti oggi non offrono nemmeno più il progresso, ma al massimo scenari di catastrofe. Tentano di cancellare e riscrivere il passato, e nel frattempo hanno abolito il futuro per farci concentrare nell’eterno presente. Del resto, se non c’è più nulla da tramandare, se non ci sono più fedi o idee forti da sostenere, non resta che consumare i propri giorni godendosela il più possibile, prima che il disastro si manifesti.Nella gran parte dei casi - vedi l’apocalisse climatica o quella virale - il disastro paventato è semplicemente uno spauracchio utile a spargere terrore per imporre lo stato di emergenza. Ma mentre i media in coro si occupano delle devastazioni presunte, quelli reali avanzano sottotraccia. I numeri forniti da Gian Carlo Blangiardo, bravo studioso e presidente dell’Istat, in occasione del festival della Statistica e della demografia di Treviso sono mostruosi: nel 2021 siamo scesi sotto le 400.000 nascite, e quest’anno sprofonderemo ancora. «Se la decrescita è di queste dimensioni», ha dichiarato Blangiardo al Messaggero, «decresce anche l’economia. Da qui al 2070 stimiamo una perdita di Pil di circa 500 miliardi. Ancora prima, nell’arco di vent’anni, ci sarà una riduzione delle unità di consumo, calcolate in base alle famiglie, del 2,5%. In alcune regioni anche del 10%». È la cronaca di un’estinzione. Il governo ha annunciato - per bocca di Giorgia Meloni - che tenterà di garantire il «diritto a diventare madri» delle italiane. Per ora le misure in questo senso non sono entusiasmanti, e a livello nazionale sono poche le regioni che si distinguono per buone pratiche. Tra queste c’è il Piemonte, che dopo aver creato il fondo Vita nascente (460.000 euro per sostenere le donne in difficoltà che intendono partorire) ora ha stanziato 1 milione di euro che andranno alle piccole e medie imprese decise a supportare la maternità delle dipendenti con la creazione di asili o l’organizzazione di campi estivi o ancora con l’ampliamento del congedo parentale. Iniziative importanti, che possono davvero fare la differenza.Tocca rendersi conto, tuttavia, che il problema della scarsa natalità non è prettamente economico, ma prima di tutto culturale. C’è innanzitutto un dato di fatto: ormai da tempo i figli non sono più una necessità bensì «una scelta». Come ha scritto Lucetta Scaraffia, essi sono «frutto […] di un desiderio privato, perché la procreazione è diventata un atto consapevole». Prima di mettere al mondo un bambino si soppesano razionalmente le varie opzioni: conviene riprodursi oppure no? Molti decidono che non sia conveniente. E se le coppie pensano soltanto a sé stesse all’interno di una logica simile a quella del mercato, non c’è aiuto statale che tenga: «L’invecchiamento dell’umanità, lo schiacciamento del futuro a opera del passato non può che essere la conseguenza di una visione unilaterale della relazione di coppia», sosteneva Joseph Ratzinger.L’uscita dalla mentalità dell’estinzione dovrebbe essere dunque prodotta costruendo un cambiamento culturale. Ma a giudicare da ciò che vediamo attorno, questo cambiamento è lungi dal verificarsi, anzi si sta verificando un’accelerazione nel senso opposto. Lo dimostra un libro appena pubblicato da Mondadori e intitolato I figli che non voglio. Giornaliste, scrittrici e intellettuali di varia natura raccontano il proprio rapporto con la maternità, per lo più immaginaria. Spiegano perché non hanno intenzione di procreare, o temporeggiano. È solo l’ultimo, questo, di una lunga serie di testi che celebrano il diritto di non essere madri, antica rivendicazione femminista ora tradottasi in brutale realtà.Lungi da noi il biasimo e la condanna: ciascuno deve poter gestire la propria vita come meglio crede. Resta però l’amarezza al cospetto di un quadro oscuro, che probabilmente non sarà possibile illuminare diversamente. Se siamo divenuti una terra desolata nel senso eliotiano del termine, cioè una terra sterile e dura, lo dobbiamo al sistema in cui ci siamo più o meno volontariamente immersi. Siamo arrivati al punto che il filosofo Schopenhauer aveva soltanto sognato quando si domandava: «Se l’atto generativo non sarà più un bisogno né un godimento, ma puramente un affare di riflessione e di ragione, la specie umana potrebbe ancora sussistere?». La risposta sembra essere no.Lo aveva compreso perfettamente, in un libro uscito esattamente vent’anni fa, il pensatore francese Paul Virilio. «Dopo l’uccisione del creatore (la morte annunciata di Dio nel XIX secolo)», spiegava, era inevitabile la «morte del procreatore» nel secolo XX. Ora siamo alla fase ancora ulteriore, in cui la creazione della vita è affidata in larga parte alla tecnoscienza. Abbattendo il Padre, insomma, ci siamo resi sterili, di una sterilità spirituale che si trasforma in sterilità fisica.È una mutilazione autoinflitta che ci provoca ogni giorno dolore, e l’unico modo che abbiamo trovato per consolarci e convincerci da soli che si tratti non di un dramma ma di un «diritto».