2024-08-02
Tra i dem è già lite: i filopalestinesi minacciano la Harris sulla scelta del vice
La base si oppone alla (possibile) candidatura di Josh Shapiro, governatore ebreo della Pennsylvania, che è uno Stato chiave.Negli scorsi giorni, una certa vulgata a reti unificate vi ha raccontato che, grazie alla discesa in campo di Kamala Harris, il Partito democratico americano aveva ritrovato euforia e, soprattutto, compattezza. Qui, su La Verità, invitavamo invece alla cautela. Sì, perché, al netto dello sfoggio di unità mostrato la scorsa settimana dai leader dem, l’Asinello deve ancora fare i conti con divisioni intestine profonde e strutturali. Divisioni che, adesso, stanno riaffiorando. E che non promettono nulla di buono per la campagna elettorale della vicepresidente.Entro la prossima settimana, la Harris annuncerà l’identità del proprio running mate. Attualmente sono svariati i nomi al vaglio della vicepresidente. Tuttavia a godere delle quotazioni maggiori è il governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro. Si tratta di un profilo senza dubbio interessante. Innanzitutto è una figura meno ideologizzata di altri dem in lizza. In secondo luogo, potrebbe essere capace di portare in dote alla Harris uno Stato elettoralmente cruciale come la Pennsylvania. Infine, pur non godendo di eccessiva notorietà a livello nazionale, Shapiro si rivelerebbe utile alla Harris per attrarre il voto dei colletti blu della Rust Belt: una quota elettorale rispetto a cui Donald Trump è attualmente in vantaggio. Eppure, nonostante queste qualità, il nome del governatore della Pennsylvania si sta trasformando in un grosso problema per la Harris. Sì, perché vari settori della sinistra americano stanno cercando di boicottare la sua eventuale investitura a running mate.Martedì, i leader di una cinquantina di organizzazioni progressiste hanno inviato una lettera alla Harris, chiedendole di non scegliere Shapiro e di virare su altri nomi, come Tim Walz e Andy Beshear, governatori rispettivamente di Minnesota e Kentucky. Nella missiva, si fa riferimento al fatto che Shapiro avrebbe attuato delle politiche in contrasto con i sindacati degli insegnanti. In realtà, l’astio della sinistra è principalmente alimentato dal fatto che il governatore della Pennsylvania, oltre che ebreo, è anche uno strenuo sostenitore di Israele: uno che, per capirci, ha aspramente criticato le recenti proteste filopalestinesi nei campus americani. Proprio ieri, il New York Times ha riferito che gli oppositori di Shapiro hanno aperto un sito web chiamato «No Genocide Josh», promuovendo inoltre una petizione contro di lui. Come se non bastasse, a esprimersi contro l’ipotesi che la Harris opti per Shapiro è stata anche If Not Now: organizzazione che, oltre a essere coinvolta nelle proteste universitarie antisraeliane, è spalleggiata, secondo Politico, dalla Tides Foundation, che è a sua volta stata finanziata da George Soros. Quello stesso Soros che, stando al Wall Street Journal, si è di recente espresso a favore della candidatura presidenziale della Harris.Dal canto suo, The Hill ha riportato che un’altra organizzazione liberal, chiamata Vp Unity, avrebbe sostenuto che la scelta di Shapiro potrebbe irritare gli arabo-americani. Ricordiamo che, negli scorsi mesi, proprio questa quota elettorale aveva avviato una campagna di boicottaggio ai danni della ricandidatura di Joe Biden, accusato di essere troppo favorevole a Israele. Vale a tal proposito la pena di ricordare che, storicamente dem, le comunità arabo-americane risultano particolarmente decisive in alcuni Stati chiave, di cui la vicepresidente ha estremo bisogno, se vuole vincere le elezioni a novembre (si pensi solo al Michigan). Ovviamente, i sostenitori del governatore della Pennsylvania non se ne stanno con le mani in mano. In sua difesa è andato soprattutto il deputato dem, Ritchie Torres. «Ogni potenziale candidato alla carica di vicepresidente è filoisraeliano. Eppure solo uno, Josh Shapiro, è stato puntato da una campagna diffamatoria di estrema sinistra che lo ha definito ‘Genocide Josh’. Il motivo per cui viene trattato in modo diverso dagli altri? L’antisemitismo», ha dichiarato Torres. Insomma, il clima di unità che, secondo qualcuno, la Harris era riuscita a creare si è già infranto. Che cosa farà adesso la vicepresidente? Sceglierà Shapiro, inimicandosi l’estrema sinistra? Oppure cederà alle pressioni dei radicali filopalestinesi, irritando l’ala centrista dei dem e, soprattutto, precludendosi il voto dei colletti blu della Rust Belt? La scelta del vice è una questione imminente e dirimente. La vicepresidente non potrà più rifugiarsi nell’ambiguo cerchiobottismo da lei finora furbescamente adottato sulla crisi mediorientale. Nel settembre 2021, glissò quando una studentessa accusò Israele, davanti a lei, di «genocidio etnico». La settimana scorsa ha detto di non voler restare in silenzio sulle sofferenze di Gaza, evitando di partecipare al discorso, tenuto al Congresso Usa, da Benjamin Netanyahu. Pochi giorni fa, ha invece detto che Israele ha il diritto di difendersi da Hezbollah, sebbene faccia parte di un’amministrazione che ha condotto finora una politica di appeasement verso quegli ayatollah che storicamente finanziano proprio Hezbollah.Ma non è tutto. Da governatore, Shapiro si è assai ammorbidito nei confronti del fracking, controverso metodo di estrazione del gas molto in voga in Pennsylvania. La stessa Harris, pur continuando a presentarsi come una paladina del green, ha fatto recentemente sapere di non essere più favorevole al divieto di questa pratica: un bagno di pragmatismo che potrebbe però irritare quegli ambientalisti che votarono per i dem alle elezioni del 2020. Insomma, tra estremisti antisraeliani e ambientalisti radicali, i nodi, per la Harris, stanno iniziando a venire al pettine.
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