
La Procura della Corte dei conti indaga ancora sulla fusione di Lgh con A2A, sostenuta da Giuliano Pisapia e dai sindaci dem.C'è una bomba pronta a esplodere sotto le multiutility lombarde protagoniste di fusioni con A2A, colosso milanese e bresciano di energia elettrica e gas. È il risultato di sei anni di politiche di centrosinistra, in particolare del Pd, negli anni dei governi Letta, Renzi e Gentiloni. Le segnalazioni da parte della magistratura contabile si susseguono da tempo. Appena tre giorni fa la Procura generale della Corte dei conti ha chiesto nuovi chiarimenti, dopo una segnalazione della Gdf: il rischio è che ci sia stato un danno erariale per centinaia milioni. Le operazioni di fusione sono state approvate dai cda delle partecipate pubbliche senza un passaggio in Consiglio comunale nella maggior parte dei Comuni soci. Il benestare alle fusioni è arrivato dall'ex ad di A2A Valerio Camerano, nominato dall'ex giunta milanese di Giuliano Pisapia con l'approvazione dell'ex premier Matteo Renzi: ora Camerano è managing director nel fondo Algebris di Davide Serra, storico finanziatore del leader di Italia viva. Tra il 2015 e il 2016 parte l'operazione di aggregazione tra Lgh (Linea group holding) e A2A. Lgh è una multiutility che vede tra i suoi azionisti anche Aem Cremona spa al 15,15%, Cogem spa (Como) al 15,15%, Asm Pavia spa al 7,80%, Astem di Lodi spa al 6,47%, Scs srl (Società cremasca servizi) di Crema al 4,43%. Quest'ultima è e a sua volta partecipata da Cremasca servizi (100% Comune di Crema) e da Scrp (Società cremasca reti e patrimonio partecipata al 50% dai Comuni cremaschi).La cessione del 51% di Lgh a A2A avviene nel 2016, con ratifica da parte dei cda, senza delibere specifiche e con un solo atto della giunta del Comune di Crema per Scs: i Consigli comunali vengono saltati. Pochi mesi dopo, il M5s, in particolare il deputato Ferdinando Alberti e gli altri deputati e consiglieri lombardi grillini, presentano un esposto all'Anac. Nel 2018 l'Autorità anticorruzione conferma che l'operazione è illegittima, non essendo state rispettate le regole di evidenza di gara pubblica, i normali principi di trasparenza, la pubblicazione del bando e la verifica di condizioni migliori di vendita. La sentenza dell'Anac supera due ricorsi al Tar, che varranno come prova in un'altra fusione avvenuta nell'ultimo anno, tra la Aeb di Seregno e la stessa A2A, annullata dal Consiglio di Stato. Scrp oggi è gestita da un commissario. Alcuni sindaci, dopo la cessione subita del 51%, hanno chiesto di uscire dalla società monetizzando le loro quote del 49%. C'è poi ancora in corso una causa, con i costi a carico della partecipata pubblica. Per questo, a seguito della sentenza Anac, in via precauzionale, nel bilancio di Scrp sono stati accantonati circa 680.000 euro per eventuali danni erariali. Altri 300 milioni sono stati invece accantonati da Cremasca servizi. E sono stati inoltre spesi 70.000 euro tra consulenze legali, esposti al Tar (tutti persi) e pareri legaliCome detto, la regia dell'operazione A2A/Lgh è targata Pd ed è stata difesa da tutti i suoi esponenti sul territorio. Ha avuto l'appoggio del sindaco di Crema Stefania Bonaldi, dell'ex consigliere regionale dem Agostino Alloni e dall'ex segretario provinciale e ora consigliere regionale Mario Piloni sempre del Pd. Il caso di Piloni è curioso. La sua campagna per le regionali lombarde 2018 ha ottenuto contributi da alcuni dirigenti delle partecipate. Tra questi c'è Pietro Moro, presidente di Scrp, che ha deliberato la cessione del 51% nell'operazione A2A/Lgh: la moglie Tiziana Stella siede nel Consiglio comunale di Crema a maggioranza dem. Altri finanziamenti sono arrivati da Dino Martinazzoli, amministratore unico di Cremasca nominato dalla Bonaldi e membro del cda di Lgh. A questi si aggiungono anche i contributi dell'avvocato Luca Lanzalone, a processo a Roma per la realizzazione dello stadio. L'ex consulente dell'ormai ex sindaco Virginia Raggi ha dato finanziamenti a Piloni tramite la Lanfel srl. Lanzalone è stato uno degli avvocati, insieme con Andrea Manzi e Stefano Sonzogni, che ha seguito un ricorso al Tar da parte di Scs in cui si chiedeva l'annullamento della delibera del febbraio 2018 che dichiarava illegittima l'acquisizione da parte di A2A del capitale sociale di Lgh, dichiarato inammissibile. Contattato dalla Verità via mail, Piloni spiega: «Per la campagna elettorale del 2018 ho ricevuto due contributi da persone a cui sono legato da un rapporto di amicizia, che al tempo ricoprivano incarichi nelle due aziende indicate, rispettivamente per 600 e 1.500 euro. Non mi risulta, dopo aver attentamente ricontrollato i miei rendiconti che, come sa, sono pubblici, che chi mi ha sostenuto economicamente abbia ricoperto il ruolo di consulente nel processo di fusione con A2A, operazione nella quale, peraltro, da consigliere regionale di minoranza non ho e non avrei potuto avere alcun ruolo».Nel frattempo alla fine di ottobre è arrivato un altro parere legale richiesto dalla società Astem, la municipalizzata di Lodi sulle integrazioni. L'avvocato Alberto Marelli ha scritto che la procedura di fusione per incorporazione di Linea group in A2A è illegittima. La fusione non risulterebbe «conforme alle norme che regolano le vicende delle partecipazioni pubbliche», che «prescrivono l'adozione di procedure di evidenza pubblica per la negoziazione e valorizzazione delle partecipazioni sociali dirette e indirette degli enti pubblici». In sintesi: si sarebbe trattato di un'operazione illegittima in quanto portata avanti senza gara pubblica.
Vladimir Putin (Ansa)
Il piano Usa: cessione di territori da parte di Kiev, in cambio di garanzie di sicurezza. Ma l’ex attore non ci sta e snobba Steve Witkoff.
Donald Trump ci sta riprovando. Nonostante la situazione complessiva resti parecchio ingarbugliata, il presidente americano, secondo la Cnn, starebbe avviando un nuovo sforzo diplomatico con la Russia per chiudere il conflitto in Ucraina. In particolare, l’iniziativa starebbe avvenendo su input dell’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che risulterebbe in costante contatto con il capo del fondo sovrano russo, Kirill Dmitriev. «I negoziati hanno subito un’accelerazione questa settimana, poiché l’amministrazione Trump ritiene che il Cremlino abbia segnalato una rinnovata apertura a un accordo», ha riferito ieri la testata. Non solo. Sempre ieri, in mattinata, una delegazione di alto livello del Pentagono è arrivata in Ucraina «per una missione conoscitiva volta a incontrare i funzionari ucraini e a discutere gli sforzi per porre fine alla guerra». Stando alla Cnn, la missione rientrerebbe nel quadro della nuova iniziativa diplomatica, portata avanti dalla Casa Bianca.
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.
Imagoeconomica
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.
La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.





