2021-10-30
Dalla Difesa allo spazio. Ecco cosa c'è nelle bozze del Trattato
Le trattative sulla cooperazione bilaterale rafforzata tra Italia e Francia riguardano pure giustizia, migranti e affari esteri. Con Parigi che vuole porsi in posizione dominante. Ma i nostri interessi devono essere diversi.Dentro la scatola del G20 (in corso a Roma in queste ore) c'è una scatola molto più importante, delicata e invasiva. In occasione delle bilaterali tra Italia e Francia si stanno definendo le bozze del Trattato del Quirinale a cui presto sarà dato il nome di «Trattato per una cooperazione bilaterale rafforzata fra Italia e Francia» e che secondo gli obiettivi condivisi con i cugini d'Oltralpe dovrà essere firmato entro la fine di novembre quando Emmanuel Macron volerà a Roma. I tempi sono strettissimi, troppo stretti per i pericoli che il trattato contiene in modo implicito ed esplicito. Il documento mira nel suo complesso a definire per il futuro una cooperazione bilaterale rafforzata tra i due Paesi sui temi della Difesa, industria, giustizia, affari esteri ed europei, energia e persino gestione dei confini. Al trattato vero e proprio sarà poi affiancato un «Programma di lavoro», che Parigi ha chiamato «Feuille de route» quando lo scorso giugno ha inviato la sua controproposta direttamente al Quirinale. A partire da agosto, in collaborazione con la Farnesina, sono partiti i tavoli su tutte le tematiche tranne quella della cooperazione spaziale di cui si è cominciato a discutere solo a settembre. Per capirsi, la colonna dorsale di tutto l'impianto servirà a creare percorsi di cooperazione così rigidi che qualunque governo ci sarà a Palazzo Chigi nei prossimi anni sarà ininfluente. Ecco perché bisogna alzare le antenne e domandarsi perché le trattative sono praticamente un segreto di Stato. Il Parlamento non è coinvolto, tanto meno le altre istituzioni, per non dire gli italiani. Il trattato, infatti, include di per sé un rischio di massima. Perché legarsi a doppio filo con la Francia se esistono già i trattati europei? E soprattutto il testo, di cui La Verità è riuscita ad avere contezza, contiene trappole potenzialmente devastanti per la nostra industria, per il commercio, per la Difesa e pure per i confini. Flussi migratori compresi. Un tema estremamente bollente. Rischiamo di avere una polizia di confine condivisa senza sapere bene a quali obiettivi risponde e che logiche dovrà seguire. Per il resto, tra i punti ancora da definire c'è l'intero paragrafo che riguarda gli Accordi di Parigi. Gli uomini di Macron chiedono di inserire un esplicito riferimento al sostegno che le parti dovrebbero perseguire affinché l'Accordo di Parigi sia elemento essenziale in tutti gli accordi di commercio e investimento conclusi dall'Ue. Scherziamo? Il nostro Paese dovrebbe impegnarsi a rendere il quadro normativo internazionale, che piace ai francesi, di fatto una legge soprastante non solo alle logiche italiane ma anche a quelle dell'intera Unione. Con il risultato che finiremmo a tagliare il ramo su cui molte aziende italiane siedono quando trattano con gli Usa o anche con altri partner asiatici che delle tematiche ambientali hanno una visione diversa. Sempre i francesi a giugno hanno chiesto un percorso blindato di aggiornamento del «Programma di lavoro». Dalla proposta inviata a Parigi durante l'estate, l'Italia chiede invece formati ristretti di consultazione senza la necessità di prevedere un obbligo di risultato da cristallizzare con un ulteriore obbligo giuridico. I francesi sembrano insistere. Qui la speranza è che intervenga Palazzo Chigi o direttamente Mario Draghi. Visto che in ballo ci sono anche i confini del Paese non si può cedere a tali pressioni. In parole povere, se una proposta di upgrade del «Programma di lavoro» non va all'Italia dovremo essere liberi di mandarla a monte. Le stesse logiche si stanno applicando anche nel trattare una governance dello spazio cibernetico, ma anche dello spazio transfrontaliero fisico. Nascerà un comitato di cooperazione transfrontaliera o tutto va deciso ora? Ricordiamo che pende sulle nostre teste anche il trattato di Caen, voluto dal governo Gentiloni che mira a concedere ai francesi lo sfruttamento di aeree marine confinanti sia in temi energetici che di pesca. Non vorremmo che quell'insano tentativo mai arrivato in Parlamento sia la base dei futuri paragrafi del Trattato del Quirinale. Dubbi legittimi, visto che ancora oggi non si riesce a scoprire esattamente i nomi di coloro che stanno lavorando a redigere il testo tanto promosso da Sergio Mattarella. Eppure, sarebbe importante per verificare che non siano influenzati da posizioni troppo ideologiche o magari spinti da filiere politiche nazionali che guardano all'ambito riconoscimento della Legion d'onore. A oggi mancano infatti molti dettagli anche nei paragrafi che sono in fase più avanzata. Affari esteri, sicurezza e Difesa, cooperazione industriale e infine affari europei. Il Trattato ci impegnerà a consolidare i rapporti per stabilizzare il Mediterraneo, l'Africa subsahariana e il Medioriente. Sviluppare scambi di informazioni fino ad avere attività congiunte anche sul piano operativo. Il tutto sulla base di una «cultura strategica comune». Chiaro, ma se in ballo ci saranno gli interessi dell'Eni o di Total ci sarà un punto di caduta oppure decide chi è più forte? E in quell'area è inutile dirlo: sono più forti i francesi. Per carità, l'idea di potenziare assieme le attività cyber e spaziali è molto buona. Così come quella di creare un perimetro dell'esercito comune Ue limitate a quei due campi. I singoli Paesi Ue sono troppo piccoli per competere con la Cina o con altre potenze. Ma a questo punto ci chiediamo perché sposarci con i francesi se il progetto deve essere comunitario. Su temi come questi un accordo bilaterali cozzerà sempre con i piani europei di crescita. Al di là di quello che uno può pensare delle scelte intraprese da Bruxelles. A confliggere è proprio la filosofia di fondo. Stesso rischio può sorgere con clima ed energia. Il Trattato mira, proprio nel paragrafo dedicato alla cooperazione industriale ed economica e in quello successivo dedicato alla sostenibilità, a sfruttare le attività post Covid per rafforzare la cooperazione bilaterale nei vari fori multilaterali a fronte dell'urgenza climatica. Insieme si vorrebbe puntare il piede sull'acceleratore della transizione ecologica. Immaginiamo si guardi a livelli di decarbonizzazione molto elevati e al tempo stesso si voglia inserire nei piani di Bruxelles la componente nucleare: non ci vuole tanto a capire che ci troveremmo a dover abbandonare tratti di gas e di energia tradizionale finendo con l'importare ancora più energia francese prodotta dalle loro centrali. O, peggio ancora, entrare per ultimi nella corsa all'atomo con il risultato di dover pure importare e acquistare la loro tecnologia. Omettiamo qui gli esempi recenti legati a Fincantieri o anche la concorrenza sfrenata a Leonardo e ad altre aziende nostrane. Non ci vogliono numerose lauree per capire quanto sia sottile il filo su cui stiamo camminando. Ci vuole nulla per scivolare tra le braccia dei francesi, di colpo essere malvisti dagli americani e al tempo stesso perdere la possibilità di subentrare ai tedeschi tra le fila di Bruxelles ora che Angela Merkel se ne è andata. Speriamo che il Quirinale renda pubbliche le bozze e che Palazzo Chigi sia chino sulla scrivania a vergare una nuova versione.
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