2025-04-09
«Da oggi dazi al 104%». Trump «bombarda» la Cina ma fa pace con la Corea
Il leader: «Aspetto una chiamata da Pechino». Che fa ancora incetta di materie prime. Aperto il dialogo con Seul e Tokyo: «Però, mentre si tratta, i tributi doganali restano».Si alzano ancora i toni tra Cina e Stati Uniti, dopo che Pechino ha riposto con dazi del 34% ai dazi «reciproci» imposti da Donald Trump il 2 aprile scorso. Il presidente americano ha minacciato di imporre ulteriori dazi del 50% a partire da oggi se la Cina non ritirerà i contro-dazi. La Cina ha risposto ieri attraverso il ministero del Commercio: «La minaccia degli Stati Uniti di aumentare i dazi sulla Cina è un errore su un altro errore, che espone ancora una volta la natura ricattatoria degli Stati Uniti. Se gli Stati Uniti insistono a modo loro, la Cina combatterà fino alla fine». La nota cinese conclude che se Trump dovesse aumentare i dazi, «la Cina prenderà risolutamente delle contromisure per salvaguardare i propri diritti e interessi».L’annuncio della Casa Bianca arriva nel pomeriggio di ieri: da oggi i dazi contro la Cina saliranno al 104%. Si tratta certamente di qualcosa di inaudito e rispetto a cui non ci sono precedenti. La decisione del presidente cinese, Xi Jinping, di reagire ai dazi americani e di non ritirare la reazione porta il mondo in una guerra commerciale aperta. Dalle parole ai fatti, la Cina non solo non ritira i suoi controdazi sulle merci Usa, ma sembra intenzionata ad andare fino in fondo davvero. Ieri, un primo segnale: la moneta cinese si è deprezzata in maniera sostanziale. Dopo un primo indebolimento dello yuan lunedì, nella seduta di martedì la Banca centrale della Repubblica popolare cinese deve aver mollato i freni, lasciando che il dollaro arrivasse ai massimi degli ultimi 15 anni a 7,3982. Inoltre, un gruppo di fondi statali è intervenuto sul mercato azionario per sostenere i listini in caduta libera nella giornata di lunedì, contribuendo ad alleggerire il calo. Diverse aziende cinesi quotate hanno approfittato del calo in Borsa per procedere a massicci acquisti di azioni proprie. Si sono registrati anche movimenti importanti sui mercati delle materie prime, dove diversi fondi cinesi hanno aumentato l’esposizione al rialzo su diverse materie prime come argento, rame, nichel e zinco. Mentre si segnala che nei primi due mesi di quest’anno la Banca popolare cinese ha acquistato altre 10 tonnellate di oro, arrivando a 2.290 tonnellate di oro a riserva, cifra che ne fa il quinto detentore al mondo dopo la Francia (l’Italia è la terza).Il premier cinese Li Qiang ha affermato ieri, durante una telefonata con Ursula von der Leyen, che la Cina dispone di ampi strumenti politici per «compensare completamente» qualsiasi impatto esterno negativo. Un’affermazione sibillina, mentre il ministro del Commercio di Pechino parlava di resistenza a oltranza. Ieri, nella capitale, il capo dell’agenzia di pianificazione economica cinese ha incontrato i rappresentanti di alcune aziende private per raccogliere reazioni e problemi rispetto ai dazi americani.Sono segnali di una battaglia lunga, nell’idea di Pechino. Trump e Xi si trovano nella situazione più delicata possibile, poiché a questo punto il primo che cede ha perso politicamente. Le dichiarazioni di Li Qiang fanno però pensare a un aggiramento dell’ostacolo, più che a uno scontro. L’espressione «compensare completamente» usata dal primo ministro cinese fa pensare che la Cina potrebbe riversare altrove il proprio export. Una reazione diretta ulteriore sarebbe ardua, anche perché le due economie sono comunque strettamente legate. La Banca centrale cinese ha riserve valutarie in dollari per 3.200 miliardi di dollari americani (dato di gennaio 2025). Una cifra enorme accumulatasi anche per i cospicui deficit commerciali che gli Usa hanno accatastato negli anni verso la Cina. Circa l’8,8% del totale del debito pubblico americano detenuto all’estero è nelle mani della Cina, pari a 760 su 8.634 miliardi di dollari (il maggior detentore estero di titoli Usa è il Giappone). Una cifra che è anche calata molto dai massimi di 1.300 miliardi raggiunti nel 2016. Alcuni analisti hanno ipotizzato ieri che una contromossa di Pechino potrebbe essere quella di disfarsi di questa montagna di debito americano per colpire la fiducia nel dollaro. Ma sarebbe una mossa suicida, perché costerebbe moltissimo anche alla Cina, mentre avrebbe un effetto stimato di un aumento dei tassi americani attorno ai 60 punti base, se la banca centrale americana non intervenisse.Il Segretario americano del Tesoro, Scott Bessent, ha detto ieri che il Giappone avrà la priorità nei negoziati commerciali perché è stato il primo Paese a farsi avanti. Bessent ha detto altresì che l’amministrazione Trump è aperta al negoziato, affermando che gli Stati Uniti potrebbero «finire con il fare alcuni buoni affari». La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha poi precisato che i dazi continueranno a restare in vigore durante i negoziati per gli accordi.Poco dopo, Trump, con un post su Truth, ha scritto di aver parlato con il presidente ad interim della Corea del Sud, Han Duck-soo: «Abbiamo parlato del loro enorme e insostenibile surplus, delle tariffe, della costruzione navale, dell’acquisto su larga scala di Gnl statunitense, della loro joint venture in un oleodotto in Alaska e del pagamento per la grande protezione militare che forniamo alla Corea del Sud», ha affermato Trump. Aggiungendo poi che il governo coreano sta inviando una delegazione a Washington per negoziare un accordo. Trump appare ansioso di passare all’incasso politico sventolando il primo accordo, che sia con il Giappone o con la Corea. Ha pure colto l’occasioneper lanciare un messaggio a Pechino: «Anche la Cina vuole fare un accordo, con tutte le sue forze, ma non sa come farlo partire. Stiamo aspettando la loro chiamata».
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)