2021-01-16
Dall’uno vale uno, all’uno vale l’altro. La crisi spacca i grillini in quattro
Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio (Ansa)
L'appello di Luigi Di Maio a salvare i giallorossi seguendo il «faro del Colle» non cela lo scontento. Roberto Fico punta a Palazzo Chigi con Virginia Raggi, mentre Alessandro Di Battista guida i puristi. E c'è chi ha guarda con nostalgia a Matteo SalviniDall'«uno vale uno» all'uno vale l'altro, che problema c'è? L'ultimo salto mortale carpiato con avvitamento ha sfinito l'armata grillina, che ufficialmente si è presa 24 ore di riflessione lasciando il lavoro sporco di ingaggiare i «responsabili» o «costruttori» al Pd, storicamente più avvezzo a districarsi fra i banchi del mercato del pesce. La parola d'ordine è salvare Giuseppe Conte senza badare a scendere a patti con chiunque, compresa donna Alessandrina Lonardo in Mastella. Tutto questo nel giorno del grande imbarazzo, mentre già sulla Rete viaggia il nuovo nome: Movimento 5Mastelle. Luigi Di Maio non si cura del sarcasmo diffuso e conferma la sua mutazione genetica ribadendo banalità da portaborse di Arnaldo Forlani: «Non possiamo lasciare che a prevalere siano sentimenti di odio e sfiducia nei confronti della classe politica». Dopo l'anatema contro Matteo Renzi («Mai più con Italia viva», almeno per oggi) l'obiettivo del ministro degli Esteri è arrivare a una maggioranza Ursula, invocata come salvagente, sotto la cappa protettiva di Sergio Mattarella. Perché «è lui il nostro faro». Frase che pronunciata da chi due anni fa ne chiedeva l'impeachment fa sempre un certo effetto. La parola d'ordine è: allineati e coperti. Con una pregiudiziale di ferro, quella contro Renzi e il suo fregolismo politico dell'ultima ora. «Dopo che hai attaccato a testa bassa su chiunque e sulla qualunque, adesso te ne esci con “Italia viva c'è?" Italia viva c'era già, era dentro il governo, aveva gli strumenti per agire dall'interno», spiega un colonnello grillino all'agenzia Adnkronos. «Quello che è successo è stato un atto unilaterale sconsiderato, gravissimo di Renzi. Avevano tutte le possibilità di fermarlo allora e non è avvenuto. Nessuna apertura, non ci siamo proprio. Ciò detto in Italia viva ci sono anche persone che hanno a cuore il bene del Paese». Traduzione: se vogliono venire con noi senza il loro leader, sono i benvenuti. Il responsabile politico Vito Crimi liquida la faccenda evocando un principio: «È nostro dovere continuare ad aiutare il Paese. Siamo arrivati a un milione di cittadini vaccinati, andiamo avanti con determinazione. Questo conta».Sembra tutto scontato, ma sotto il pelo dell'acqua c'è un'Atlantide pentastellata che si agita. La balcanizzazione del Movimento continua e la fronda rischia di diventare incontrollabile proprio nel momento più delicato della legislatura. Ieri mattina 13 parlamentari (cinque dei quali senatori), hanno presentato ai leader un documento con alcune richieste da inserire nel contratto di legislatura del prossimo governo. I 13 hanno precisato che non forzeranno la mano («Nessun ultimatum, ma serve un cambio di passo»), però i sei punti sono lì e pesano: no al Mes, ritorno alla didattica in presenza nonostante i colori, rafforzamento del sistema dei crediti fiscali, creazione della partita Iva di cittadinanza e dell'impresa di cittadinanza. E poi l'asso di picche: «Rinunciare ai fondi a prestito del Recovery, sostituendoli con emissione di titoli di Stato». Una proposta che, solo a sentirla, farebbe venire l'ulcera a Roberto Gualtieri e costringerebbe Paolo Gentiloni a piangere sulla spalla di Ursula Von der Leyen.Le anime in tempesta nella transizione pentastellata sono quattro. La prima, quella dei governativi, è tutta con Di Maio, ha come obiettivi la salvezza del premier e la messa in sicurezza della rata del mutuo fino al 2023. Martedì sarà una falange. La seconda, quella di sinistra, è contenta dell'alleanza con il Pd, ma non ha nulla che la leghi per la vita all'avvocato degli italiani. È guidata da Roberto Fico, tendenzialmente è leale ma guarda l'evoluzione della crisi con atteggiamento laico; nel caso in cui Conte saltasse su una mina in Senato è pronta a sponsorizzare un governo proprio con il presidente della Camera come premier. E con un ministero per Virginia Raggi, in uscita anticipata dalla pericolosa tonnara delle elezioni romane. Poi c'è l'anima movimentista, quella della purezza primigenia del Vaffa, che guarda ad Alessandro Di Battista come punto di riferimento. Oggi Dibba è fuori dai giochi ma i suoi uomini sono scontenti dell'immobilismo, del parlamentarismo, degli atteggiamenti curiali di Conte, della subalternità ai gran visir piddini. Chiedono di cambiare passo ma non bocciano l'operazione di maquillage. È proprio Di Battista a confermarlo: «Meglio i responsabili di Iv? Assolutamente sì. Renzi è un avvelenatore di pozzi, dove sta scritto che Rotondi è peggio di Marattin?». Infine c'è l'anima ribelle, quelli che proprio non ce la fanno a morire democristiani e che - si parla di cinque fra deputati e senatori - stanno trattando il passaggio alla Lega, fedeli all'esperienza del governo Conte 1. Sarà un weekend difficile per i leader pentastellati, impegnati a sollevare il morale a senatori impegnati non solo a metabolizzare i Mastellas ma a rimuovere le due provocazioni di giornata. La prima è un video imbarazzante nel quale Beppe Grillo demolisce Mastella in teatro. La seconda è un tweet di Conte nella turbolenta estate 2019. Il Metternich di Volturara Appula spergiurava: «Che io possa andare in Parlamento a cercare maggioranze alternative, o che voglia addirittura dare vita a un mio partito, è pura fantasia. Non facciamo i peggiori ragionamenti da prima Repubblica». Poi, come folgorato da un'illuminazione hegeliana: «Restituiamo alla politica la sua nobiltà, voliamo alto». E soprattutto, non facciamoci riconoscere.
Jose Mourinho (Getty Images)