Buco nero, i decreti attuativi scaduti ci costano 3,5 miliardi di euro di mancati investimenti

I decreti attuativi scaduti ci costano 3,5 miliardi di mancati investimenti
Un miliardo di euro fermo per il 2022. Anzi, scaduto visto che molti dei decreti attuativi mancanti dell’ultima Legge di Bilancio sono andati oltre il tempo stabilito dal provvedimento stesso. E non solo. La cifra lievita a circa 3 miliardi e mezzo di euro, conteggiando le somme impegnate nell’intero triennio per le varie misure previste.
Numeri importanti, previsti dalla manovra licenziata a dicembre dal Parlamento, che dopo quattro mesi mancano ancora all’appello. Proprio mentre il governo deve stanziare altre risorse con il decreto aiuti, in risposta alla crisi innescata dalla guerra in Ucraina. A inizio maggio è stato aggiornato il computo dei decreti finiti oltre la scadenza fissata: a oggi sono il 22 per cento, esattamente 34 sul totale di 152 testi da emanare previsti dalla Legge di Bilancio.
A questi si aggiungono altri 49 che andranno in scadenza nei prossimi mesi (molti a fine giugno) o che addirittura non prevedono un limite temporale. Ma comunque sono in attesa di emanazione. Questo significa altre centinaia di milioni di euro tenuti in ostaggio nei cassetti ministeriali. Senza le ricadute auspicate sui cittadini. Così, per quanto la performance del governo Draghi sui decreti attuativi, sotto l’azione del sottosegretario Roberto Garofoli, sia migliore rispetto al passato, restano ancora le tempistiche troppo lunghe.
Preoccupano infatti le risorse non impiegate. Un esempio? Lo scorso primo maggio è finita oltre il termine una norma molto attesa dall’intero mondo universitario: il «riparto delle risorse per l’assunzione di professori universitari, ricercatori e del personale tecnico amministrativo delle università». Un’iniziativa che si pone l’obiettivo «di favorire il graduale raggiungimento degli standard europei in ordine al rapporto tra il numero dei docenti e del personale tecnico amministrativo delle università e quello degli studenti».
Un riequilibrio importante chiesto alla ministra dell’Università, Maria Cristina Messa. L’investimento è imponente: 75 milioni di euro previsti per l’anno 2022, 300 milioni di euro per il 2023 e un incremento ulteriore, fino a 640 milioni di euro, per il 2024. Oltre un miliardo in tre anni solo su questo capitolo che tuttavia esiste solo su carta.
ASSUNZIONI IN ATTESA
Ma Messa è in buona compagnia. Entro la stessa data era attesa l’emanazione del provvedimento per stabilire l’utilizzo del «Fondo di parte corrente per il sostegno alle eccellenze della gastronomia e dell’agroalimentare italiano». La dotazione non è niente male: 76 milioni di euro, 31 milioni subito, nel 2022, il resto per il prossimo anno.
Lo scopo, secondo quanto riportato dalla Legge di Bilancio, sarebbe quello di «promuovere e sostenere le eccellenze della ristorazione e della pasticceria italiana» con appositi «investimenti in macchinari professionali e altri beni strumentali durevoli, nonché interventi in favore dei giovani diplomati nei servizi dell'enogastronomia e dell'ospitalità alberghiera». Uno spettro ampio di azione, tra la possibilità di favorire l’occupazione giovanile e lo stimolo a uno dei comparti più importanti italiani, come l’agroalimentare.
Sempre dal ministero oggi guidato da Stefano Patuanelli, in accordo con il ministro dell’Economia Daniele Franco, si attende la ripartizione di poco meno di 8 milioni di euro, destinati a sostenere la filiera apistica, colpita - tra le altre cose - dalla moria di api degli ultimi anni.
E ancora: il primo maggio è scaduto il decreto che spettava al ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, in materia di «impiego e gestione del Fondo finalizzato all’apertura dei centri per la preparazione, il riutilizzo e il recupero dei rifiuti». I soldi a disposizione, in questo caso, sono 6 milioni di euro, da ripartire equamente nel biennio 2022-2023 con l’intento di accelerare sul fronte della raccolta differenziata e su quel percorso di economia circolare, tanto vagheggiato dalle parti del Mite.
Al fianco delle new entry tra i decreti attuativi scaduti, ce ne sono alcuni ormai stagionati. Tra questi spicca «la concessione di agevolazioni di cui al fondo per il sostegno alla transizione industriale in favore delle imprese l'erogazione, alle imprese, in particolare a quelle operanti nei settori ad alta intensità energetica».
Un intervento centrale per favorire la transizione energetica delle imprese più energivore. La questione fa capo al ministero dello Sviluppo economico, guidato da Giancarlo Giorgetti, ma tira in ballo come al solito il Mef e ancora una volta il Mite di Cingolani. La misura stanzia 150 milioni di euro all’anno. Ma è scaduta dal 31 gennaio, ancora prima della crisi energetica provocata dal conflitto in Ucraina. Resta in sospeso, poi, il «fondo per iniziative in favore della legalità e per la tutela degli amministratori locali vittime di atti intimidatori», che deve essere stabilito dal Viminale di Luciana Lamorgese.
IL FONDO PER LA LEGALITÀ
Altro capitolo in standby è quello sulla «modalità di attribuzione di una carta elettronica per l’acquisto di biglietti per rappresentazioni teatrali, cinematografiche e spettacoli da vivo», che spetta al ministro della Cultura, Dario Franceschini, con una dotazione di 230 milioni euro annui per stimolare i consumi culturali dei giovani. Sulla Salute, invece, si attende lo sblocco del «riparto del Fondo test Nex-Generation sequencing».
Sono 10 milioni che il ministro Roberto Speranza deve suddividere in due anni, con l’obiettivo di sviluppare nuove tecnologie legate al sequenziamento del genoma umano. Mentre 500mila euro sono da impiegare per la formazione in ambito sanitario. Insomma, un elenco lungo, che abbraccia vari mondi e ministeri. Peccato solo per quel “dettaglio” che sono provvedimenti al momento esistenti solo su carta e non nella realtà. Con il rischio che i milioni previsti non vengano mai usati per il motivo per cui sono stati stanziati.
Autore della famosissima immagine V-J Day in Times Square, ad Alfred Eisenstaedt (1898-1995), fra i fotografi di punta della rivista Life, il Centro Italiano per la fotografia di Torino dedica una mostra (sino al 21 settembre 2025) di oltre 170 scatti che ne ripercorrono l’intera carriera, dagli anni Trenta al 1990.
I siti che espongono le donne all’insaputa non riaffermano il dominio maschile, ma rivelano un vuoto: uomini incapaci di relazione, che cercano conferma solo nello sguardo degli altri, trasformando l’intimità in merce pubblica.
Sen. Susanna Donatella Campione Componente commissione giustizia e femminicidio
In questi giorni si parla molto dei siti e dei gruppi come “Mia moglie” e Phica.eu, luoghi virtuali in cui venivano condivise immagini di donne fotografate all’insaputa delle dirette interessate, con lo scopo di commentarne volgarmente l’aspetto fisico ed esplicitare fantasie sessuali triviali.
Colpisce, prima di tutto, che tali gruppi fossero aperti e accessibili a chiunque. Nessuno degli iscritti sembrava provare imbarazzo, né percepire il disvalore sociale e morale di simili pratiche. È l’ennesima conferma di come l’avvento dei social abbia reso obsoleto il concetto di riservatezza, che pure la nostra Costituzione eleva a diritto inviolabile. Oggi ogni momento della vita quotidiana può diventare pubblico: nascite, atti sessuali, tradimenti, scene imbarazzanti, nulla è più custodito. Persino ciò che un tempo gli uomini condividevano di nascosto, foto o filmati osé, viene ora esibito senza pudore.
È sparito il “segreto”, che aveva un valore protettivo, come i segreti industriali tutelano un’invenzione. È sparita la “vergogna”, la cui etimologia latina “verecundia” richiama il rispetto e il timore, la parola discrezione appare ormai un termine desueto che evoca scenari arcaici. Tutto si consuma rapidamente e sotto gli occhi di tutti.
Molti osservatori spiegano questo fenomeno come una nuova manifestazione del patriarcato. Eppure, a ben vedere, nessun patriarca avrebbe mai esposto la propria moglie al pubblico ludibrio. Certo, si potrebbe dire che aveva altri strumenti per esercitare dominio e controllo sulle donne ma non le avrebbe certamente rese oggetto di scherno collettivo o esposte ai commenti volgari di altri uomini.
Qui non siamo di fronte a una riaffermazione del patriarcato e tantomeno del machismo.
Al contrario. Gli uomini che hanno condiviso quelle immagini non hanno esercitato alcun potere sulle proprie compagne, ma hanno mostrato una vera e propria dipendenza dall’immagine femminile. Una dipendenza che non si traduce in relazione, ma in surrogato: incapaci di rapporti reali con donne reali, cercano conferma solo attraverso lo schermo.
A un’analisi più attenta emerge qualcosa di ancora più radicale: non mascolinità, ma il suo opposto. L’obiettivo reale non è il corpo delle donne ma lo scambio di sguardi, battute e approvazioni tra maschi.
E’ il meccanismo che scatta negli scambi di coppia. L’uomo patriarcale non trae gratificazione dal giudizio di altri uomini sul corpo femminile, soprattutto se quel corpo appartiene a una donna alla quale è legato, anzi di quel corpo vuole l’esclusiva e reagisce se altri tentano di guardarlo o toccarlo. Nelle società patriarcali il corpo delle donne viene coperto proprio per sottrarlo totalmente agli sguardi di altri uomini. Non c’è alcuna possibilità di condivisione di quella donna, al contrario tutti gli uomini vengono esclusi dal contatto, anche visivo, con lei.
La condivisione di immagini delle proprie mogli sui siti web non è quindi patriarcato ma l’espressione distorta di una fluidità che non si accetta e viene negata e repressa.