2020-10-20
De Gennaro al vertice della PopBari: ora cambia pure il piano industriale
Giovanni De Gennaro (Ansa)
Con il rinnovo degli organi di governo dell'istituto, si profila una revisione del business plan definito dai due commissari. La mannaia dei 1.000 licenziamenti in tutt'Italia potrebbe persino aumentare.Dopo la notizia rivelata dal nostro giornale sul faro dei pm pugliesi sui sindacati, le sigle si difendono: inquadramenti legittimi, nessun accordo sottobanco con l'azienda.Lo speciale contiene due articoli.Con l'arrivo di Giovanni De Gennaro alla poltrona di presidente dalla Banca Popolare di Bari si susseguono le voci di una possibile revisione del piano industriale dell'istituto. Del resto, la nomina dell'ex capo della polizia appare più di natura politica che non finanziaria. Gianni, così da molti soprannominato, è stato dal 2013 al 2020 a capo di Leonardo per poi giungere a metà ottobre (e senza un curriculum dal percorso finanziario) a presiedere l'istituto barese.La sua nomina arriva con l'assemblea ordinaria degli azionisti della banca che ha fissato il numero dei consiglieri in consiglio di amministrazione a sette. Con De Gennaro, infatti, (e con il voto favorevole del 96,8% degli azionisti) arrivano anche Giampiero Bergami come amministratore delegato, Cinzia Capano; Bartolomeo Cozzoli; Elena De Gennaro; Roberto Fusco e Paola Girdinio. Salvo imprevisti i consiglieri resteranno in carica fino all'approvazione del bilancio del 2022.L'assemblea ha anche nominato il presidente del collegio sindacale, dei sindaci effettivi e dei sindaci supplenti, come da proposta presentata da Banca del Mezzogiorno - Mediocredito centrale, con voti favorevoli pari al 96,8% del capitale complessivo. Si tratta di Luca Aniasi, Raffaele Ferrara e Sofia Paternostro, nel ruolo di sindaci effettivi e di Marcella Galvani e Gandolfo Spagnuolo in quello di supplenti.La rivoluzione, insomma, appare alle porte e c'è già chi dice – a cinque giorni dall'arrivo dei nuovi vertici – che il piano presentato dai commissari Antonio Blandini ed Enrico Ajello sappia già di vecchio a causa della pandemia del coronavirus che avrebbe sparigliato le carte del sistema bancario italiano. Inoltre, i sindacati, secondo indiscrezioni, sarebbero già sul piede di guerra timorosi che una ulteriore ondata di esuberi si renda necessaria. D'altronde già la situazione attuale non sarebbe rosea. Già oggi quasi un dipendente della banca su tre sarebbe in esubero. I costi dell'attuale piano industriale sono già infatti piuttosto alti.Il piano presentato dall'azionista di maggioranza al 97% Mediocredito centrale e dal suo ad Bernardo Mattarella prevede «un piano di chiusura di 94 filiali non redditizie (il 28% del totale) dislocate in varie regioni d'Italia, al fine di focalizzare la presenza della banca sui territori storici e maggiormente redditizi; una significativa riduzione della forza lavoro con uscite tra il 25% e il 30% dei dipendenti mediante ricorso a vari strumenti di incentivo e un'importante riduzione di altre spese amministrative (circa il 27% del totale) ascrivibile a rinegoziazioni con fornitori, razionalizzazione dei processi, chiusura filiali e internalizzazione delle attività». Per avere un'idea, dei circa 3.000 dipendenti della banca circa un migliaio dovrà perdere il posto di lavoro. Il timore è dunque che il numero dei dipendenti da tagliare possa aumentare. A fine settembre il sindacato dei bancari della Cisl, First Cisl era già sceso in campo a tutela dei lavoratori della Banca popolare di Bari costituendosi parte civile nel processo contro gli ex vertici della banca e chiedendo l'introduzione del reato di disastro bancario. La famiglia Jacobini ha avuto il controllo della banca sin dalla sua fondazione negli anni 60. Nel 1998 nasce il gruppo creditizio Banca popolare di Bari frutto dell'acquisto di diversi piccoli istituti bancari o di alcuni sportelli.Purtroppo, nel tempo le operazioni di sviluppo per linee esterne non danno i risultati sperati mettendo la banca sempre più in difficoltà. Nel 2014 l'acquisto di Banca Tercas, la Banca di risparmio di Teramo, sancisce l'inizio della fine della Popolare di Bari. L'operazione viene fatta con il contributo da 330 milioni di euro da parte del Fondo interbancario di tutela dei depositi, che viene poi bollato dalla Commissione europea come un aiuto di Stato. Così viene chiesto agli azionisti di mettere mani al portafoglio per portare avanti un aumento di capitale da 800 milioni e diluendo il valore delle azioni.A questo punto, a seguito di una segnalazione di un ex dipendente riguardante operazioni poco chiare, tra cui proprio l'acquisto del banco abruzzese, la Procura di Bari avvia tra il 2016 e il 2017 un'indagine a carico dei vertici della Popolare di Bari. Nel luglio 2019, pochi giorni dopo l'approvazione del bilancio 2018 chiuso pesantemente in rosso, finisce l'era di Jacobini alla guida della banca. Il 13 dicembre 2019 la Banca d'Italia commissaria la banca e provvede a nominare Enrico Ajello e Antonio Blandini commissari straordinari e Livia Casale, Francesco Fioretto e Andrea Grosso componenti del comitato di sorveglianza. Il governo e il Fitd varano così un piano di ricapitalizzazione. Il Mediocredito centrale diventa azionista di controllo del gruppo e a giugno 2020 l'istituto viene trasformato in società per azioni. Il 15 ottobre si insedia il nuovo cda. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/de-gennaro-al-vertice-della-popbari-ora-cambia-pure-il-piano-industriale-2648393643.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="promozioni-previste-dai-contratti" data-post-id="2648393643" data-published-at="1603139651" data-use-pagination="False"> «Promozioni previste dai contratti» Nella Banca popolare di Bari c'era qualcuno che orientava le deleghe sindacali: uno stratagemma aziendale per favorire la sigla (o le sigle) che ricambiava poi con una certa mollezza. È per questo che nel nuovo capitolo dell'inchiesta sull'ex istituto di credito più grande del Mezzogiorno si inserisce a pieno la verifica sulle quote di rappresentanza. In Procura a Bari, come svelato ieri dalla Verità, pare sia arrivato un elenco con in fila nomi, cognomi e gradi dei rappresentanti delle sigle. Quasi tutti, si ipotizza, promossi per merito. Pochissime, invece, le progressioni per automatismi contrattuali. Il sospetto è che gli avanzamenti di carriera, e anche a qualche assunzione tra i parenti dei sindacalisti, abbiano rappresentato, in passato, uno strumento aziendale per cercare di ammorbidire la controparte e avere mani più libere nella gestione del personale (ma non è detto che la strategia abbia sempre portato i suoi frutti e, per capirlo, si dovrà esaminare caso per caso). Di certo c'è che i vertici aziendali in pochissime occasioni si sono trovati con i sindacati di traverso. Nessuno si era accorto di cosa stesse accadendo in banca? Si racconta che la leadership di Fiba (poi diventata First) Csil e Fisac Cgil sia frutto di uno stratagemma aziendale: dal 1982 al 1997, infatti, al momento delle assunzioni venivano consegnate dall'ufficio del personale le deleghe di iscrizione soltanto alle due sigle confederali. E, così, la Fiba si è ritrovata con anche 350 iscritti e la Fisac con 330. Poi c'era Dicredito con 35 deleghe. Le altre organizzazioni sono entrate solo nel 2004 (Uilca con 110 iscritti, Sinfub con 60, Fabi e Ugl con 40), quando Popolare di Bari ha incorporato Banca Mediterranea. Per quanto riguarda in particolare la Fiba, un vero e proprio coordinamento è stato costituito solo nel 2016. Il rappresentante era Canio Moliterni, che da Potenza si occupava dell'attività sindacale (a Bari non c'erano iscritti), e che ora precisa: «Nella commistione tra critica sindacale e atti al vaglio della magistratura, il giornalista ha riportato un elenco di nomi senza tuttavia seguire l'elementare accortezza di un accettabile grado di controllo su quanto scritto. L'elenco predetto rientra in un contesto nel quale, per il giornalista citato, gli elementi sono i seguenti “relazioni anomale tra i sindacati e la famiglia Jacobini [...] che avrebbero portato a velocizzare alcune carriere [...] con rappresentanti sindacali promossi e avanzamenti di carriera come strumento per ammorbidire". Per quanto riguarda la personale posizione dello scrivente, i fatti dimostrano l'opposto. Il personale inquadramento di mansioni in quanto avvenuto a norma dell'articolo 18 del Contratto integrativo aziendale, è una progressione per automatismo contrattuale (proprio come ben ricostruito nel servizio pubblicato ieri, ndr) che afferisce all'area impiegatizia e non a quella dirigenziale. Se poi al dettaglio tecnico si aggiunge ancora il riferimento temporale, ben si comprende la portata lesiva del contenuto dell'articolo. La progressione risale al 1998 ed è stata riconosciuta dal Gruppo Banca di Roma». Era con l'Ugl, invece, Umberto Dinice. Anche lui a Potenza. Precisa che il primo livello di quadro direttivo gli è stato riconosciuto nella ex Banca di Lucania, nel 1991, dopo otto anni dalla data di assunzione (nell'articolo, per errore di battitura, riportavamo 18 anni, ndr). Anche in questo caso fu una progressione per automatismo contrattuale. Il sindacalista fu costretto a ricorrere a un legale per ottenere la posizione, «a causa delle forti resistenze aziendali». Che in altri casi citati proprio non ci sono state.
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)
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