True
2020-11-14
De Luca sbrocca e spara sul governo incassando pure gli applausi di Zinga
Vincenzo De Luca (Ansa)
Un Vincenzo De Luca letteralmente scatenato si scaglia contro il governo, il Pd, il M5s, Roberto Saviano e fa a fettine alcuni ministri pentastellati, in particolare Luigi Di Maio, che l'altro ieri aveva duramente attaccato la Regione sollecitando la collocazione della Campania in fascia rossa. Uno show pirotecnico, quello del governatore, che parte immediatamente all'attacco nel corso della consueta diretta Facebook del venerdì: «Fatti salvi tre, quattro ministri», ringhia De Luca, «questo non è un governo, non voglio dirvi che cosa è. Per quanto mi riguarda sarebbe cento volte meglio un governo di unità nazionale, di persone competenti. Un governo del presidente che non produca il caos. Ho avuto modo di dire a qualche esponente del Pd che, se bisogna stare al governo con questi personaggi, per quel che mi riguarda, sarebbe meglio mandare a casa questo governo. Non è tollerabile nessun rapporto di collaborazione quando ci sono nel governo ministri alla Spadafora». De Luca bombarda Palazzo Chigi proprio mentre Nicola Zingaretti, segretario del Pd e azionista di maggioranza dell'esecutivo giallorosso, lo elogia: «Da collega presidente di Regione a collega», dice il leader dei dem a Rai 1, «dico che De Luca nei mesi scorsi se vogliamo dirci la verità un merito lo ha avuto, quello di lanciare allarmi. Fino a 20 giorni fa c'era una narrazione di altri, sbagliata, secondo cui non c'era pericolo del virus».
Zingaretti ci prova, a stemperare la rabbia del «collega», ma De Luca è un personaggio politicamente assai atipico, che non ha mai avuto alcuna remora nell'attaccare il governo di cui il suo partito, il Pd, è uno dei due pilastri. «Alla lista degli sciacalli», argomenta De Luca, «si è aggiunto un nome illustre, tale Luigi Di Maio. Era fra quelli che facevano la campagna elettorale, un mese e mezzo fa, contestando alla Regione Campania il delitto di aver realizzato le terapie intensive, l'ospedale modulare, sprecando il denaro pubblico. Questo è un esponente di governo che avrebbe dovuto impegnarsi per far arrivare il personale che manca, questo è uno che voleva tenere il commissariamento della Campania. Provate a immaginare se», aggiunge il presidente, «in queste condizioni, avessimo avuto il commissario. Avremmo fatto una fine peggiore della Calabria. E parli! E parli! Mi voglio fermare perché il solo nome di questo soggetto, mi provoca reazioni d'istinto che vorrei controllare, almeno per le prossime ore. Ricordate che questo personaggio, Di Maio, l'ho sfidato a un dibattito pubblico, dove, come e quando vuole. Da anni. Rinnovo il mio invito a questo soggetto: un dibattito pubblico, purché in diretta televisiva. Spero non faccia il coniglio come ha fatto nei tre-quattro anni precedenti».
Il cortocircuito giallorosso è totale. De Luca è infuriato col governo, e il motivo è estremamente semplice: 15 giorni fa, quando aveva annunciato il lockdown per la Campania, Napoli fu messa a ferro e fuoco e l'esecutivo lasciò il governatore solo, assediato, senza alcun sostegno. De Luca fu costretto dai tumulti a ritirare la sua decisione. Ieri, dopo 15 giorni, si è ritrovato lo stesso in zona rossa. «Noi eravamo per chiudere tutto a ottobre», ricorda De Luca, «per un mese, per avere una operazione di fermo del contagio e che ci avrebbe fatto stare tranquilli a Natale. Da sempre abbiamo avuto una linea di rigore più degli altri, da soli. Il governo ha fatto un'altra scelta, ha deciso di fare iniziative progressive, di prendere provvedimenti sminuzzati, facendo la scelta della cosiddetta risposta proporzionale, più aumenta contagio più prendiamo provvedimenti. Una scelta totalmente sbagliata, perché il contagio non aumenta in modo lineare, ma esponenziale. Questa decisione del governo», incalza De Luca, «ha fatto perdere due mesi preziosi, nel corso dei quali abbiamo avuto un incremento drammatico di contagi e decessi. Considero scriteriata la divisione in zone dell'Italia».
Anche sulle scuole, che in Campania sono state chiuse già settimane fa, il presidente entra a gamba tesa contro il governo: «Il 15 ottobre abbiamo deciso la chiusura delle scuole, ricevendo polemiche e offese da parte del ministro Lucia Azzolina, del presidente del Consiglio e del governo che giudicavano esagerate quelle misure. Ma noi abbiamo chiuso perché i nostri esperti ci avevano detto di aumenti di nove volte del contagio nelle scuole. Il governo lo ha fatto un mese dopo», argomenta lo sceriffo, «senza avere la decenza di spiegare perché non lo aveva fatto un mese prima».
De Luca ne ha pure per Roberto Saviano: «Lo stesso invito», sottolinea il governatore, «rivolgo a qualche camorrologo di professione, ormai milionario, che però continua non solo a vestirsi come un carrettiere, perché fa tendenza, ma a parlare di cose di cui non capisce niente. Rivolgo anche a lui l'invito a fare un dibattito sui temi della sanità campana».
Campania e Toscana diventano rosse Beffate Emilia e Friuli
Gira la ruota dei colori, adesso solo cinque Regioni restano gialle: Veneto, Lazio, Sardegna, Molise, provincia autonoma di Trento. Diventano rosse dal 15 novembre anche Toscana e Campania (si aggiungono a Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta, Calabria, provincia autonoma dell'Alto Adige), mentre si trasformano in zona arancione Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Marche, classificate dal Cts «con rischio medio alto» al pari di Sicilia, Basilicata, Puglia, Abruzzo, Umbria, Liguria. L'ennesimo provvedimento, preso in base al monitoraggio dei dati della settimana dal 2 all'8 novembre effettuato dalla Cabina di regia dell'Istituto superiore di sanità e del ministero della Salute, allarga le restrizioni e insieme vanifica quanto tre Regioni avevano concordato per contenere la curva dei contagi, cercando di scongiurare il passaggio da zona gialla ad arancione. Stiamo parlando delle misure adottate dai governatori di Veneto, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia, con limitazioni condivise che riguardano prevalentemente le passeggiate nei centri storici e nelle zone abitate, la chiusura dei negozi nei fine settimana e la consumazione in bar e ristoranti. Una stretta per evitare il lockdown che è stata ignorata dal Comitato tecnico scientifico, attento solo ad analizzare i 21 indicatori su un report non aggiornato.
Nel giorno in cui Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza delle Regioni, annunciava che gli avevano «diagnosticato una polmonite bilaterale a uno stadio iniziale» e invitava «al rispetto di tutti delle limitazioni», per fermare il contagio e rallentare i ricoveri, da Roma hanno pensato che le misure sue e del collega Massimiliano Fedriga fossero insufficienti. Le Regioni stanno tenendo dal punto di vista dell'organizzazione sanitaria, ma per i tecnici hanno un rischio 3 (scenario arancione) e Rt tra 1,25 e 1,50.
In base al monitoraggio settimanale, il fattore di replicazione dell'epidemia è sceso da 1,71 a 1,43 eppure non basterebbe, perché la situazione è «complessivamente e diffusamente molto grave sull'intero territorio nazionale con criticità ormai evidenti», scriveva ieri l'Iss. Aggiungeva: «Si riscontrano valori medi di Rt superiori a 1.25 nella maggior parte delle Regioni e superiori a uno in tutte Regioni e province autonome». Quindi per la Cabina di regia «è necessaria una drastica riduzione delle interazioni fisiche tra le persone in modo da alleggerire la pressione sui servizi sanitari». Via dunque a ulteriori restrizioni per cinque territori che cambiano colore. L'ordinanza, firmata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, entrerà in vigore da domani mattina.
«Abbiamo due o tre settimane di tempo per valutare cosa avverrà: si potrebbe anche decidere di allentare queste misure, o di chiudere ulteriormente», avverte Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute. Restano invece zona gialla il Lazio, dove il governatore, Nicola Zingaretti, ha deciso la chiusura nei fine settimana dei centri commerciali e dei mercati, e la Sardegna malgrado in entrambe sia peggiorata la situazione epidemiologica. Nel Lazio i positivi sono cresciuti del 3,9% in un giorno, in Sardegna del 4,5%. Ieri, secondo i dati del ministero della Salute, i nuovi casi di Covid-19 registrati in Italia sono stati 40.902 (+3,84% rispetto al giorno precedente) su 254.908 tamponi eseguiti. Il dato sul tasso di positività era del 16,04%, in lievissimo calo. In terapia intensiva ci sono stati 60 ricoveri (in diminuzione rispetto agli 89 di giovedì), per un totale di 3.230, mentre quelli ordinari sono più che raddoppiati: altri 1.041, per un totale di 30.914. In isolamento domiciliare ci sono 629.782 persone. Le vittime Covid nell'arco di 24 ore sono state 550 (+1,26%), quasi 200 più di giovedì, ma per fortuna cresce anche il numero dei guariti: 11.480 (+2,96%), portando il totale a 399.238. Le Regioni dove è stato registrato il maggior numero di nuovi casi sono la Lombardia (10.634), il Piemonte (5.258), la Campania (4.079), il Veneto (3.605), il Lazio (2.925), Toscana (2.478) e l'Emilia Romagna (2.384).
In un videomessaggio, il direttore del dipartimento prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, ha segnalato: «Si verifica un preoccupante aumento sia dei ricoveri ospedalieri sia dei ricoveri in terapia intensiva, questo chiaramente giustifica ulteriori misure restrittive che devono essere prese soprattutto nelle regioni che sono a rischio più elevato e naturalmente induce la popolazione a comportamenti prudenti». Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, annunciando in un video postato su Facebook di aver sentito il ministro Speranza «che mi ha notiziato che la Campania è zona rossa», chiede «ristori economici immediati». Lo invocano anche mercatali e disoccupati napoletani, ieri in piazza a protestare in due manifestazioni, tra striscioni dove campeggiava la scritta «Non ci fermeremo mai».
Continua a leggereRiduci
Il governatore campano si scatena e invoca un «esecutivo del presidente»: «Luigi Di Maio sciacallo. Non dimentico le offese di Giuseppe Conte e Lucia Azzolina». Il segretario pd va in cortocircuito e lo elogia: «Merito suo aver dato l'allarme»Inutili le misure di Stefano Bonaccini e Massimiliano Fedriga per evitare l'arancione Da domani restano gialle solo cinque regioni, tra cui il VenetoLo speciale contiene due articoliUn Vincenzo De Luca letteralmente scatenato si scaglia contro il governo, il Pd, il M5s, Roberto Saviano e fa a fettine alcuni ministri pentastellati, in particolare Luigi Di Maio, che l'altro ieri aveva duramente attaccato la Regione sollecitando la collocazione della Campania in fascia rossa. Uno show pirotecnico, quello del governatore, che parte immediatamente all'attacco nel corso della consueta diretta Facebook del venerdì: «Fatti salvi tre, quattro ministri», ringhia De Luca, «questo non è un governo, non voglio dirvi che cosa è. Per quanto mi riguarda sarebbe cento volte meglio un governo di unità nazionale, di persone competenti. Un governo del presidente che non produca il caos. Ho avuto modo di dire a qualche esponente del Pd che, se bisogna stare al governo con questi personaggi, per quel che mi riguarda, sarebbe meglio mandare a casa questo governo. Non è tollerabile nessun rapporto di collaborazione quando ci sono nel governo ministri alla Spadafora». De Luca bombarda Palazzo Chigi proprio mentre Nicola Zingaretti, segretario del Pd e azionista di maggioranza dell'esecutivo giallorosso, lo elogia: «Da collega presidente di Regione a collega», dice il leader dei dem a Rai 1, «dico che De Luca nei mesi scorsi se vogliamo dirci la verità un merito lo ha avuto, quello di lanciare allarmi. Fino a 20 giorni fa c'era una narrazione di altri, sbagliata, secondo cui non c'era pericolo del virus». Zingaretti ci prova, a stemperare la rabbia del «collega», ma De Luca è un personaggio politicamente assai atipico, che non ha mai avuto alcuna remora nell'attaccare il governo di cui il suo partito, il Pd, è uno dei due pilastri. «Alla lista degli sciacalli», argomenta De Luca, «si è aggiunto un nome illustre, tale Luigi Di Maio. Era fra quelli che facevano la campagna elettorale, un mese e mezzo fa, contestando alla Regione Campania il delitto di aver realizzato le terapie intensive, l'ospedale modulare, sprecando il denaro pubblico. Questo è un esponente di governo che avrebbe dovuto impegnarsi per far arrivare il personale che manca, questo è uno che voleva tenere il commissariamento della Campania. Provate a immaginare se», aggiunge il presidente, «in queste condizioni, avessimo avuto il commissario. Avremmo fatto una fine peggiore della Calabria. E parli! E parli! Mi voglio fermare perché il solo nome di questo soggetto, mi provoca reazioni d'istinto che vorrei controllare, almeno per le prossime ore. Ricordate che questo personaggio, Di Maio, l'ho sfidato a un dibattito pubblico, dove, come e quando vuole. Da anni. Rinnovo il mio invito a questo soggetto: un dibattito pubblico, purché in diretta televisiva. Spero non faccia il coniglio come ha fatto nei tre-quattro anni precedenti». Il cortocircuito giallorosso è totale. De Luca è infuriato col governo, e il motivo è estremamente semplice: 15 giorni fa, quando aveva annunciato il lockdown per la Campania, Napoli fu messa a ferro e fuoco e l'esecutivo lasciò il governatore solo, assediato, senza alcun sostegno. De Luca fu costretto dai tumulti a ritirare la sua decisione. Ieri, dopo 15 giorni, si è ritrovato lo stesso in zona rossa. «Noi eravamo per chiudere tutto a ottobre», ricorda De Luca, «per un mese, per avere una operazione di fermo del contagio e che ci avrebbe fatto stare tranquilli a Natale. Da sempre abbiamo avuto una linea di rigore più degli altri, da soli. Il governo ha fatto un'altra scelta, ha deciso di fare iniziative progressive, di prendere provvedimenti sminuzzati, facendo la scelta della cosiddetta risposta proporzionale, più aumenta contagio più prendiamo provvedimenti. Una scelta totalmente sbagliata, perché il contagio non aumenta in modo lineare, ma esponenziale. Questa decisione del governo», incalza De Luca, «ha fatto perdere due mesi preziosi, nel corso dei quali abbiamo avuto un incremento drammatico di contagi e decessi. Considero scriteriata la divisione in zone dell'Italia». Anche sulle scuole, che in Campania sono state chiuse già settimane fa, il presidente entra a gamba tesa contro il governo: «Il 15 ottobre abbiamo deciso la chiusura delle scuole, ricevendo polemiche e offese da parte del ministro Lucia Azzolina, del presidente del Consiglio e del governo che giudicavano esagerate quelle misure. Ma noi abbiamo chiuso perché i nostri esperti ci avevano detto di aumenti di nove volte del contagio nelle scuole. Il governo lo ha fatto un mese dopo», argomenta lo sceriffo, «senza avere la decenza di spiegare perché non lo aveva fatto un mese prima». De Luca ne ha pure per Roberto Saviano: «Lo stesso invito», sottolinea il governatore, «rivolgo a qualche camorrologo di professione, ormai milionario, che però continua non solo a vestirsi come un carrettiere, perché fa tendenza, ma a parlare di cose di cui non capisce niente. Rivolgo anche a lui l'invito a fare un dibattito sui temi della sanità campana». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/de-luca-sbrocca-e-spara-sul-governo-incassando-pure-gli-applausi-di-zinga-2648897310.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="campania-e-toscana-diventano-rosse-beffate-emilia-e-friuli" data-post-id="2648897310" data-published-at="1605304594" data-use-pagination="False"> Campania e Toscana diventano rosse Beffate Emilia e Friuli Gira la ruota dei colori, adesso solo cinque Regioni restano gialle: Veneto, Lazio, Sardegna, Molise, provincia autonoma di Trento. Diventano rosse dal 15 novembre anche Toscana e Campania (si aggiungono a Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta, Calabria, provincia autonoma dell'Alto Adige), mentre si trasformano in zona arancione Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Marche, classificate dal Cts «con rischio medio alto» al pari di Sicilia, Basilicata, Puglia, Abruzzo, Umbria, Liguria. L'ennesimo provvedimento, preso in base al monitoraggio dei dati della settimana dal 2 all'8 novembre effettuato dalla Cabina di regia dell'Istituto superiore di sanità e del ministero della Salute, allarga le restrizioni e insieme vanifica quanto tre Regioni avevano concordato per contenere la curva dei contagi, cercando di scongiurare il passaggio da zona gialla ad arancione. Stiamo parlando delle misure adottate dai governatori di Veneto, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia, con limitazioni condivise che riguardano prevalentemente le passeggiate nei centri storici e nelle zone abitate, la chiusura dei negozi nei fine settimana e la consumazione in bar e ristoranti. Una stretta per evitare il lockdown che è stata ignorata dal Comitato tecnico scientifico, attento solo ad analizzare i 21 indicatori su un report non aggiornato. Nel giorno in cui Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza delle Regioni, annunciava che gli avevano «diagnosticato una polmonite bilaterale a uno stadio iniziale» e invitava «al rispetto di tutti delle limitazioni», per fermare il contagio e rallentare i ricoveri, da Roma hanno pensato che le misure sue e del collega Massimiliano Fedriga fossero insufficienti. Le Regioni stanno tenendo dal punto di vista dell'organizzazione sanitaria, ma per i tecnici hanno un rischio 3 (scenario arancione) e Rt tra 1,25 e 1,50. In base al monitoraggio settimanale, il fattore di replicazione dell'epidemia è sceso da 1,71 a 1,43 eppure non basterebbe, perché la situazione è «complessivamente e diffusamente molto grave sull'intero territorio nazionale con criticità ormai evidenti», scriveva ieri l'Iss. Aggiungeva: «Si riscontrano valori medi di Rt superiori a 1.25 nella maggior parte delle Regioni e superiori a uno in tutte Regioni e province autonome». Quindi per la Cabina di regia «è necessaria una drastica riduzione delle interazioni fisiche tra le persone in modo da alleggerire la pressione sui servizi sanitari». Via dunque a ulteriori restrizioni per cinque territori che cambiano colore. L'ordinanza, firmata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, entrerà in vigore da domani mattina. «Abbiamo due o tre settimane di tempo per valutare cosa avverrà: si potrebbe anche decidere di allentare queste misure, o di chiudere ulteriormente», avverte Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute. Restano invece zona gialla il Lazio, dove il governatore, Nicola Zingaretti, ha deciso la chiusura nei fine settimana dei centri commerciali e dei mercati, e la Sardegna malgrado in entrambe sia peggiorata la situazione epidemiologica. Nel Lazio i positivi sono cresciuti del 3,9% in un giorno, in Sardegna del 4,5%. Ieri, secondo i dati del ministero della Salute, i nuovi casi di Covid-19 registrati in Italia sono stati 40.902 (+3,84% rispetto al giorno precedente) su 254.908 tamponi eseguiti. Il dato sul tasso di positività era del 16,04%, in lievissimo calo. In terapia intensiva ci sono stati 60 ricoveri (in diminuzione rispetto agli 89 di giovedì), per un totale di 3.230, mentre quelli ordinari sono più che raddoppiati: altri 1.041, per un totale di 30.914. In isolamento domiciliare ci sono 629.782 persone. Le vittime Covid nell'arco di 24 ore sono state 550 (+1,26%), quasi 200 più di giovedì, ma per fortuna cresce anche il numero dei guariti: 11.480 (+2,96%), portando il totale a 399.238. Le Regioni dove è stato registrato il maggior numero di nuovi casi sono la Lombardia (10.634), il Piemonte (5.258), la Campania (4.079), il Veneto (3.605), il Lazio (2.925), Toscana (2.478) e l'Emilia Romagna (2.384). In un videomessaggio, il direttore del dipartimento prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, ha segnalato: «Si verifica un preoccupante aumento sia dei ricoveri ospedalieri sia dei ricoveri in terapia intensiva, questo chiaramente giustifica ulteriori misure restrittive che devono essere prese soprattutto nelle regioni che sono a rischio più elevato e naturalmente induce la popolazione a comportamenti prudenti». Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, annunciando in un video postato su Facebook di aver sentito il ministro Speranza «che mi ha notiziato che la Campania è zona rossa», chiede «ristori economici immediati». Lo invocano anche mercatali e disoccupati napoletani, ieri in piazza a protestare in due manifestazioni, tra striscioni dove campeggiava la scritta «Non ci fermeremo mai».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Continua a leggereRiduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggereRiduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggereRiduci