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2018-10-13
Dalle violenze sessuali agli omicidi. Centri per immigrati allo sbando
ANSA
L'ultimo in ordine di tempo è il cadavere di un uomo con la testa sfondata ritrovato nel parco di un centro di accoglienza di Como. Ma c'è anche la slovacca violentata a Roma, il pusher che nascondeva la droga sotto al letto, le operatrici sequestrate ad Agrigento, il direttore aggredito a Foggia e persino un neonato, partorito e poi buttato in un secchio come fosse immondizia, in una struttura di Salerno.
Nei centri dedicati ai profughi i richiedenti asilo sono meno numerosi, quello che non cala, invece, è il livello di violenza che si registra in quei luoghi. Tra gli operatori del business sempre poco presenti e l'alta quantità degli ospiti, negli stabili che ospitano i richiedenti asilo, ne succedono un po' di tutti i colori. Due giorni fa, a pochi metri dai cancelli del centro di accoglienza dei padri salesiani del quartiere Tavernola, a Como è stato rinvenuto il cadavere di un giovane uomo, certamente immigrato, privo di documenti e in avanzato stato di putrefazione. Il suo corpo è stato gettato in una piccola scarpata dietro alla struttura, tra i rifiuti abbandonati, avvolto in una coperta insanguinata e con il cranio sfondato. Lo stato del cadavere ha subito reso evidente che non si è trattato di una morte accidentale, ma molto probabilmente di un omicidio.
Sull'identità del giovane gli inquirenti stanno ancora indagando ma potrebbe trattarsi di uno dei tanti sedicenti profughi sbarcati nei mesi scorsi, inseriti nel circuito dell'accoglienza e che poi spariscono nel nulla. Il giovane potrebbe essere stato vittima dell'aggressione di uno degli ospiti o di qualcuno della zona, magari parte di qualche giro d'affari non esattamente lecito. Il centro di accoglienza di Tavernola si trova in un quartiere che affaccia sul lago, all'interno della struttura di proprietà dei salesiani gestita dall'Associazione il Focolare, che si occupa di profughi nel territorio. E lì, le risse violente non sono una novità: lo scorso febbraio, all'interno della struttura erano intervenute le forze dell'ordine per una lite degenerata, durante la quale un giovane di 23 anni era rimasto ferito.
Anche ieri non sono mancati gli episodi inquietanti. A Roma un pusher senegalese di 24 anni, già noto per i suoi precedenti, è stato colto mentre cedeva dosi di stupefacenti e fermato con l'accusa di spaccio.
I militari hanno anche perquisito il centro di accoglienza di Torre Gaia, dove lo spacciatore era ospite, e nella camera in cui era sistemato hanno trovato soldi, droga e bilancini di precisione per il confezionamento delle dosi.
Sempre ieri, una trentottenne slovacca ha denunciato di essere stata sequestrata e violentata per un'intera notte in una tenda all'interno del centro Baobab Experience, situato in zona Tiburtina, a Roma. Il fatto che si tratti di un campo gestito da volontari e fondato in alternativa alle politiche di accoglienza di Stato sotto lo slogan «Refugees welcome», non lo ha reso immune da episodi di violenza: la donna, infatti, avrebbe riferito di essere stata sequestrata da un giovane arabo che l'ha portata nella sua tenda, l'ha violentata e l'ha colpita con un bastone quando lei ha tentato di fuggire.
Sempre in tema di sequestri, ad Agrigento, appena quattro giorni fa, la polizia aveva arrestato tre diciottenni cittadini nigeriani e uno gambiano ospiti del Villaggio di Mosè dopo che questi avevano bloccato all'interno della struttura due operatrici per farsi consegnare il denaro del pocket money.
E ancora, tre giorni fa nel foggiano un nigeriano di 26 anni, richiedente asilo, è stato arrestato dopo che, entrato nel Cara di Borgo Mezzanone, avrebbe minacciato violentemente il direttore, pretendendo che gli consegnasse del denaro.
Ma c'è molto di peggio. Lo scorso 19 settembre, nel centro migranti Lontrano di Auletta, in provincia di Salerno, una giovane nigeriana dopo aver partorito un feto al settimo mese, lo ha nascosto in un secchio all'esterno della struttura, abbandonandolo tra i rifiuti. Solo le sue condizioni di salute, conseguenti al parto, hanno consentito la macabra scoperta.
Alessia Pedrielli
Il tunisino spacca vetrine di Padova era abusivo in una casa popolare
Lo chiamavano «il re delle spaccate» e non perché avesse delle gambe particolarmente elastiche: si sospetta infatti che al suo attivo ci siano ben 37 colpi effettuati in altrettanti negozi, tutti furti realizzati allo stesso modo, ovvero spaccando la vetrina e rubando tutto quello che c'era da rubare. Ora, tuttavia, il caso del tunisino arrestato martedì a Padova si arricchisce di un ulteriore particolare che ha il sapore della beffa: l'uomo, infatti, si nascondeva in una casa popolare assegnata alla sorella, che però ora vive in Tunisia.
Ma facciamo un passo indietro. Martedì, come detto, la polizia ha sottoposto a fermo Ammor Ben Lazhar Torch, pluripregiudicato tunisino di 40 anni, irregolare sul territorio nazionale. L'uomo si spostava in bicicletta (ovviamente rubata, ne aveva più di una) e agiva da solo, spaccando le vetrate delle attività commerciali e poi portando via il fondo cassa. Nel 2014, Torch era stato arrestato per un altro furto in un negozio di abbigliamenti, sempre a Padova (all'epoca aveva a suo carico anche svariate denunce per stupefacenti). Nel luglio 2017, il tunisino è stato scarcerato e nell'agosto 2017 è stato portato nel Centro di Torino per l'espulsione. Qui però, la prima beffa: in quell'occasione, infatti, non era stato possibile identificarlo, per questo motivo la Tunisia non lo aveva accettato. L'uomo era quindi tornato a piede libero.
Ora si apprende la seconda, incredibile circostanza: il presunto criminale viveva infatti a spese dei cittadini di Padova, in una casa a cui non aveva diritto. L'appartamento, spiega Il Gazzettino, risulta assegnato alla sorella, 51 anni, che però, come ha ammesso l'arrestato, ora vive in Tunisia. Il quotidiano riporta anche le dichiarazioni in merito dell'assessore al Sociale Marta Nalin: «Noi facciamo le verifiche in base alle segnalazioni che riceviamo. In questo caso specifico, parliamo di una casa assegnata nel 2015 ad una donna che aveva tutti i requisiti per essere in graduatoria. Nessuno ci aveva chiesto di intervenire. Di questo uomo non sappiamo nulla, ma siamo felici che si sia risolto un problema che stava preoccupando tutti».
Il riferimento dell'assessore è ai numerosi furti in centro realizzati a Padova negli ultimi mesi. Una catena di crimini che aveva allertato le forze dell'ordine, portandole a restringere il cerchio dei sospettati a pochi individui, uno dei quali era appunto Torch, tenuto sotto controllo da circa un mese.
L'uomo usciva sempre alla sera tardi, prima faceva un giro nelle piazze di spaccio, da lui ben conosciute. Poi, dopo aver fatto incetta di crack, spaccava le vetrine dei negozi. Al momento vengono attribuiti all'uomo con relativa sicurezza almeno quattro colpi, ma le indagini potrebbero allungare il curriculum criminale dello straniero. Il Ris di Parma, nel frattempo, sta esaminando i campioni prelevati da altri sei sospettati, per confrontarli con le tracce biologiche rilevate nei locali che hanno subito le spaccate.
Il tunisino, dal canto suo, si è dichiarato innocente ed estraneo ai furti che gli vengono contestati. Quanto alla merce trovata nella casa (in cui non aveva comunque diritto di stare), ha detto di averla comprata regolarmente, spesso nei mercatini dell'usato. Ma diversi oggetti rinvenuti nell'abitazione sarebbero già risultati rubati.
Adriano Scianca
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Riduci
Trovato a Como il corpo di un africano: era nel giardino di una struttura d'accoglienza con il cranio sfondato. E mentre si intensificano le aggressioni nei Cara, a Roma una donna viene stuprata nella tendopoli di Baobab.Il tunisino spacca vetrine di Padova era abusivo in una casa popolare. Contestati all'uomo 37 furti. Ha precedenti per droga ed era già stato espulso. Invano.Lo speciale comprende due articoli.L'ultimo in ordine di tempo è il cadavere di un uomo con la testa sfondata ritrovato nel parco di un centro di accoglienza di Como. Ma c'è anche la slovacca violentata a Roma, il pusher che nascondeva la droga sotto al letto, le operatrici sequestrate ad Agrigento, il direttore aggredito a Foggia e persino un neonato, partorito e poi buttato in un secchio come fosse immondizia, in una struttura di Salerno.Nei centri dedicati ai profughi i richiedenti asilo sono meno numerosi, quello che non cala, invece, è il livello di violenza che si registra in quei luoghi. Tra gli operatori del business sempre poco presenti e l'alta quantità degli ospiti, negli stabili che ospitano i richiedenti asilo, ne succedono un po' di tutti i colori. Due giorni fa, a pochi metri dai cancelli del centro di accoglienza dei padri salesiani del quartiere Tavernola, a Como è stato rinvenuto il cadavere di un giovane uomo, certamente immigrato, privo di documenti e in avanzato stato di putrefazione. Il suo corpo è stato gettato in una piccola scarpata dietro alla struttura, tra i rifiuti abbandonati, avvolto in una coperta insanguinata e con il cranio sfondato. Lo stato del cadavere ha subito reso evidente che non si è trattato di una morte accidentale, ma molto probabilmente di un omicidio.Sull'identità del giovane gli inquirenti stanno ancora indagando ma potrebbe trattarsi di uno dei tanti sedicenti profughi sbarcati nei mesi scorsi, inseriti nel circuito dell'accoglienza e che poi spariscono nel nulla. Il giovane potrebbe essere stato vittima dell'aggressione di uno degli ospiti o di qualcuno della zona, magari parte di qualche giro d'affari non esattamente lecito. Il centro di accoglienza di Tavernola si trova in un quartiere che affaccia sul lago, all'interno della struttura di proprietà dei salesiani gestita dall'Associazione il Focolare, che si occupa di profughi nel territorio. E lì, le risse violente non sono una novità: lo scorso febbraio, all'interno della struttura erano intervenute le forze dell'ordine per una lite degenerata, durante la quale un giovane di 23 anni era rimasto ferito.Anche ieri non sono mancati gli episodi inquietanti. A Roma un pusher senegalese di 24 anni, già noto per i suoi precedenti, è stato colto mentre cedeva dosi di stupefacenti e fermato con l'accusa di spaccio. I militari hanno anche perquisito il centro di accoglienza di Torre Gaia, dove lo spacciatore era ospite, e nella camera in cui era sistemato hanno trovato soldi, droga e bilancini di precisione per il confezionamento delle dosi.Sempre ieri, una trentottenne slovacca ha denunciato di essere stata sequestrata e violentata per un'intera notte in una tenda all'interno del centro Baobab Experience, situato in zona Tiburtina, a Roma. Il fatto che si tratti di un campo gestito da volontari e fondato in alternativa alle politiche di accoglienza di Stato sotto lo slogan «Refugees welcome», non lo ha reso immune da episodi di violenza: la donna, infatti, avrebbe riferito di essere stata sequestrata da un giovane arabo che l'ha portata nella sua tenda, l'ha violentata e l'ha colpita con un bastone quando lei ha tentato di fuggire.Sempre in tema di sequestri, ad Agrigento, appena quattro giorni fa, la polizia aveva arrestato tre diciottenni cittadini nigeriani e uno gambiano ospiti del Villaggio di Mosè dopo che questi avevano bloccato all'interno della struttura due operatrici per farsi consegnare il denaro del pocket money.E ancora, tre giorni fa nel foggiano un nigeriano di 26 anni, richiedente asilo, è stato arrestato dopo che, entrato nel Cara di Borgo Mezzanone, avrebbe minacciato violentemente il direttore, pretendendo che gli consegnasse del denaro.Ma c'è molto di peggio. Lo scorso 19 settembre, nel centro migranti Lontrano di Auletta, in provincia di Salerno, una giovane nigeriana dopo aver partorito un feto al settimo mese, lo ha nascosto in un secchio all'esterno della struttura, abbandonandolo tra i rifiuti. Solo le sue condizioni di salute, conseguenti al parto, hanno consentito la macabra scoperta.Alessia Pedrielli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dalle-violenze-sessuali-agli-omicidi-centri-per-immigrati-allo-sbando-2611942548.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-tunisino-spacca-vetrine-di-padova-era-abusivo-in-una-casa-popolare" data-post-id="2611942548" data-published-at="1765387579" data-use-pagination="False"> Il tunisino spacca vetrine di Padova era abusivo in una casa popolare Lo chiamavano «il re delle spaccate» e non perché avesse delle gambe particolarmente elastiche: si sospetta infatti che al suo attivo ci siano ben 37 colpi effettuati in altrettanti negozi, tutti furti realizzati allo stesso modo, ovvero spaccando la vetrina e rubando tutto quello che c'era da rubare. Ora, tuttavia, il caso del tunisino arrestato martedì a Padova si arricchisce di un ulteriore particolare che ha il sapore della beffa: l'uomo, infatti, si nascondeva in una casa popolare assegnata alla sorella, che però ora vive in Tunisia. Ma facciamo un passo indietro. Martedì, come detto, la polizia ha sottoposto a fermo Ammor Ben Lazhar Torch, pluripregiudicato tunisino di 40 anni, irregolare sul territorio nazionale. L'uomo si spostava in bicicletta (ovviamente rubata, ne aveva più di una) e agiva da solo, spaccando le vetrate delle attività commerciali e poi portando via il fondo cassa. Nel 2014, Torch era stato arrestato per un altro furto in un negozio di abbigliamenti, sempre a Padova (all'epoca aveva a suo carico anche svariate denunce per stupefacenti). Nel luglio 2017, il tunisino è stato scarcerato e nell'agosto 2017 è stato portato nel Centro di Torino per l'espulsione. Qui però, la prima beffa: in quell'occasione, infatti, non era stato possibile identificarlo, per questo motivo la Tunisia non lo aveva accettato. L'uomo era quindi tornato a piede libero. Ora si apprende la seconda, incredibile circostanza: il presunto criminale viveva infatti a spese dei cittadini di Padova, in una casa a cui non aveva diritto. L'appartamento, spiega Il Gazzettino, risulta assegnato alla sorella, 51 anni, che però, come ha ammesso l'arrestato, ora vive in Tunisia. Il quotidiano riporta anche le dichiarazioni in merito dell'assessore al Sociale Marta Nalin: «Noi facciamo le verifiche in base alle segnalazioni che riceviamo. In questo caso specifico, parliamo di una casa assegnata nel 2015 ad una donna che aveva tutti i requisiti per essere in graduatoria. Nessuno ci aveva chiesto di intervenire. Di questo uomo non sappiamo nulla, ma siamo felici che si sia risolto un problema che stava preoccupando tutti». Il riferimento dell'assessore è ai numerosi furti in centro realizzati a Padova negli ultimi mesi. Una catena di crimini che aveva allertato le forze dell'ordine, portandole a restringere il cerchio dei sospettati a pochi individui, uno dei quali era appunto Torch, tenuto sotto controllo da circa un mese. L'uomo usciva sempre alla sera tardi, prima faceva un giro nelle piazze di spaccio, da lui ben conosciute. Poi, dopo aver fatto incetta di crack, spaccava le vetrine dei negozi. Al momento vengono attribuiti all'uomo con relativa sicurezza almeno quattro colpi, ma le indagini potrebbero allungare il curriculum criminale dello straniero. Il Ris di Parma, nel frattempo, sta esaminando i campioni prelevati da altri sei sospettati, per confrontarli con le tracce biologiche rilevate nei locali che hanno subito le spaccate. Il tunisino, dal canto suo, si è dichiarato innocente ed estraneo ai furti che gli vengono contestati. Quanto alla merce trovata nella casa (in cui non aveva comunque diritto di stare), ha detto di averla comprata regolarmente, spesso nei mercatini dell'usato. Ma diversi oggetti rinvenuti nell'abitazione sarebbero già risultati rubati. Adriano Scianca
Getty Images
Attualmente gli Stati Uniti mantengono 84.000 militari in Europa, dislocati in circa cinquanta basi. I principali snodi si trovano in Germania, Italia e Regno Unito, mentre la Francia non ospita alcuna base americana permanente. Il quartier generale del comando statunitense in Europa è situato a Stoccarda, da dove viene coordinata una forza che, secondo un rapporto del Congresso, risulta «strettamente integrata nelle attività e negli obiettivi della Nato».
Sul piano strategico-nucleare, sei basi Nato, distribuite in cinque Paesi membri – Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia – custodiscono circa 100 ordigni nucleari statunitensi. Si tratta delle bombe tattiche B61, concepite esclusivamente per l’impiego da parte di bombardieri o caccia americani o alleati certificati. Dalla sua istituzione nel 1949, con il Trattato di Washington, la Nato è stata il perno della sicurezza americana in Europa, come ricorda il Center for Strategic and International Studies. L’articolo 5 garantisce che un attacco contro uno solo dei membri venga considerato un’aggressione contro tutti, estendendo di fatto l’ombrello militare statunitense all’intero continente.
Questo impianto, rimasto sostanzialmente invariato dalla fine della Seconda guerra mondiale, oggi appare messo in discussione. Il discorso del vicepresidente J.D. Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, i segnali di dialogo tra Donald Trump e Vladimir Putin sull’Ucraina e la diffusione di una dottrina strategica definita «aggressiva» da più capitali europee hanno alimentato il timore di un possibile ridimensionamento dell’impegno americano.
Sul fronte finanziario, Washington ha alzato ulteriormente l’asticella chiedendo agli alleati di destinare il 5% del Pil alla difesa. Un obiettivo giudicato irrealistico nel breve termine dalla maggior parte degli Stati membri. Nel 2014, solo tre Paesi – Stati Uniti, Regno Unito e Grecia – avevano raggiunto la soglia minima del 2%. Oggi 23 Paesi Nato superano quel livello, e 16 di essi lo hanno fatto soltanto dopo il 2022, sotto la spinta del conflitto ucraino. La guerra in Ucraina resta infatti il contesto determinante. La Russia controlla quasi il 20% del territorio ucraino. Già dopo l’annessione della Crimea nel 2014, la Nato aveva rafforzato il fianco orientale schierando quattro gruppi di battaglia nei Paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) e in Polonia. Dopo il 24 febbraio 2022, altri quattro battlegroup sono stati dispiegati in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia.
Queste forze contano complessivamente circa 10.000 soldati, tra cui 770 militari francesi – 550 in Romania e 220 in Estonia – e si aggiungono al vasto sistema di basi navali, aeree e terrestri già presenti sul continente. Nonostante questi numeri, la capacità reale dell’Europa rimane limitata. Come osserva Camille Grand, ex vicesegretario generale della Nato, molti eserciti europei, protetti per decenni dall’ombrello americano e frenati da bilanci contenuti, si sono trasformati in «eserciti bonsai»: strutture ridotte, con capacità parziali ma prive di profondità operativa. I dati confermano il quadro: 12 Paesi europei non dispongono di carri armati, mentre 14 Stati non possiedono aerei da combattimento. In molti casi, i mezzi disponibili non sono sufficientemente moderni o pronti all’impiego.
La dipendenza diventa totale nelle capacità strategiche. Intelligence, sorveglianza e ricognizione, così come droni, satelliti, aerei da rifornimento e da trasporto, restano largamente insufficienti senza il supporto statunitense. L’operazione francese in Mali nel 2013 richiese l’intervento di aerei americani per il rifornimento in volo, mentre durante la guerra in Libia nel 2011 le scorte di bombe a guida laser si esaurirono rapidamente. Secondo le stime del Bruegel Institute, riprese da Le Figaro, per garantire una sicurezza credibile senza l’appoggio degli Stati Uniti l’Europa dovrebbe investire almeno 250 miliardi di euro all’anno. Una cifra che fotografa con precisione il divario accumulato e pone una domanda politica inevitabile: il Vecchio Continente è disposto a sostenere un simile sforzo, o continuerà ad affidare la propria difesa a un alleato sempre meno disposto a farsene carico?
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Riduci
(Totaleu)
Lo ha detto il Ministro per gli Affari europei in un’intervista margine degli Ecr Study Days a Roma.
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Ed è quel che ha pensato il gran capo della Fifa, l’imbarazzante Infantino, dopo aver intestato a Trump un neonato riconoscimento Fifa. Solo che stavolta lo show diventa un caso diplomatico e rischia di diventare imbarazzante e difficile da gestire perché, come dicevamo, la partita celebrativa dell’orgoglio Lgbtq+ sarà Egitto contro Iran, due Paesi dove gay, lesbiche e trans finiscono in carcere o addirittura condannate a morte.
Ora, delle due l’una: o censuri chi non si adegua a certe regole oppure imporre le proprie regole diventa ingerenza negli affari altrui. E non si può. Com’è noto il match del 26 giugno a Seattle, una delle città in cui la cultura Lgbtq+ è più radicata, era stata scelto da tempo come pride match, visto che si giocherà di venerdì, alle porte del nel weekend dell’orgoglio gay. Diciamo che la sorte ha deciso di farsi beffa di Infantino e del politically correct. Infatti le due nazioni hanno immediatamente protestato: che c’entriamo noi con queste convenzioni occidentali? Del resto la protesta ha un senso: se nessuno boicotta gli Stati dove l’omosessualità è reato, perché poi dovrebbero partecipare ad un rito occidentale? Per loro la scelta è «inappropriata e politicamente connotata». Così Iran ed Egitto hanno presentato un’obiezione formale, tant’è che Mehdi Taj, presidente della Federcalcio iraniana, ha spiegato la posizione del governo iraniano e della sua federazione: «Sia noi che l’Egitto abbiamo protestato. È stata una decisione irragionevole che sembrava favorire un gruppo particolare. Affronteremo sicuramente la questione». Se le Federcalcio di Iran ed Egitto non hanno intenzione di cedere a una pressione internazionale che ingerisce negli affari interni, nemmeno la Fifa ha intenzione di fare marcia indietro. Secondo Eric Wahl, membro del Pride match advisory committee, «La partita Egitto-Iran a Seattle in giugno capita proprio come pride match, e credo che sia un bene, in realtà. Persone Lgbtq+ esistono ovunque. Qui a Seattle tutti sono liberi di essere se stessi». Certo, lì a Seattle sarà così ma il rischio che la Fifa non considera è quello di esporre gli atleti egiziani e soprattutto iraniani a ritorsioni interne. Andremo al Var? Meglio di no, perché altrimenti dovremmo rivedere certi errori macroscopici su altri diritti dei quali nessun pride si era occupato organizzando partite ad hoc. Per esempio sui diritti dei lavoratori; eppure non pochi operai nei cantieri degli stadi ci hanno lasciato le penne. Ma evidentemente la fretta di rispettare i tempi di consegna fa chiudere entrambi gli occhi. Oppure degli operai non importa nulla. E qui tutto il mondo è Paese.
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Riduci