2019-03-15
Dem e metà repubblicani fanno saltare lo stato di emergenza sul muro. Pur di dare addosso a Trump
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Il numero uno della Casa bianca si gioca il proprio futuro politico. Retrocedere su questo punto implicherebbe una sconfitta indelebile: un'eventualità che il presidente non può certo permettersi, visto l'approssimarsi delle elezioni del 2020.Schiaffo del Senato americano a Donald Trump. Ieri, la camera alta ha bloccato l'emergenza nazionale che il presidente americano aveva invocato con l'obiettivo di realizzare il muro al confine con il Messico. Dopo non essere riuscito ad ottenere i finanziamenti richiesti a causa dell'opposizione dei democratici alla Camera, il magnate ha scelto di aggirare il Congresso, dichiarando lo stato di emergenza: un potere di cui effettivamente il presidente dispone, in base a quanto prescrive il National Emergencies Act, siglato da Gerald Ford nel 1976. Ciononostante questa strategia ha determinato una vera e propria levata di scudi: non solo – ovviamente – da parte dei democratici ma anche da parte di svariati repubblicani. In particolare questi ultimi si sono divisi in due categorie: i centristi (che non apprezzano la stretta sull'immigrazione clandestina, promossa da Trump) e i conservatori (che considerano l'aggiramento del Congresso come una forzatura costituzionale).E' in questo contesto tumultuoso che è stata approvata la risoluzione di ieri al Senato, con una maggioranza di 59 voti a 41 (con ben dodici defezioni repubblicane). Una risoluzione che – ricordiamolo – era già passata alla Camera il mese scorso con 245 voti contro 182. Il presidente ha cercato di trovare un accordo con i suoi fino all'ultimo momento: ma non c'è stato nulla da fare. Anche perché sarà un caso: ma tra i repubblicani riottosi figurano nomi di senatori storicamente non troppo amichevoli verso Donald Trump (da Mitt Romney a Marco Rubio, passando per Rob Portman). Segno di come forse – al di là delle motivazioni di principio – dietro questa loro scelta possa in realtà celarsi la volontà di fare uno sgambetto al presidente. Senza poi dimenticare che il voto di ieri non sia l'unico atto di ostilità recentemente compiuto dal Senato contro la Casa Bianca. Mercoledì scorso, la camera alta ha infatti approvato un'altra risoluzione che impone al presidente di tagliare gli aiuti americani alla coalizione militare guidata dai sauditi nella guerra civile yemenita: una risoluzione che Trump ha duramente criticato e che non sembra disposto ad accettare.Ebbene, davanti a questa fase di stallo, il magnate non è intenzionato a retrocedere. E, sulla questione dell'emergenza nazionale, ha già dichiarato di voler ricorrere al veto presidenziale. Non dobbiamo infatti dimenticare che la Costituzione americana garantisca al presidente la possibilità di bloccare una legge che non lo aggrada. E il veto può essere aggirato solo se il Congresso riesce a raggiungere una maggioranza qualificata pari ai due terzi dei suoi componenti: una soglia particolarmente elevata e molto difficile da conseguire. Ragion per cui, se – come pare – il presidente dovesse ricorrere al veto, dovrebbe alla fine riuscire a spuntarla, sbloccando i fondi che gli occorrono per la costruzione del muro. Nel caso, si tratterebbe del primo veto posto dall'attuale presidenza: niente di troppo eclatante in sé (Barack Obama e George W. Bush ne hanno posti dodici ciascuno, mentre Bill Clinton ben trentasette).D'altro canto, è chiaro che sulla questione del muro Donald Trump si giochi il proprio futuro politico. Questa proposta programmatica ha da sempre rappresentato il cavallo di battaglia della sua candidatura. Retrocedere su questo punto implicherebbe una sconfitta indelebile: un'eventualità che il presidente non può certo permettersi, visto l'approssimarsi delle elezioni del 2020. I democratici lo sanno benissimo. E, per questo, stanno cercando di opporsi in tutti i modi al finanziamento del muro. Una strategia eminentemente politica che – pur ammantata da orpelli umanitari – non può nascondere il fatto che, in passato, anche l'Asinello abbia rafforzato le frontiere al confine meridionale. Barriere difensive vennero realizzate già nel 1994 ai tempi dell'amministrazione Clinton, mentre – nel 2006 – venne approvato il Secure Fence Act, che finanziava svariate centinaia di chilometri di recinzione lungo la frontiera meridionale: una legge votata anche da ventisei senatori democratici (tra cui Chuck Schumer, Hillary Clinton e Barack Obama). Una sfida puramente politica, insomma, che Trump sembra proprio abbia intenzione di accettare.