2022-08-19
I numeri sui decessi lo confermano: lockdown e Speranza sono un fallimento
Andrea Crisanti: «Con Salvini al governo avremmo 300.000 morti». Assurdo: i risultati italiani rispetto agli altri Paesi sono impietosi.Ma cosa sta prendendo agli scienziati, oggigiorno? Sembrano tutti impazziti a far la gara a chi la spara più grossa. Ma perché, Dio santo, cosa vi spinge a dequalificarvi così. Moriremo tutti, ma il nostro nome, se macchiato, lo rimarrà per sempre. Il nostro nome è forse più importante della nostra stessa vita: caduca questa, indelebile quello. Il dottor Andrea Crisanti avrebbe affermato che «con Matteo Salvini al governo in Italia ci sarebbero stati molti più morti da Covid», 300.000, dice. Perfino al bar dello sport gli avrebbero obiettato: e come lo sai? Mettiamo la cosa in modo più aulico e tecnico. Una caratteristica del metodo scientifico è che esso accetta come indagabili - figurarsi poi come vere - solo le affermazioni falsificabili. Cioè quelle affermazioni per le quali si possa immaginare un esperimento che consenta di stabilire che l’affermazione sia, eventualmente, falsa. Per esempio: «Le pietre hanno pensieri, ma non possono comunicarceli», per la scienza non è un’affermazione falsa ma è semplicemente estranea al metodo scientifico, e la scienza su essa non ha nulla da dire. E, naturalmente, non v’è alcun esperimento che consenta, eventualmente, di falsificare l’affermazione di Crisanti, giacché non possiamo portare indietro le lancette dell’orologio e affidare a Salvini il governo per vedere che succede. Stupisce che Crisanti, che dice di essere scienziato, abbia proferito quella frase. Ciò detto, forse non tutto è perduto. Non dico per definire in modo inequivocabile che con Salvini al governo ci sarebbero stati più decessi da Covid (men che meno 300.000, cioè addirittura quasi il doppio degli attuali 170.000). Ma per almeno valutare la plausibilità della frase di Crisanti. Anzi delle due frasi del dottore, che avrebbe anche detto che, in caso di recrudescenza del virus, bisogna metter in conto di ripetere le restrizioni già vissute.Il fatto è che se guardiamo in che posizione si trova l’Italia in ordine al numero di decessi da Covid per milione d’abitanti rispetto ai Paesi del mondo con più di dieci milioni d’abitanti, il nostro Paese è ai primissimi posti, l’ottavo per la precisione. Non sembra che l’assenza di Salvini abbia giovato molto, nevvero dottor Crisanti? Se ora riconsideriamo gli otto Paesi con performance globale peggiore e consideriamo i loro decessi per milione d’abitanti della sola ultima settimana, fino al giorno in cui Crisanti ha parlato, risulta che, dopo la Grecia, l’Italia è la peggiore del mondo. Mi spiace, dottor Crisanti, che in questo momento lei senta che avrebbe preferito ingoiarsi la lingua ma, come detto, non si riportano indietro le lancette dell’orologio.E veniamo alla seconda frase di Crisanti, quella secondo cui rinnovate restrizioni potrebbero essere necessarie. Frase che lascia presupporre che i lockdown e il greenpass abbiano avuto efficacia e che senza di essi le cose sarebbero state peggiori. Affermazione sembrerebbe non falsificabile se non fosse che il caso vuole che v’è un Paese - la Svezia - che ha scelto di vivere quasi come se non ci fosse stata alcuna pandemia: niente lockdown, e tutto al motto «ognuno sia poliziotto di sé stesso». L’evoluzione temporale dei decessi per milione d’abitanti della Svezia è confrontata nel terzo grafico con quella dell’Italia, della Ue e della Sud Corea. Questo grafico dimostra in modo inequivocabile che i lockdown dell’Italia e del resto della Ue, men che meno il greenpass, non hanno salvato alcuna vita umana, visto che in Svezia vi sono stati, per milione d’abitanti, meno decessi che in Ue e, in particolare, in Italia (che comunque ha fatto peggio di tutti).Ci tengo sempre a includere i dati della Sud Corea perché questo Paese - che al 26 febbraio 2020 aveva lo stesso numero (12) di morti (e comparabile numero di contagi) dell’Italia - ha saputo contenere la pandemia egregiamente e rapidamente. E con professionalità: quella che è mancata al nostro governo giallorosso, che ha 170.000 morti sulla coscienza.
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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