2024-02-10
Ddl Capitali, Nagel contro il governo. «Difficile applicarlo: è da sistemare»
Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Durante la presentazione dei dati semestrali, l’ad di Mediobanca critica la legge di riforma delle governance. L’ultima parola spetta a Sergio Mattarella nel 2025. E anche a Londra ci sono polemiche per una proposta simile.L’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, ha presentato al mercato una semestrale in grande lustro: l’utile netto è salito del 10% a 611 milioni e i ricavi sono aumentati del 4% a 1,73 miliardi. I profitti «ai massimi storici» consentono di remunerare gli azionisti con un pay out ratio - ovvero la percentuale di utili distribuita sotto forma di dividendi - del 70% cash cui si sommerà il completamento del piano di riacquisto di azioni proprie per 200 milioni. L’acconto sul dividendo 2024 verrò pagato a maggio e grazie a questo ritmo di ricavi e generazione di capitale, il ritorno annuo per i soci sarà superiore al 10%.Nagel brinda ai conti ma lancia anche un messaggio a Roma su un tema assai caro agli investitori internazionali, ovvero il ddl Capitali. E in particolare, le nuove regole sulla presentazione di una lista del cda uscente per il suo rinnovo: «È una norma che, per la sua genesi, ha un’applicazione difficile e non chiara e necessita di interventi di chiarimenti e ridefinizione», ha detto il banchiere. Sottolineando che, «al di là di chi presenta la lista, la cosa più importante è il contenuto». Nagel ha poi citato il parere di alcuni giuristi secondo cui, «qualora fossimo in una situazione in cui la lista del board risultasse prima nella votazione, non si avrebbe automatica certezza sul presidente e l’amministratore delegato indicati, ma ci sarebbero forti dubbi sulla loro elezione. È un provvedimento che sarà difficile applicare o richiederà interventi correttivi», ha concluso.La nuova disciplina sulla presentazione della lista del cda è stata la più dibattuta all’interno del ddl capitali, un complesso di norme che ha l’obiettivo di attrarre risorse verso Piazza Affari facilitandone anche l’accesso alle piccole e medie imprese. Con gli ultimi rinnovi del board, sia in Mediobanca sia nella partecipata Generali, la presentazione di una lista da parte del cda uscente ha creato uno scontro con due soci importanti come Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio, e Francesco Gaetano Caltagirone. Il board di piazzetta Cuccia ha passato da poco il «tagliando», con la conferma degli attuali vertici. La nuova norma dispiegherà comunque i suoi effetti dal 2025, anno in cui andrà però in scadenza il Consiglio delle Generali.Nagel ieri ha premesso che «questo governo ha fatto diversi provvedimenti molto centrati e coraggiosi e in generale una politica economica e fiscale che è stata conservativa: ha tenuto i premi a rischio sotto controllo e ha generato ottimi livelli di occupazione». Invece, «questo provvedimento ha avuto un iter un po’ tormentato, essendo una materia molto tecnica. L’articolo 12 non era nel corpo originale del decreto Capitali, è stato aggiunto per iniziativa parlamentare. La genesi di questo tipo di iniziativa ha fatto sì che ci sia stata una reazione del mercato: l’abbiamo vista nelle reazioni dei rappresentanti delle varie associazioni e in esponenti degli investitori istituzionali italiani ed esteri».Il disegno di legge ha ottenuto qualche giorno fa il via libera della Camera (con 135 sì, un contrario e 92 astenuti) ma, siccome è stata introdotta una piccola modifica al testo, dovrà tornare al Senato che lo aveva già licenziato in prima lettura ad ottobre. Verosimilmente, sarà approvato a fine marzo. Mef e Parlamento sono poi delegati a provvedere, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del ddl, ai decreti attuativi e anche alla modifica del Testo unico della finanza (Tuf) del 1998.L’ultima parola, a quel punto, spetterà al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La legge è stata già approvata e dunque non può tornare in Aula. Ma se dal Quirinale verranno mossi dei rilievi o delle osservazioni, è prassi consolidata che vengano recepiti. Non è detto che Mattarella ne faccia, sia chiaro. Ma da qui a marzo 2025 al Colle potrebbe arrivare l’eco di altre voci dal mercato e dai fondi stranieri che - come ha riferito nei giorni scorsi anche l’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina - tengono alta l’attenzione. La governance delle società quotate, banche comprese, è del resto importante per la strategia di chi investe, che potrebbe essere scoraggiato da un approccio considerato eccessivamente protezionistico teso a favorire i soci di lungo termine a svantaggio di quelli di breve.Questo vale per l’Italia ma anche per altri Paesi. Come il Regno Unito. Proprio ieri, infatti, il Financial Times ha riportato la lettera inviata dall’International corporate governance network - un gruppo di investitori istituzionali mondiali con 77 miliardi di dollari di asset in gestione - al governo di Rishi Sunak , alla Fca (la Consob inglese) e alla Borsa di Londra. Nel mirino, c’è la proposta di rivedere le regole di quotazione per attrarre più società in crescita nel mercato britannico. Le nuove norme allo studio del governo, secondo i firmatari della missiva, eroderanno i diritti degli azionisti e danneggeranno la reputazione del Paese «come mercato con elevati standard di corporate governance». Una delle maggiori preoccupazioni degli investitori è che venga dato più peso al voto dei fondatori delle società rispetto a quello degli azionisti ordinari. I grandi fondi sono, inoltre, preoccupati per l’eliminazione del voto degli azionisti prima di operazioni strategiche come le acquisizioni e le transazioni con parti correlate. Ritengono che l’insieme delle proposte esponga gli investitori a rischi eccessivi.Sunak dovrà prenderne nota. Chissà se, da qui al 2025, prenderà appunti anche il Quirinale.