2025-02-15
Da Bmw alla farmaceutica: i dazi «Paese per Paese» fanno tremare la Germania
Berlino ha un surplus di 86 miliardi con gli Usa e con le sue auto vanta il 70% dell’export del settore. Nella logica della reciprocità e della trattativa singola rischia un salasso.La premessa è d’obbligo: i dazi che Trump ha annunciato da mesi sull’Europa si stanno materializzando lentamente. Prima sono partiti come una promessa elettorale, poi si sono trasformati in una minaccia verso Bruxelles e quindi hanno preso forma. Solo un po’, perché intanto l’effetto attesa sta portando i suoi frutti. E più tempo passa, più il mondo ne parla e soprattutto li teme. La Commissione organizza vertici ad hoc per capire come rispondere e intanto la nuova amministrazione Usa ha un’altra arma da piazzare in bella vista sul tavolo delle numerose trattative che sta portando avanti: dall’Ucraina fino alla Nato.A oggi sappiamo che verranno imposte tariffe del 25% su tutte le importazioni di acciaio e alluminio e che con l’Europa verrà applicato il sistema della reciprocità: «Se loro ci tassano, noi tassiamo loro, allo stesso modo», ha spiegato poche ore fa il presidente nello Studio Ovale. Cosa vuol dire? In buona sostanza il balzello sulle importazioni sarà calcolato sulla base di quelli praticati dagli altri Paesi, tenendo conto anche delle tasse locali. L’Iva, per esempio.Nel mirino di Trump ci sono soprattutto le industrie automobilistiche, dei semiconduttori e farmaceutiche. Date? Anche qui di ufficiale non c’è nulla, ma il lavoro di mappatura si dovrebbe concludere a fine marzo e quindi per inizio aprile le nuove imposte dovrebbero entrare in vigore. I numeri dicono che l’Europa ha un surplus commerciale di quasi 160 miliardi rispetto agli Usa. La classifica mette al primo posto la Germania che, soprattutto con auto e farmaceutica, vanta esportazioni che superano l’import per 86 miliardi. Poi c’è l’Italia con 42 miliardi di surplus, quindi l’Irlanda con 29,4 miliardi e Polonia e Francia che sono in una situazione di sostanziale pareggio. Cosa succederà? Innanzitutto bisogna intendersi su cosa significhi logica della reciprocità, perché un recente report di Banca Intesa evidenzia che la media dei dazi applicati dagli Stati Uniti è di poco superiore al 4%, mentre i balzelli che gli altri Paesi applicano sugli Usa sono intorno al 6,7%. Insomma, lo scossone potrebbe non essere così epocale come sembra in questo momento. Quindi bisogna focalizzarsi sui singoli segmenti di mercato. «Il principale settore nel quale la Ue vanta un avanzo commerciale verso gli Usa», si legge nell’ultimo rapporto del istituto di analisi economiche Ref, «è quello della farmaceutica, per circa 78 miliardi di euro [...] Al contrario, le categorie di prodotti per le quali l’area euro presenta un maggior deficit con gli Stati Uniti sono principalmente gli energetici, in primis petrolio e gas naturale, ma anche carbone e mezzi di trasporto diversi dalle autovetture [...] Il nostro avanzo è aumentato negli ultimi anni, con una crescita cui hanno contribuito soprattutto metalmeccanica, agroalimentare e auto». Ma ci sono anche «gli altri mezzi di trasporto, le bevande, la pelletteria, l’abbigliamento, la farmaceutica e i mobili» a completare il quadro. Il punto è che se dovesse prevalere la logica del «country by country», come emerge da alcune indiscrezioni pubblicate da Bloomberg e dal Financial Times, tutti i numeri messi in fila prima potrebbero assumere una logica più politica e dettata dalle diverse «simpatie» tra governi che di certo mettono l’Italia in una posizione di vantaggio. Secondo i dati di Bloomberg Intelligence, infatti, i potenziali dazi potrebbero intaccare gli utili dello Stoxx Europe 600 (le 600 principali società per capitalizzazione di mercato in Europa) dal 3% al 7%. E il rischio maggiore si concentra nei settori di sanità, industria e beni di consumo. L’analisi evidenzia che sommando anche i dazi su Canada e Messico, sono le multinazionali tedesche, soprattutto quelle dell’auto, a correre i maggiori pericoli. Circa il 65% delle auto a marchio proprio che Volkswagen vende negli Stati Uniti, per esempio, sono prodotte in Messico. Critiche per gli stessi motivi anche le posizioni di Bmw e Mercedes, così come dei contraccolpi significativi dovrebbero subirli Diageo (multinazionale britannica che opera nel settore delle bevande alcoliche), Sandvik (colosso svedese degli utensili) e le big dei farmaci Novo Nordisk (danese) e Sanofi (francese).Il problema dei tre marchi storici dell’automotive tedesca, Volskwagen, Mercedes-Benz e Bmw, è molto semplice: messi insieme vantano circa il 70% delle esportazioni complessive di auto Ue verso gli States. E al di là di qualsiasi rapporto possa venirsi a creare con la nuova amministrazione di Berlino - in Germania si voterà tra una settimana e i socialisti dovrebbero cedere il passo a un governo più spostata a destra - viene difficile pensare che alla fine i dazi più pesanti non vadano ad azzoppare i già deludenti conti dei colossi dell’industria pesante di Berlino.
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