2025-07-22
Deliri da antimafia militante: «Il capo della Dna è golpista». E Scarpinato non si dissocia
Roberto Scarpinato (Ansa)
Durante un convegno a Palermo, Fabio Repici, legale del fratello di Borsellino, ha attaccato davanti all’ex toga il procuratore Melillo per una riunione con la Meloni. In oltre due ore di dibattito non sono stati fatti prigionieri. Forza Italia è stata continuamente accostata alle cosche, il procuratore Antimafia Giovanni Melillo è stato definito un «golpista», il procuratore generale di Roma Giuseppe Amato un «insabbiatore» e alla presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo è stata ripetutamente rinfacciata una foto con l’ex Nar Luigi Ciavardini, condannato a trent’anni per la strage di Bologna. È finita nel mirino persino l’associazione antimafia Libera di don Luigi Ciotti, accusata di collaborazionismo per aver riservato «complimenti» al lavoro della «fascista» Colosimo.Queste e altre chicche sono state riservate al folto pubblico che, il 18 luglio scorso, ha partecipato all’evento organizzato da Antimafia2000, «periodico online di informazione sulle mafie», all’interno del piccolo parco seicentesco di villa Trabia a Palermo. Titolo (programmatico) della serata: «Strage Borsellino, tutta la verità!». Nella locandina erano elencati tutti i possibili colpevoli («Stato-mafia, massoneria deviata, servizi segreti, eversione nera») e veniva preannunciato anche il disvelamento dei «segreti dell’agenda rossa». Ospiti, tra gli altri, Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, il suo avvocato Fabio Repici e i due ex magistrati passati alla politica Roberto Scarpinato (senatore del Movimento 5 stelle) e Luigi de Magistris (già sindaco di Napoli).Acclamate celebrità della combattiva e ortodossa comunità di «mafiologi» che vede come il fumo negli occhi la nuova pista (battuta dalla Procura di Caltanissetta e dalla commissione Antimafia) che individua come possibile movente della strage di via D’Amelio l’interessamento di Paolo Borsellino al cosiddetto dossier mafia e appalti. In questo circuito gli unici sospettati sono i «fascisti» e Silvio Berlusconi.L’organizzatore della serata è stato Giorgio Bongiovanni, fondatore di Antimafia2000, che ha presentato l’evento con le mani bendate, perché, come rivela una sua biografia, il cronista è «stigmatizzato», oltre che «veggente gratificato dall’incontro con la Madre di Dio e con Gesù» ed è, pure, «in contatto anche con Esseri di altri mondi», in particolare con «l’extraterrestre Setun Shenar».Venerdì sera il giornalista sensitivo ha avviato il dibattito ponendo una domanda provocatoria sul possibile contenuto dell’agenda rossa mai ritrovata e in cui, a suo dire, potevano essere contenute informazioni sull’ex agente dei servizi segreti Bruno Contrada, sull’«amico che ha tradito» Borsellino, ma soprattutto su Berlusconi e Marcello Dell’Utri e sul loro progetto di fondare un nuovo partito.Ma tali notizie, a giudizio di Bongiovanni, «avrebbero messo a rischio 20 anni di governo in Italia e anche coloro che hanno ereditato da Berlusconi e Dell’Utri, i fascisti che ci sono oggi al governo».Borsellino junior non si è tirato indietro e ha definito il governo Meloni un «regime mascherato da democrazia», intimorito dal contenuto dell’agenda rossa, le cui «verità» metterebbero a rischio «gli equilibri del potere». L’anziano ingegnere ha criticato duramente il recente «decreto sicurezza» che concede maggiori poteri ai servizi segreti «senza controllo giudiziario» e ha invitato i giovani alla «ribellione» contro questo sistema.De Magistris ha parlato, da consumato politico, della Costituzione più bella del mondo e ha preso fuoco solo quando ha citato Berlusconi (per cui sarebbe in atto un «processo di beatificazione laica»): «Ho deciso di non atterrare mai più all’aeroporto di Malpensa perché trovo indegno che in un Paese dove c’è un aeroporto che si chiama Falcone e Borsellino, io possa atterrare a Milano in un aeroporto che è intestato a Silvio Berlusconi. È una roba che non si può accettare. Quindi io non atterrerò mai lì, a costo di dirottare l’aereo».L’ex pm dell’inchiesta Why not ha concluso citando gli articoli 1 e 3 della Costituzione («un manifesto giuridico rivoluzionario») e invitando gli astanti alla «ribellione pacifica» e «costituzionalmente orientata».Scarpinato ha parlato delle «ragioni politiche» che impediscono di «far emergere la verità» sulle stragi. Ha denunciato l’«ondata di revisionismo, negazionismo, ostracismo aperto e violento» nei confronti delle «indagini sui mandanti e complici esterni alle stragi del 1992 e 1993», un’ondata «più forte che mai da quando si è insediato al potere il governo Meloni».Il parlamentare ha elencato una serie di domande retoriche, chiedendo al pubblico di immaginare che cosa accadrebbe se personaggi come Giuseppe Graviano, Salvatore Biondino, Antonino Troia, Leoluca Bagarella o Paolo Bellini iniziassero a collaborare con la giustizia, rivelando i retroscena delle stragi. Ha aspramente criticato la vulgata «minimalista e mafiocentrica» sulla morte di Borsellino e Falcone promossa dalla maggioranza di governo.Poco importa che la squadretta fosse lì a celebrare un magistrato onorato proprio da quei «fascisti» che lo consideravano uno dei loro. Con tanto di murales firmato da Comunità militante di fronte all’imbocco di via D’Amelio.Un cortocircuito che ha portato antifascisti e post fascisti a celebrare nelle stesse ore la figura di Borsellino, ex dirigente del Fronte universitario di azione nazionale (Fuan) e simpatizzante del Movimento sociale, con agende rosse, camicie dello stesso colore e fiaccolate contrapposte. Ma torniamo a villa Trabia. Qui non ci sono sbandamenti. Ai presenti la storia è chiarissima: per impedire ai comunisti di governare l’Italia servizi segreti americani, apparati nostrani, estremisti di destra al loro servizio, mafiosi, massoni coperti e piduisti, si sono alleati e a suon di omicidi hanno impedito l’arrivo dei «rossi» al potere. Gli affari della mafia restano sullo sfondo. L’unico movente delle stragi è praticamente politico. E il risultato è la sconfitta del «Fronte popolare» progressista alle elezioni del 1994, battuto dal partito dei mafiosi e di tutte le forze oscure, la Forza Italia di Berlusconi.Il quale avrebbe fottuto persino Graviano, spedito e tenuto in carcere nonostante i favori fatti al Cavaliere. Ma il boss, eroico, resisterebbe senza confessare l’indicibile. Con grande scorno di Scarpinato, che non riesce proprio a farsene una ragione.Ma ad alzare la temperatura della serata, come detto, ci ha pensato Repici che, nonostante la professione di avvocato e la registrazione del suo intervento, non si è proprio tenuto.Ha ricordato la recente condanna definitiva per la strage di Bologna dell’estremista di destra Paolo Bellini (in stretti rapporti sia con la criminalità organizzata che con i servizi segreti) e ne ha approfittato per sferrare un attacco violentissimo nei confronti del procuratore generale di Roma Amato: «Guardate che il processo che è stato celebrato a carico di Bellini è il seguito di un’indagine che la Procura di Bologna diretta dal dottor Giuseppe Amato voleva archiviare contro ignoti e che è diventata un processo solo perché la Procura generale di Bologna su sollecitazione dei familiari delle vittime di quella strage avocò il procedimento». Poi ha domandato: «Ma è possibile che il procuratore che voleva insabbiare quella strage oggi è il procuratore generale di Roma, cioè l’unico magistrato d’Italia titolare del potere di autorizzazione delle intercettazioni dei servizi segreti? Cioè quello che si era adoperato perché Bellini non venisse processato, Bellini legato ai servizi segreti, oggi autorizza le intercettazioni dei servizi segreti».È andata persino peggio al capo della Dna Melillo: «È quello che organizza una riunione ufficiale nel suo ufficio con la presidente del consiglio e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che ha la delega per i servizi segreti Alfredo Mantovano. Ma capite che quello che è avvenuto in quell’incontro è una cosa fuori persino dagli orizzonti del golpismo? Montesquieu si rivolta nella tomba». Le carezze non sono finite: «Eppure Giovanni Melillo non ha mai convocato nel suo ufficio nessuno dei familiari delle vittime di mafia di terrorismo». Per Repici, «la Procura nazionale antimafia viene gestita peggio dell’Alto commissariato antimafia degli anni ‘80, come se fosse un servizio di sicurezza anziché un organo giurisdizionale». Infine ha chiesto agli spettatori se sapessero che «cosa pensi o che cosa faccia sulle stragi il procuratore nazionale antimafia». La risposta l’ha data lui. Ha spiegato che per scoprirlo ha dovuto scartabellare gli atti di un’inchiesta di Caltanissetta e «ricorrere ai contatti» tra Melillo e il giornalista Guido Ruotolo, definito «sponsor del peggiore depistaggio in corso sulla strage di via D’Amelio quella fatta con le dichiarazioni false di Maurizio Avola». Ma al pubblico in visibilio Repici ha regalato altre perle, come queste: «Ma se collaborasse con la giustizia Il mafioso Marcello Dell’Utri, Maurizio Gasparri che farebbe?». Oppure ha ricordato «la foto ignominiosa di Chiara Colosimo avvinghiata, amorevolmente avvinghiata, al braccio dello stragista Luigi Ciavardini, assassino di Mario Amato, assassino del poliziotto Francesco Evangelista». E ha chiosato, tra l’ilarità generale: «In quella foto la cosa incredibile è che quello imbarazzato sembra Luigi Ciavardini». Il legale ha bastonato anche il Partito radicale, accusato di occuparsi solo dei «detenuti potenti» e non dei derelitti, ma soprattuto colpevole di aver proposto la legge per escludere Scarpinato dalla Commissione antimafia. Nel suo monologo, Repici ha pure definito parte della magistratura di sorveglianza «un canale di evasione, di esfiltrazione dalle carceri del quale hanno goduto pericolosissimi criminali».Infine, il legale ha raccontato di avere rintracciato un documento cruciale sulle indagini di Paolo Borsellino, che sarebbe stato tenuto nascosto per decenni. Si tratta del verbale di una riunione di coordinamento del 15 giugno 1992 tra le Procure di Palermo e Caltanissetta. Ad essa prese parte anche il giudice ucciso e all’ordine del giorno c’era lo scambio di informazioni su due fascicoli: quello sulla strage di Capaci e uno nato dalle confidenze di un piccolo delinquente accompagnatore del capo mafia Mariano Tullio Troya. Per Repici, dunque, più che a mafia e appalti Borsellino stava lavorando a questo. «Ma non doveva essere il procuratore nazionale antimafia a trovare quel documento? E a portarlo o a invitare qualcuno a portarlo al giudice e non doveva essere il procuratore nazionale antimafia a tirare fuori dal suo ufficio le registrazioni dei colloqui investigativi della procura nazionale antimafia con Alberto Lo Cicero, Maria Romeo e altri che parlavano della pista nera, non ieri, ma nel 2007, e che avevano parlato già ai tempi in cui Paolo Borsellino era ancora in vita, non doveva essere la Dna a tirarle fuori dalle sabbie mobili?». No, per l’avvocato, questo non è accaduto. E ha indicato al numeroso pubblico i nemici occulti della verità: Melillo e Amato, la Colosimo e il Partito radicale. Di fronte ad accuse tanto gravi gli ex magistrati Scarpinato e de Magistris, seduti al fianco di Repici, non si sono dissociati. Il pubblico ha apprezzato.
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