2025-03-17
Debora Caprioglio: «Ora posso scegliere cosa recitare»
L’attrice: «Dopo 50 titoli teatrali, mi sono costruita la libertà di recitare le parti che mi piacciono. Il mio sogno ricorrente? Salgo sul palco e non ricordo nulla. Da piccola studiavo danza, la svolta fu un concorso di bellezza».Debora Caprioglio, sin da ragazza, aveva individuato il suo obiettivo. Mettersi alla prova ed esibirsi su un palcoscenico. Al cinema ha esordito con Klaus Kinski. Poi la vasta notorietà come protagonista di Paprika (1991), titolo alludente non solo al peperoncino magiaro, regista Tinto Brass. Seguirono altri film, alcuni dei quali d’essai, come Con gli occhi chiusi, di Francesca Archibugi, tratto da un romanzo di Federigo Tozzi. E le fiction tv. Tuttavia, fin dalla sua conoscenza con Brass, nel suo destino c’era il teatro, attività che esercita con molta passione. Nel presente svettano non solo Plaza Suite, con Corrado Tedeschi, ma anche Non fui gentile, fui Gentileschi, monologo con la regia di Roberto D’Alessandro, nel quale si osserva una convinta identificazione con la protagonista, Artemisia Gentileschi, pittrice del Seicento. Dalla manifestazione dialogica dell’attrice veneziana, si colgono afflati di quel Veneto frammisto di tradizione e mistero che emergono in vari scritti di Goffredo Parise. Ci racconta di Artemisia, il personaggio che sta interpretando?«Artemisia Gentileschi è stata una pittrice del Seicento che, per affermarsi, ha dovuto combattere un mondo di nemici. Veniva dalla scuola di Caravaggio. A diciotto anni fu stuprata e processata come se la carnefice fosse stata lei. Fu attaccata per tutta la vita. Alcuni hanno sostenuto che la sua fama sia più legata più a questo che alla sua arte. Ha dipinto quadri meravigliosi. Siamo in tour in tutta Italia, quest’anno e anche l’anno prossimo. Questo spettacolo sarà per sempre nel mio repertorio. Un grande successo di critica e di pubblico». Sempre a teatro, Plaza Suite, di Neil Simon, con Corrado Tedeschi. Mettete in scena tre coppie in crisi in un hotel di New York. Tema complicato l’amore, si potrebbe anche dire tragicomico.«È lo stesso Neil Simon che affronta, in tre episodi, questi temi, con l’ironia e la leggerezza della commedia. Si parla, ironizzando, dei difetti degli esseri umani e c’è un effetto catartico. Si ride anche del tradimento, per quanto nella vita i tradimenti non facciano così ridere. C’è chi dice che questi episodi della commedia siano un po’ datati e degli stereotipi, perché fu scritta nel ’68, l’anno in cui sono nata io, ma tante cose non sono cambiate. Siamo contenti di come sta andando, un successone. Ora abbiamo debuttato al Teatro Parioli e ci staremo fino al 23 marzo».È nata a Mestre, cittadina strettamente collegata con Venezia e con una bella piazza centrale che non tutti conoscono. Quale ricordo ne conserva, legato alla sua giovinezza? «Ho un bellissimo ricordo della mia città di nascita, anche perché c’è questa piazza, piazza Ferretto, molto carina. È una cittadina ma anche un paese, non tanto grande. Ci si conosceva un po’ tutti. Li ho passato la mia infanzia, ho fatto il liceo, il liceo classico “Franchetti”, e poi in questa piazza, come succedeva ai nostri tempi, giovani, amici e studenti si trovavano, si parlava, erano tempi molto belli, si faceva il famoso struscio, che a Venezia si chiama anche vasca».Fino a che età ci ha abitato?«Fissa, fino a 18 anni. Poi ero più pendolare, da Venezia a Roma e questo fino a quando hanno vissuto i miei. Poi la mia città di base è diventata Roma. Attualmente, dato che da cinque anni il mio compagno è bellunese, la mia vita si svolge tra Roma e Belluno e, specialmente quando lavoro al nord e d’estate, la mia vita è a Belluno». Il sogno di lavorare nel mondo dello spettacolo è nato quando era bambina?«Quando ero bambina mia madre si accorse che dentro di me desideravo qualcosa che aveva a che fare con l’arte. Avevo grande interesse per la danza. A 5 anni mi iscrisse a danza classica, a Venezia. Mi dividevo tra lo studio e la danza classica. C’è sempre stata, in me, voglia di salire sul palcoscenico».Quale professione hanno svolto i suoi genitori?«Mia madre casalinga e mio padre lavorava al Pubblico registro automobilistico». A 18 anni vinse il concorso «Un volto per il cinema».«Sì, a 18 anni compiuti, ultimo anno del liceo, mancava poco alla ripresa della scuola. Era estate. Era un concorso in concomitanza e a corollario della Mostra del cinema di Venezia. Mi ha cambiato la vita e da lì è partito tutto».Da lì che successe dunque?«Ripresi la scuola, a studiare, e poi feci dei provini per il film Paganini».L’incontro con Klaus Kinski.«L’ho conosciuto in concomitanza con il film che giravano a Venezia. Cercavano attrici. Mi sono presentata e sono stata scelta». Polacco-tedesco, attore di forte personalità, anticonformista. Prediletto da Werner Herzog con cui fece Fitzcarraldo e Nosferatu. Fu tempestoso il rapporto con lui?«Alti e bassi, momenti tranquilli e a volte qualche lite. Né più né meno che in altre storie. Per il tempo che durò la storia, due anni e mezzo, non ci furono grandi problemi da questo punto di vista». È stato scritto che Kinski, quantunque non foste sposati, la presentava come sua moglie.«Non ricordo. Ma sicuramente come sua fidanzata ufficiale».Klaus morì d’infarto nel 1991 in California. Vi risentivate dopo la fine della vostra storia?«No, non ci siamo più sentiti perché le nostre strade si sono divise e andava bene così». Come si sentì ad aver raggiunto il set cinematografico?«Fu meraviglioso. Sul set si respirava un’atmosfera da favola. Mi sentivo come Alice nel paese delle meraviglie. Mi sono innamorata del cinema, ma non l’ho fatto per la notorietà. La prima cosa che mi affascinò fu raccontare storie di persone sul set».Con Paprika, tuttavia, divenne arcinota. Fu Tinto Brass a cercarla?«Sì, fu lui a contattarmi, perché aveva visto un servizio su un giornale. Stava preparando Paprika, ma cercava la protagonista di un’opera teatrale, la Lulù di Frank Wedekind. Quindi mi contattò per il teatro. Feci il provino al Teatro Belli di Roma. Poi mi richiamò. Mi disse di aver pensato a me per fare la protagonista di quel film che aveva in testa da anni. E comunque ci fu anche lo spettacolo teatrale». Più volte ha ribadito, nelle sue interviste, che non ebbe una storia con il regista veneziano. Ma lui avrebbe voluto averla una storia con lei?«Non lo so, non sono nella testa delle persone. Comunque ho detto, con convinzione e fermezza, che non c’è stata nessuna storia».Le parlava in dialetto veneziano, talvolta?«Mi pare di no».Come si spiega che il regista, dopo aver girato film di alta qualità negli anni Sessanta, talvolta scarsamente compresi, tipo Il disco volante, del 1964, con Alberto Sordi, assolutamente da rivedere, abbia scelto di dedicarsi precipuamente al genere erotico, pur di raffinata fattura? «Sì, ha avuto grandi nomi nei suoi film, come Vanessa Redgrave. Non lo so. Gli artisti, nella loro mente, possono trovare una direzione più o meno scomoda. Penso sia stata una cosa studiata, preparata, maturata e molto personale».Nel 2008 ha sposato l’attore e regista Angelo Maresca. Il divorzio, avvenuto dopo dieci anni, è stato un trauma per lei?«Sono eventi che non si vivono mai bene. Sono sempre dei fallimenti. Però diciamo che io sono una persona molto equilibrata e cerco sempre di dare delle spiegazioni, dei perché. Anche dall’altra parte bisogna sempre avere il coraggio di capire e andare verso un’altra strada».Vi eravate sposati in chiesa o civilmente?«In chiesa».Un sentimento, se è tale, dovrebbe avrebbe una prospettiva di eternità. Dove si sbaglia?«Non credo si possa parlare di errori. Ci sono dei percorsi insieme e se le cose vanno bene si prosegue augurandosi che sia per tutta la vita. Però anche l’amore può finire e non è detto ci sia una colpa tangibile. Ora il mio compagno è Francesco De Bortoli e spero che questa storia duri per tutta la vita. Non credo che l’essere umano sia fatto per stare da solo. È il sogno di tutti noi, come dice la commedia di Oscar Wilde. La cosa più bella è la condivisione». Pensa le persone amate si possano ritrovare, speranza connaturata con la fede?«Ce lo auguriamo. Ho perso mia mamma un anno fa. Il primo pensiero che si fa è poter rivedere le persone care. L’idea di non poter più rivedere una persona cara è straziante. La fede ci aiuta nello sperare che forse un giorno ci si può ritrovare. È una cosa su cui riponiamo fiducia, anche se non abbiamo certezze. Però questo ci aiuta a vivere».Sono passati oltre trent’anni da Paprika e ha fatto mille cose. Film impegnati, fiction Rai e Mediaset e molto teatro. Oggi si ritiene gratificata?«In questi anni ho cercato di essere riconosciuta come artista. Il teatro, dal 1997, non l’ho più lasciato. Ho avuto l’opportunità anche di lavorare con Mario Monicelli nello spettacolo Una bomba in ambasciata. Dal 1997 ho interpretato almeno cinquanta titoli teatrali. Forse, inizialmente, non era una cosa ampiamente prevedibile. Ma negli anni mi sono impegnata a fare di questo lavoro quello che volevo io, arrivando a poter scegliere. Per chi fa il mio lavoro è un grande traguardo. Mi sono costruita la libertà di poter scegliere quello che più mi piace». C’è un sogno che fa con ricorrenza?«Non sempre ricordo i miei sogni. Però, uno che mi accade di fare è legato al lavoro a teatro. Grandi soddisfazioni, ma impegnativo. La mia testa è come un computer. L’intelligenza artificiale mi fa un baffo. Ho cinque testi da ricordare e ogni giorno uno diverso. Il sogno ricorrente è che arrivo sul palcoscenico e non ricordo nulla di quello che devo dire».
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