2024-04-14
«Delocalizzare? Un errore irreparabile»
Enrico Bracalente, amministratore unico dell’azienda titolare del marchio NeroGiardini: «Negli anni Novanta, tante imprese decisero di trasferirsi all’estero. Ma la ricchezza del made in Italy è il saper fare delle persone che lavorano con noi, per questo non ci siamo mai spostati».Identità, innovazione, istruzione, internazionalizzazione. Sono le quattro «i» che il ministro Adolfo Urso ha scelto per contraddistinguere il made in Italy di cui, domani, verrà celebrata la prima Giornata nazionale, non a caso nel giorno dell’anniversario della nascita di Leonardo da Vinci. «È stato molto importante dedicare una giornata al nostro made in Italy perché, se ben governati, siamo il primo Paese al mondo, abbiamo di tutto e di più, dalla moda alla gastronomia, dalla meccatronica al turismo e al design». Chi parla è Enrico Bracalente, amministratore unico della B.A.G. spa, società che ha creato il brand NeroGiardini che sul valore del Paese ha molto da dire. «Negli anni Novanta abbiamo pensato solo alla delocalizzazione ma guardiamo a quello che sta succedendo ultimamente: tutte le maison francesi stanno facendo shopping in Italia per produrre e noi siamo stati capaci di chiudere le aziende per andare prima in Romania e poi in Cina, in Bangladesh. Abbiamo fatto dei danni irreparabili». È ciò che sostiene anche la ricerca della Fondazione nazionale dei commercialisti dal titolo «Trend di mercato e spunti di riflessione per un modello di analisi della gestione aziendale». Cosa ne pensa? «Si tratta di una ricerca importante, in particolare quando dice che “l’errore principale dei calzaturieri italiani è stato la delocalizzazione”. Una frase sacrosanta. I grandi marchi francesi vengono ad acquistare le nostre aziende produttrici e la filiera perché come noi non lavora nessuno, abbiamo gusto in ogni ambito». Lei ha visto lontano iniziando a puntare sul made in Italy e rimanendo in Italia. Perché ha scelto diversamente a molti altri? «Quando tutti decantavano la delocalizzazione intelligente, e parliamo della metà degli anni Novanta, dopo la caduta del muro di Berlino, sono iniziate le prime massicce delocalizzazioni. All’inizio in Europa dell’Est e poi, gradualmente, verso i Paesi asiatici. Anch’io andai a vedere la situazione in Romania e in Serbia ma mi resi subito conto che costruire e ricreare un gruppo di lavoro, un team come avevo in Italia, era impossibile, ci sarebbero voluti anni. Ho creduto sempre che la vera ricchezza, il patrimonio di qualsiasi realtà sono le persone. Decisi, quindi, di non delocalizzare in primis per salvaguardare i posti di lavoro e poi per portare rispetto a chi aveva contribuito fino a quel momento alla crescita dell’azienda. Feci una scelta in contro tendenza per il personale e per tutelare il made in Italy». La fedeltà ai suoi lavoratori e al suo Paese è stata premiante. E ora si parla di reshoring, uno sprone per un ritorno produttivo in Italia. «È così. Anche il governo incentiva, detassando per cinque anni chi rientra a produrre in Italia. Ma se certe eccellenze si sono perse, rimetterle in piedi non è facile. Il passaggio di competenze dalle vecchie generazioni alle nuove non è cosa semplice per cui noi già 12 anni fa abbiamo iniziato a fare corsi di formazione ai giovani nell’istituto professionale Artigianelli perché prevedevamo che, andando in pensione una generazione, bisognava sostituirla, rimpiazzandola con giovani forze preparate. Ogni anno formiamo una classe con metà ore di didattica e l’altra metà di tecnica. Nell’istituto c’è un laboratorio dove vanno i miei tecnici a insegnare il mestiere. Una volta finito il corso di formazione, i ragazzi si sono non solo formati ma anche istruiti». I vostri punti di forza sono una gestione aziendale diventata un modello e il riassortimento, un servizio ai clienti che si potrebbe definire un unicum. «Nel settore delle calzature siamo gli unici a poter dare un tipo di servizio di questo tipo. Poter riordinare quello che un negoziante sta vendendo in base all’ordine iniziale e riassortire articoli che non sono stati acquistati in fase di campagna vendite ma che trova disponibili, è fondamentale. Questo grazie a una logistica realizzata nel 2018 con un investimento di circa 20 milioni di euro che ci sta dando grosse soddisfazioni perché i clienti dicono che siamo addirittura più veloci di Amazon nelle consegne».Avete 2.500 clienti nel mondo: quali sono i mercati di maggiore espansione? «L’Italia e l’Europa. Siamo arrivati in Corea con l’apertura, nel marzo 2023, di un punto vendita all’interno del prestigioso Jamsil lotte department store di Seul, primo in-shop NeroGiardini del Far East. Siamo in Austria, Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Spagna, Svezia, Stati Uniti. Fino al Giappone, la nuova sfida. Mio figlio sta portando avanti un progetto in Canada. La Russia era un buon mercato ma con la guerra tutto è crollato». Come siete nati? «Abbiamo iniziato nel seminterrato della chiesa dei Santi Lorenzo e Biagio di Monte San Pietrangeli, in provincia di Fermo. Negli anni Settanta in un piccolo paese c’erano tanti laboratori artigianali ma pochissimi spai liberi, né nelle case né nei garage. Mio fratello, amico del parroco, chiese se ci poteva affittare i sotterranei della nostra bellissima chiesa. Questi locali erano utilizzati dall’oratorio ma ce li affittò a noi quando cominciammo questa attività produttiva, all’inizio di pochissime paia. Dopo circa quattro anni abbiamo costruito il primo immobile e ci siamo trasferiti nella zona industriale». Quali cambiamenti avete vissuto? «All’inizio eravamo in tre. Nel 1998 ho rilevato tutte le quote, portando avanti le mie strategie, i miei pensieri. Dicevo ai miei ex soci di iniziare a fare comunicazione per far conoscere il brand al grande pubblico ma loro non erano d’accordo perché, sostenevano, che sarebbero stati soldi non investiti bene e che il gioco non valeva la candela mentre io ho sempre creduto nella comunicazione».Lei ha puntato sulla famiglia, sui figli Alessandro e Gloria. «Il primo pensiero per un imprenditore è dare continuità alla propria azienda. Gli imprenditori come me, di prima generazione, arrivano dal nulla, un grande lavoro di passione e sacrifici. I figli rappresentano il futuro. In passato ho avuto tante sollecitazioni sia dai fondi sia per la quotazione in Borsa ma ho preferito andare avanti da solo».
Charlie Kirk (Getty Images)