2021-06-03
Con il ddl Zan rischia una denuncia persino chi contrasta la pedofilia
Gli enti impegnati nella protezione dei minori potrebbero essere definiti discriminatori.I critici più moderati del ddl Zan, «Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere e sulla disabilità», forse per non passare per sostenitori di quella che è (o era) la «morale cattolica», ne criticano, più che il contenuto, i difetti di chiarezza del testo, che non garantisce quel diritto dei cittadini, più volte ricordato al legislatore dalla Corte costituzionale, di percepire in anticipo con certezza il discrimine fra condotte lecite e condotte punibili. Osservazioni parziali, ma esatte, soprattutto perché si tratta di un provvedimento che non aspira solo a garantire i diritti di una minoranza che si assume discriminata ed emarginata, ma mira a realizzare, anche introducendo nuovi limiti a diritti costituzionalmente garantiti (libertà di espressione, diritto dei genitori all'educazione dei figli, libertà di insegnamento), una nuova visione del mondo, come dimostrano l'Istituzione della «Giornata nazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la biofobia e la transfobia» di cui all'art. 7, e la strategia scolastica prevista dal successivo art.8. Difetti cui alcuni commentatori collegano la scelta del ddl, considerata inopportuna, perché diverse ne sono le motivazioni culturali e psicologiche, di equiparare, ai fini della sua repressione, la transomofobia all'intolleranza razziale, etnica o religiosa attraverso l'inserimento di appositi paragrafi a provvedimenti legislativi già in essere, con particolare riguardo all'art. 604-bis del codice penale. Questo nella versione attuale punisce la «propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa» e, in caso di approvazione del Ddl, punirà anche, con le stesse sanzioni, l'istigazione a delinquere e gli atti discriminatori e violenti per motivi fondati sul «sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere e sulla disabilità». Sembra sia stata lasciata da parte la «propaganda», forse per diminuire il forte impatto delle nuove norme sulla libertà di espressione. In ogni caso gli stessi promotori del ddl si sono resi conto di possibili difficoltà di comprensione da parte dei cittadini e all'art. 1 specificano il senso giuridico dei termini utilizzati: «sesso», «genere», «orientamento sessuale», «identità di genere». Tuttavia è proprio da questa specificazione che emerge quella che è, certamente non l'unica, ma forse la maggiore criticità, già oggetto, pur se in termini assolutamente impropri, di un esagitato scontro fra l'on. Sgarbi, che parla di «pedofilia di Stato», e i suoi difensori, che replicano non esservi nel testo alcun riferimento alla pedofilia. In realtà il problema nasce proprio dall'assenza di riferimenti alla pedofilia, che rientra a pieno titolo nella definizione fornita dall'art. 1 del Ddl: «Per orientamento sessuale si intende l'attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso o di entrambi i sessi». Di fronte ad una disposizione così chiaramente (in questo caso!) espressa, quindi non suscettibile di diversa interpretazione e in assenza di qualunque espressa eccezione, distinzione o esclusione (magari con riferimento all'età), fra le condotte sanzionate e punite dal nuovo testo dell'art. 604 bis rientrano anche quelle istigatrici, violente e discriminatorie motivate dalla «attrazione sessuale o affettiva» nei confronti di minori.Cioè, appunto, la pedofilia. Con conseguente inclusione fra i soggetti tutelati dei pedofili e fra le condotte a loro danno punibili gli atti violenti e discriminatori e l'istigazione a commetterli. Il che è giusto, e già previsto dalla legislazione vigente, per la violenza e la relativa istigazione (sempre vietate di chiunque si tratti), ma non toglie che le sanzioni di cui al ddl Zan per gli atti discriminatori motivati dall'orientamento sessuale e il silenzio sulla pedofilia mettano a rischio di condanne alla reclusione fino a sei anni personaggi impegnati nell'attività di contrasto al fenomeno degli abusi sessuali sui minori, come Don Fortunato Di Noto, fondatore e presidente dell'Associazione Meter, che potrebbe configurarsi, secondo la nuova formulazione del 2° comma dell'art. 604 bis, come «un'associazione avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale». È ben vero che il ddl Zan non abroga né modifica alcuna delle norme che attualmente puniscono l'abuso e lo sfruttamento dei minori, il turismo sessuale, la pedopornografia, sicché Don Di Noto potrebbe sempre invocare una causa di non punibilità o di insussistenza del reato, ma resta evidente l'inopportunità della contemporanea presenza nello stesso ordinamento giuridico di due normative che si pongono, quanto meno formalmente, in un così radicale contrasto. Vi sono altre criticità, a cominciare dall'impatto sulla libertà d'espressione, ma quella indicata sembra particolarmente urgente, comportando la necessità, anche nell'interesse della minoranza da tutelare, di un intervento correttivo prima ancora della discussione per la definitiva approvazione in calendario al Senato.Francesco Mario AgnoliMagistrato, già membro del Csm