
Il Consiglio nazionale dei commercialisti, presieduto da Elbano De Nuccio, sembra aver smarrito la rotta. Non solo per la contestata riforma dell’ordinamento professionale, che ha spaccato la categoria, ma anche per una gestione sempre più accentrata e distante dalla base. Dopo mesi di tensioni, lettere pubbliche e comunicati critici da Ordini territoriali e sigle sindacali, ora la frattura approda in Parlamento.
Il deputato di Fratelli d’Italia, Imma Vietri, ha chiesto al ministro della Giustizia se le «perplessità emerse in merito alla riforma dell’ordinamento professionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili possano costituire una spaccatura nella categoria». Il testo, depositato il 28 maggio alla Camera, rende evidente che le tensioni interne sono ormai un fatto politico. E la riforma del Consiglio nazionale, che punta a riscrivere la legge elettorale in senso verticistico spostando il potere dagli Ordini ai consiglieri territoriali, non ha l’appoggio unanime che De Nuccio continua a rivendicare. Come già documentato dalla Verità, numerosi Ordini - tra cui Milano, Roma, Firenze e Torino - si sono dissociati, dichiarando il proprio sostegno a una lista alternativa per le elezioni del 2026. Molti sospettano che l’obiettivo vero sia blindare la leadership di De Nuccio, oggi incerta con la normativa vigente.
In questo clima, scoppia la polemica sugli Stati generali della professione, convocati per oggi, 10 giugno. Il programma dell’evento, pensato come riflessione sul futuro della categoria, esclude del tutto le voci femminili: nessuna commercialista, nessuna rappresentante politica o istituzionale donna tra relatori e moderatori. Si tratta di un’anomalia grave, considerando che le donne sono il 33,8% degli iscritti (quasi 40.000) e otto dei ventuno componenti del Consiglio nazionale. La scelta ha scatenato una petizione pubblica e una lettera aperta indirizzata al presidente: «Quando si organizza un evento sul futuro della professione escludendo le donne», si legge, «si offre un’immagine del passato, non una visione del domani». Il messaggio è chiaro: la professione deve includere tutte le voci per essere credibile e moderna.
De Nuccio ha replicato che l’evento è istituzionale e non un convegno di categoria e che la composizione dei tavoli rispecchia la rappresentanza politica. Ma l’evento è organizzato dal Consiglio stesso, responsabile della scelta degli ospiti. Non è Palazzo Chigi a decidere chi rappresenti i commercialisti. Il comitato pari opportunità ha commentato con sarcasmo: «Ci aspettiamo che anche i valletti porta microfoni siano uomini». Molti si chiedono come abbiano votato le otto consigliere nazionali in sede di delibera.
Secondo diversi osservatori, il problema è una gestione sempre più autoreferenziale. La centralità del presidente, presente in tutte le sessioni, sembra pensata per mostrare al governo un fronte unito attorno alla sua figura. Nessuna voce critica, nessuna alternativa, nessuna donna. Ma questa strategia rischia di essere controproducente. Alla frattura tra Ordini si aggiunge l’insofferenza della componente femminile, che non si riconosce più nelle scelte del vertice.
A dimostrazione del disagio, nei giorni scorsi De Nuccio ha aggiunto al programma l’annuncio di un intervento del presidente del Consiglio. Tutto risolto? No. Se la presenza di un politico può dipendere da logiche partitiche, l’assenza di commercialiste è stata una precisa volontà di chi ha organizzato l’evento. E la ferita di categoria non si sana con Giorgia Meloni, che peraltro non è iscritta all’Albo. In una professione che dovrebbe rappresentare pluralismo e modernità, l’esclusione sistematica di voci diverse e il mancato riconoscimento del contributo femminile rischiano di minare la stessa legittimità del Consiglio nazionale, denunciano i firmatari della lettera. E oggi, durante gli Stati generali, sono previste forti contestazioni alla presidenza di De Nuccio.