2021-04-22
De Pasquale, toga promossa all’Ocse malgrado gli insuccessi nei processi
Da Saipem in Algeria a Eni in Nigeria, ha collezionato sconfitte e critiche. Ma l'ex ministro Alfonso Bonafede l'ha individuato come il simbolo contro la corruzione. Trasferiti altri sei magistrati milanesi.Nonostante le polemiche per le assoluzioni in primo grado nel processo sul giacimento nigeriano Opl 245, e le tensioni interne in vista della scadenza del procuratore capo Francesco Greco, la Procura di Milano rimane un punto di riferimento per la lotta contro la corruzione in Europa. Non si spiegano altrimenti le nomine di questi giorni di ben 6 magistrati, tra cui 3 del dipartimento affari internazionali - Reati economici transnazionali, diretto da Fabio De Pasquale, che è la pubblica accusa contro Eni e Shell insieme con Sergio Spadaro. Tra questi sono stati scelti Gaetano Ruta, lo stesso Spadaro e Donata Costa. Altri invece arrivano dal pool anticorruzione, come Giordano Baggio, dalla Dda (Direzione distrettuale antimafia) come Adriano Scudieri e infine da Bruxelles, come Elisa Moretti, consigliere giuridico a Bruxelles. Tutti faranno parte della Procura europea antifrodi comunitarie, che si concentrerà su tutti i tipi di reati che ledono gli interessi finanziari dell'Ue. Ruta, Baggio e Spadaro saranno distaccati a Milano, Costa a Venezia, Scudieri a Torino e Moretti a Bologna. Nei corridoi del palazzaccio le definiscono «nomine politiche» e (c'è anche chi fuori dai microfoni si rivela sollevato per l'esodo), ma si fa anche notare come manchi il nome di un'esperta in materia come Tiziana Siciliano, che nel 2008 era stata tra le prime a portare avanti un'indagine sulla distrazione dei fondi comunitari per oltre 50 milioni di euro. Il sospetto è che possa essere stata accantonata per le tensioni interne di questi mesi e soprattutto perché indipendente. Eppure, proprio su questo tipo di lavoro si svilupperanno le indagini della Procura. Saranno condotte sul territorio degli Stati membri e i casi saranno portati dinanzi ai Tribunali nazionali. Al momento le frodi a danno dell'Europa erano di competenze della sola magistratura nazionale, ora invece i pm incaricati avranno poteri transnazionali. Ci sarà un livello centrale in Lussemburgo che farà da supervisione poi al lavoro dei Procuratori delegati. Quest'anno lo stesso De Pasquale sarà il punto di riferimento dell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che invierà in luglio i commissari in Italia per verificare la lotta alla corruzione nel nostro Paese. A scegliere il pm che da 30 anni si occupa di Eni, senza particolari successi, è stato l'ex ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che lo ha individuato come il magistrato simbolo contro la corruzione. Parte delle accuse nel processo della presunta tangente da 1 miliardo di dollari ruota intorno alla convenzione Ocse del dicembre 1997 che impone agli Stati aderenti di perseguire le tangenti a politici stranieri. Il punto è che le tangenti bisognerebbe trovarle. Nel 2021 l'obiettivo dell'Ocse è quello di intensificare il lavoro dei governi su un tema che penalizza l'economia e aumenta le diseguaglianze. Per di più questo è l'anno del G20 italiano, quindi il nostro Paese avrà un ruolo cruciale nel lancio della nuova Procura.È dal 2017 che i magistrati milanesi hanno iniziato un lavoro di avvicinamento alle richieste di Bruxelles. Il dipartimento diretto da De Pasquale nacque in occasione della riorganizzazione della Procura da parte di Francesco Greco. Lo scopo era quello di trattare in maniera specializzata le indagini riguardanti gli affari internazionali e i reati economici di natura transnazionale. La necessità di creare questo tipo di unità specializzate per combattere la corruzione internazionale era stata chiesta proprio dell'Ocse al nostro Paese. Tra i casi trattatati appunto quelli di corruzione e riciclaggio. Il problema è che su entrambi i fronti non sono stati anni di successo per la Procura milanese. Il processo contro Saipem in Algeria, finito con l'assoluzione di tutti gli imputati, fu criticato dai giudici della corte d'Appello nelle motivazioni, perché la pubblica accusa aveva mancato «approfondimenti» e si sarebbe limitata «a chiederne la condanna alle sanzioni amministrative pecuniarie ed interdittive». Per di più la seconda sezione penale presieduta da Giuseppe Ondei aveva criticato il lavoro del pool di De Pasquale, sottolineando l'«assoluta carenza di prova circa le asserite irregolarità procedurali» come documenti fondati «su note aperte non verificate». Ora si attendono le motivazioni dell'assoluzione in primo grado dell'amministratore delegato Claudio Descalzi e dell'ex numero uno Paolo Scaroni. Ma intanto un antipasto è arrivato dal Procuratore generale, Celestina Gravina, che nella requisitoria del processo di appello per i due presunti intermediari della tangente nigeriana, ha duramente attaccato le tesi dell'accusa, parlando «di fatti privi di prova fondati sul chiacchericcio, sulla maldicenza, su elementi che mai sono stati valorizzati in alcun processo penale».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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