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2018-10-13
Dalle violenze sessuali agli omicidi. Centri per immigrati allo sbando
ANSA
L'ultimo in ordine di tempo è il cadavere di un uomo con la testa sfondata ritrovato nel parco di un centro di accoglienza di Como. Ma c'è anche la slovacca violentata a Roma, il pusher che nascondeva la droga sotto al letto, le operatrici sequestrate ad Agrigento, il direttore aggredito a Foggia e persino un neonato, partorito e poi buttato in un secchio come fosse immondizia, in una struttura di Salerno.
Nei centri dedicati ai profughi i richiedenti asilo sono meno numerosi, quello che non cala, invece, è il livello di violenza che si registra in quei luoghi. Tra gli operatori del business sempre poco presenti e l'alta quantità degli ospiti, negli stabili che ospitano i richiedenti asilo, ne succedono un po' di tutti i colori. Due giorni fa, a pochi metri dai cancelli del centro di accoglienza dei padri salesiani del quartiere Tavernola, a Como è stato rinvenuto il cadavere di un giovane uomo, certamente immigrato, privo di documenti e in avanzato stato di putrefazione. Il suo corpo è stato gettato in una piccola scarpata dietro alla struttura, tra i rifiuti abbandonati, avvolto in una coperta insanguinata e con il cranio sfondato. Lo stato del cadavere ha subito reso evidente che non si è trattato di una morte accidentale, ma molto probabilmente di un omicidio.
Sull'identità del giovane gli inquirenti stanno ancora indagando ma potrebbe trattarsi di uno dei tanti sedicenti profughi sbarcati nei mesi scorsi, inseriti nel circuito dell'accoglienza e che poi spariscono nel nulla. Il giovane potrebbe essere stato vittima dell'aggressione di uno degli ospiti o di qualcuno della zona, magari parte di qualche giro d'affari non esattamente lecito. Il centro di accoglienza di Tavernola si trova in un quartiere che affaccia sul lago, all'interno della struttura di proprietà dei salesiani gestita dall'Associazione il Focolare, che si occupa di profughi nel territorio. E lì, le risse violente non sono una novità: lo scorso febbraio, all'interno della struttura erano intervenute le forze dell'ordine per una lite degenerata, durante la quale un giovane di 23 anni era rimasto ferito.
Anche ieri non sono mancati gli episodi inquietanti. A Roma un pusher senegalese di 24 anni, già noto per i suoi precedenti, è stato colto mentre cedeva dosi di stupefacenti e fermato con l'accusa di spaccio.
I militari hanno anche perquisito il centro di accoglienza di Torre Gaia, dove lo spacciatore era ospite, e nella camera in cui era sistemato hanno trovato soldi, droga e bilancini di precisione per il confezionamento delle dosi.
Sempre ieri, una trentottenne slovacca ha denunciato di essere stata sequestrata e violentata per un'intera notte in una tenda all'interno del centro Baobab Experience, situato in zona Tiburtina, a Roma. Il fatto che si tratti di un campo gestito da volontari e fondato in alternativa alle politiche di accoglienza di Stato sotto lo slogan «Refugees welcome», non lo ha reso immune da episodi di violenza: la donna, infatti, avrebbe riferito di essere stata sequestrata da un giovane arabo che l'ha portata nella sua tenda, l'ha violentata e l'ha colpita con un bastone quando lei ha tentato di fuggire.
Sempre in tema di sequestri, ad Agrigento, appena quattro giorni fa, la polizia aveva arrestato tre diciottenni cittadini nigeriani e uno gambiano ospiti del Villaggio di Mosè dopo che questi avevano bloccato all'interno della struttura due operatrici per farsi consegnare il denaro del pocket money.
E ancora, tre giorni fa nel foggiano un nigeriano di 26 anni, richiedente asilo, è stato arrestato dopo che, entrato nel Cara di Borgo Mezzanone, avrebbe minacciato violentemente il direttore, pretendendo che gli consegnasse del denaro.
Ma c'è molto di peggio. Lo scorso 19 settembre, nel centro migranti Lontrano di Auletta, in provincia di Salerno, una giovane nigeriana dopo aver partorito un feto al settimo mese, lo ha nascosto in un secchio all'esterno della struttura, abbandonandolo tra i rifiuti. Solo le sue condizioni di salute, conseguenti al parto, hanno consentito la macabra scoperta.
Alessia Pedrielli
Il tunisino spacca vetrine di Padova era abusivo in una casa popolare
Lo chiamavano «il re delle spaccate» e non perché avesse delle gambe particolarmente elastiche: si sospetta infatti che al suo attivo ci siano ben 37 colpi effettuati in altrettanti negozi, tutti furti realizzati allo stesso modo, ovvero spaccando la vetrina e rubando tutto quello che c'era da rubare. Ora, tuttavia, il caso del tunisino arrestato martedì a Padova si arricchisce di un ulteriore particolare che ha il sapore della beffa: l'uomo, infatti, si nascondeva in una casa popolare assegnata alla sorella, che però ora vive in Tunisia.
Ma facciamo un passo indietro. Martedì, come detto, la polizia ha sottoposto a fermo Ammor Ben Lazhar Torch, pluripregiudicato tunisino di 40 anni, irregolare sul territorio nazionale. L'uomo si spostava in bicicletta (ovviamente rubata, ne aveva più di una) e agiva da solo, spaccando le vetrate delle attività commerciali e poi portando via il fondo cassa. Nel 2014, Torch era stato arrestato per un altro furto in un negozio di abbigliamenti, sempre a Padova (all'epoca aveva a suo carico anche svariate denunce per stupefacenti). Nel luglio 2017, il tunisino è stato scarcerato e nell'agosto 2017 è stato portato nel Centro di Torino per l'espulsione. Qui però, la prima beffa: in quell'occasione, infatti, non era stato possibile identificarlo, per questo motivo la Tunisia non lo aveva accettato. L'uomo era quindi tornato a piede libero.
Ora si apprende la seconda, incredibile circostanza: il presunto criminale viveva infatti a spese dei cittadini di Padova, in una casa a cui non aveva diritto. L'appartamento, spiega Il Gazzettino, risulta assegnato alla sorella, 51 anni, che però, come ha ammesso l'arrestato, ora vive in Tunisia. Il quotidiano riporta anche le dichiarazioni in merito dell'assessore al Sociale Marta Nalin: «Noi facciamo le verifiche in base alle segnalazioni che riceviamo. In questo caso specifico, parliamo di una casa assegnata nel 2015 ad una donna che aveva tutti i requisiti per essere in graduatoria. Nessuno ci aveva chiesto di intervenire. Di questo uomo non sappiamo nulla, ma siamo felici che si sia risolto un problema che stava preoccupando tutti».
Il riferimento dell'assessore è ai numerosi furti in centro realizzati a Padova negli ultimi mesi. Una catena di crimini che aveva allertato le forze dell'ordine, portandole a restringere il cerchio dei sospettati a pochi individui, uno dei quali era appunto Torch, tenuto sotto controllo da circa un mese.
L'uomo usciva sempre alla sera tardi, prima faceva un giro nelle piazze di spaccio, da lui ben conosciute. Poi, dopo aver fatto incetta di crack, spaccava le vetrine dei negozi. Al momento vengono attribuiti all'uomo con relativa sicurezza almeno quattro colpi, ma le indagini potrebbero allungare il curriculum criminale dello straniero. Il Ris di Parma, nel frattempo, sta esaminando i campioni prelevati da altri sei sospettati, per confrontarli con le tracce biologiche rilevate nei locali che hanno subito le spaccate.
Il tunisino, dal canto suo, si è dichiarato innocente ed estraneo ai furti che gli vengono contestati. Quanto alla merce trovata nella casa (in cui non aveva comunque diritto di stare), ha detto di averla comprata regolarmente, spesso nei mercatini dell'usato. Ma diversi oggetti rinvenuti nell'abitazione sarebbero già risultati rubati.
Adriano Scianca
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Trovato a Como il corpo di un africano: era nel giardino di una struttura d'accoglienza con il cranio sfondato. E mentre si intensificano le aggressioni nei Cara, a Roma una donna viene stuprata nella tendopoli di Baobab.Il tunisino spacca vetrine di Padova era abusivo in una casa popolare. Contestati all'uomo 37 furti. Ha precedenti per droga ed era già stato espulso. Invano.Lo speciale comprende due articoli.L'ultimo in ordine di tempo è il cadavere di un uomo con la testa sfondata ritrovato nel parco di un centro di accoglienza di Como. Ma c'è anche la slovacca violentata a Roma, il pusher che nascondeva la droga sotto al letto, le operatrici sequestrate ad Agrigento, il direttore aggredito a Foggia e persino un neonato, partorito e poi buttato in un secchio come fosse immondizia, in una struttura di Salerno.Nei centri dedicati ai profughi i richiedenti asilo sono meno numerosi, quello che non cala, invece, è il livello di violenza che si registra in quei luoghi. Tra gli operatori del business sempre poco presenti e l'alta quantità degli ospiti, negli stabili che ospitano i richiedenti asilo, ne succedono un po' di tutti i colori. Due giorni fa, a pochi metri dai cancelli del centro di accoglienza dei padri salesiani del quartiere Tavernola, a Como è stato rinvenuto il cadavere di un giovane uomo, certamente immigrato, privo di documenti e in avanzato stato di putrefazione. Il suo corpo è stato gettato in una piccola scarpata dietro alla struttura, tra i rifiuti abbandonati, avvolto in una coperta insanguinata e con il cranio sfondato. Lo stato del cadavere ha subito reso evidente che non si è trattato di una morte accidentale, ma molto probabilmente di un omicidio.Sull'identità del giovane gli inquirenti stanno ancora indagando ma potrebbe trattarsi di uno dei tanti sedicenti profughi sbarcati nei mesi scorsi, inseriti nel circuito dell'accoglienza e che poi spariscono nel nulla. Il giovane potrebbe essere stato vittima dell'aggressione di uno degli ospiti o di qualcuno della zona, magari parte di qualche giro d'affari non esattamente lecito. Il centro di accoglienza di Tavernola si trova in un quartiere che affaccia sul lago, all'interno della struttura di proprietà dei salesiani gestita dall'Associazione il Focolare, che si occupa di profughi nel territorio. E lì, le risse violente non sono una novità: lo scorso febbraio, all'interno della struttura erano intervenute le forze dell'ordine per una lite degenerata, durante la quale un giovane di 23 anni era rimasto ferito.Anche ieri non sono mancati gli episodi inquietanti. A Roma un pusher senegalese di 24 anni, già noto per i suoi precedenti, è stato colto mentre cedeva dosi di stupefacenti e fermato con l'accusa di spaccio. I militari hanno anche perquisito il centro di accoglienza di Torre Gaia, dove lo spacciatore era ospite, e nella camera in cui era sistemato hanno trovato soldi, droga e bilancini di precisione per il confezionamento delle dosi.Sempre ieri, una trentottenne slovacca ha denunciato di essere stata sequestrata e violentata per un'intera notte in una tenda all'interno del centro Baobab Experience, situato in zona Tiburtina, a Roma. Il fatto che si tratti di un campo gestito da volontari e fondato in alternativa alle politiche di accoglienza di Stato sotto lo slogan «Refugees welcome», non lo ha reso immune da episodi di violenza: la donna, infatti, avrebbe riferito di essere stata sequestrata da un giovane arabo che l'ha portata nella sua tenda, l'ha violentata e l'ha colpita con un bastone quando lei ha tentato di fuggire.Sempre in tema di sequestri, ad Agrigento, appena quattro giorni fa, la polizia aveva arrestato tre diciottenni cittadini nigeriani e uno gambiano ospiti del Villaggio di Mosè dopo che questi avevano bloccato all'interno della struttura due operatrici per farsi consegnare il denaro del pocket money.E ancora, tre giorni fa nel foggiano un nigeriano di 26 anni, richiedente asilo, è stato arrestato dopo che, entrato nel Cara di Borgo Mezzanone, avrebbe minacciato violentemente il direttore, pretendendo che gli consegnasse del denaro.Ma c'è molto di peggio. Lo scorso 19 settembre, nel centro migranti Lontrano di Auletta, in provincia di Salerno, una giovane nigeriana dopo aver partorito un feto al settimo mese, lo ha nascosto in un secchio all'esterno della struttura, abbandonandolo tra i rifiuti. Solo le sue condizioni di salute, conseguenti al parto, hanno consentito la macabra scoperta.Alessia Pedrielli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dalle-violenze-sessuali-agli-omicidi-centri-per-immigrati-allo-sbando-2611942548.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-tunisino-spacca-vetrine-di-padova-era-abusivo-in-una-casa-popolare" data-post-id="2611942548" data-published-at="1765317364" data-use-pagination="False"> Il tunisino spacca vetrine di Padova era abusivo in una casa popolare Lo chiamavano «il re delle spaccate» e non perché avesse delle gambe particolarmente elastiche: si sospetta infatti che al suo attivo ci siano ben 37 colpi effettuati in altrettanti negozi, tutti furti realizzati allo stesso modo, ovvero spaccando la vetrina e rubando tutto quello che c'era da rubare. Ora, tuttavia, il caso del tunisino arrestato martedì a Padova si arricchisce di un ulteriore particolare che ha il sapore della beffa: l'uomo, infatti, si nascondeva in una casa popolare assegnata alla sorella, che però ora vive in Tunisia. Ma facciamo un passo indietro. Martedì, come detto, la polizia ha sottoposto a fermo Ammor Ben Lazhar Torch, pluripregiudicato tunisino di 40 anni, irregolare sul territorio nazionale. L'uomo si spostava in bicicletta (ovviamente rubata, ne aveva più di una) e agiva da solo, spaccando le vetrate delle attività commerciali e poi portando via il fondo cassa. Nel 2014, Torch era stato arrestato per un altro furto in un negozio di abbigliamenti, sempre a Padova (all'epoca aveva a suo carico anche svariate denunce per stupefacenti). Nel luglio 2017, il tunisino è stato scarcerato e nell'agosto 2017 è stato portato nel Centro di Torino per l'espulsione. Qui però, la prima beffa: in quell'occasione, infatti, non era stato possibile identificarlo, per questo motivo la Tunisia non lo aveva accettato. L'uomo era quindi tornato a piede libero. Ora si apprende la seconda, incredibile circostanza: il presunto criminale viveva infatti a spese dei cittadini di Padova, in una casa a cui non aveva diritto. L'appartamento, spiega Il Gazzettino, risulta assegnato alla sorella, 51 anni, che però, come ha ammesso l'arrestato, ora vive in Tunisia. Il quotidiano riporta anche le dichiarazioni in merito dell'assessore al Sociale Marta Nalin: «Noi facciamo le verifiche in base alle segnalazioni che riceviamo. In questo caso specifico, parliamo di una casa assegnata nel 2015 ad una donna che aveva tutti i requisiti per essere in graduatoria. Nessuno ci aveva chiesto di intervenire. Di questo uomo non sappiamo nulla, ma siamo felici che si sia risolto un problema che stava preoccupando tutti». Il riferimento dell'assessore è ai numerosi furti in centro realizzati a Padova negli ultimi mesi. Una catena di crimini che aveva allertato le forze dell'ordine, portandole a restringere il cerchio dei sospettati a pochi individui, uno dei quali era appunto Torch, tenuto sotto controllo da circa un mese. L'uomo usciva sempre alla sera tardi, prima faceva un giro nelle piazze di spaccio, da lui ben conosciute. Poi, dopo aver fatto incetta di crack, spaccava le vetrine dei negozi. Al momento vengono attribuiti all'uomo con relativa sicurezza almeno quattro colpi, ma le indagini potrebbero allungare il curriculum criminale dello straniero. Il Ris di Parma, nel frattempo, sta esaminando i campioni prelevati da altri sei sospettati, per confrontarli con le tracce biologiche rilevate nei locali che hanno subito le spaccate. Il tunisino, dal canto suo, si è dichiarato innocente ed estraneo ai furti che gli vengono contestati. Quanto alla merce trovata nella casa (in cui non aveva comunque diritto di stare), ha detto di averla comprata regolarmente, spesso nei mercatini dell'usato. Ma diversi oggetti rinvenuti nell'abitazione sarebbero già risultati rubati. Adriano Scianca
Ansa
Eppure, fino a pochi giorni fa, per la banca più antica del mondo l’aria era diventata irrespirabile. Le indagini della Procura di Milano avevano spinto il titolo giù dal cavallo, facendogli perdere miliardi di capitalizzazione. Le prime pagine dei giornali finanziari tremavano all’unisono: «aggiotaggio», «ostacolo alla vigilanza», «patto occulto». Parole che in Borsa funzionano come il fumo negli alveari: tutti scappano, nessuno chiede perché. Poi, lunedì, il colpo di scena. Spunta la parola magica che fa battere il cuore agli investitori: Consob. L’Autorità di vigilanza, finora poco loquace, aveva già detto a settembre che di «concerto» nella scalata a Mediobanca non ne vedeva traccia. E a Piazza Affari questo basta. Non è certezza, è una sfumatura, un mezzo sorriso, un sopracciglio alzato: ma per i mercati è come una benedizione papale. La Procura, però, non sembra aver preso bene la posizione dell’Autorità. Così ha inviato nuove carte, intercettazioni comprese, convinta che tra Luigi Lovaglio, Francesco Gaetano Caltagirone e Francesco Milleri ci fosse più di una semplice comunione d’intenti. Per i magistrati milanesi il trio avrebbe pianificato la conquista di Mps e poi la scalata a Mediobanca con la meticolosità di un architetto che disegna una cattedrale gotica.
Il punto è che dimostrarlo non è affatto semplice. Lo ha ricordato più volte lo stesso Paolo Savona, presidente della Consob, che sulla materia ha mostrato la cautela di un chirurgo: «Il concerto occulto è complesso da provare». Tradotto: puoi avere intercettazioni, sospetti, ricostruzioni, ma per far quadrare la tesi serve molto di più. E forse è questo che ha fatto scattare l’effetto molla sul titolo Mps: l’idea che la montagna giudiziaria rischi di partorire un topolino burocratico. Da qui in avanti il racconto assume i contorni della tragicommedia finanziaria. Milano manda documenti a Roma; Roma annuncia di valutarli. Gli investitori, che hanno il fiuto dei cani da caccia, interpretano la mossa come: «Sì, le carte le leggiamo, ma intanto non cambia nulla rispetto a settembre». E la banca di Siena - che ha passato negli ultimi dieci anni disastri che avrebbero fatto chiudere qualunque altro istituto occidentale - stavolta fiuta l’aria buona. Intanto gli analisti, quelli che il mercato lo guardano dall’alto del loro grafico preferito, si mostrano quasi papali: buy confermato, target price a 11 euro, fiducia intatta. Per loro la tempesta giudiziaria è un rumore di fondo. Una di quelle pioggerelline che fanno frusciare le foglie ma non cambiano le previsioni della vendemmia. Il paradosso è che anche Mediobanca, la presunta vittima designata del «concerto» inesistente, brinda. Alle 17 è a 16,48 euro, in rialzo dell’1,35%. Sembra quasi che il mercato si sia rassegnato a un’idea semplice: questa storia finirà in un grande nulla di fatto, come tante vicende finanziarie italiane in cui i protagonisti si guardano negli occhi e dicono: «Abbiamo scherzato». È un Paese curioso, l’Italia. Le accuse volano come coriandoli, i titoli crollano, la politica si indigna, i pm lavorano a pieno ritmo. Poi basta una riga in una relazione Consob - nemmeno una conclusione, solo un orientamento - e tutto si ribalta.
Il caso Mps dimostra ancora una volta che nel nostro mercato finanziario non c’è nulla di più potente della percezione. Non la verità processuale, non gli atti, non i faldoni. La percezione. Se la Consob solleva un sopracciglio, Mps vola. Se la magistratura invia nuove carte, il titolo magari trema per qualche ora, ma poi risale. È il teatro della finanza italiana: un luogo dove le istituzioni recitano, il pubblico interpreta e il mercato decide chi applaudirà. Intanto, a Siena, si festeggia. Non apertamente, perché la prudenza è d’obbligo. Ma nei corridoi, tra una planata di grafici e una riunione lampo, dev’essere tornato a circolare un pensiero che la banca aveva sepolto da tempo: forse stavolta siamo davvero usciti dal tunnel. Non è detto, perché le carte giudiziarie hanno vita propria e la Procura non ama essere smentita. Ma di certo lunedì è successo qualcosa. La banca più antica del mondo ha mostrato di avere ancora schiena, gambe e fiato. E soprattutto una cosa che da anni le mancava: fiducia. Il resto lo farà il tempo. E, naturalmente, la Consob. Che con un cenno, anche involontario, riesce ancora a muovere montagne. O almeno a far correre Mps come non succedeva da un pezzo.
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Il 43,8 % degli italiani ha detto di non ritenerla utile. «È una riflessione importante», osservava Ghisleri nel programma Realpolitik di Tommaso Labate su Rete 4, «perché vorrebbe dire che la legge sul consenso verrebbe utilizzata come deterrente, ma non sarebbe utile perché manca l’educazione». Ricordiamo che la legge, che introduce nel Codice penale il concetto di «consenso libero e attuale», è stata approvata all’unanimità alla Camera e presentata come un accordo bipartisan tra il premier Giorgia Meloni e il segretario del Pd, Elly Schlein. In commissione Giustizia, la coalizione di governo ha chiesto un nuovo passaggio, scatenando la reazione dell’opposizione che ha parlato di un «voltafaccia», di patto politico tradito. Ancor più singolare è che, nel sondaggio, sia stato il 37,6% delle donne a non ritenere la norma sullo stupro utile a scoraggiare o impedire la violenza sessuale, rispetto a un 38,8% convinto che serva. Perciò, se il 51,6% degli italiani interpellati crede che sia necessaria una legge che inasprisca il reato, ridefinendone le modalità (il ddl torna questa settimana in commissione a Palazzo Madama), la maggior parte di questo campione non lo considera un deterrente effettivo.
Inevitabile chiedersi il senso, allora, di una legge che complica all’inverosimile l’onere della prova di un consenso non «libero e attuale» (e il non poterlo provare può diventare equivalente all’aver commesso il reato), mentre poco inciderebbe nella protezione delle donne. Non la crede utile non solo l’elettorato di centrodestra (47,9% delle risposte, rispetto al 38,2% di «sì»), ma anche una bella fetta di coloro che votano a sinistra (34,3% i «no», 43,3 % i «sì»). E se può non sorprendere che il 53,6% degli elettori di Fratelli d’Italia abbia detto di con credere alla legge come prevenzione di episodi di violenza, è significativo che la pensi allo stesso modo il 38,5% di quanti votano Pd e che appena il 36,5% dei dem la consideri, invece, utile.
Quindi nei due partiti rappresentati da Giorgia Meloni e da Elly Schlein sono più forti le perplessità, circa l’approvazione del ddl come misura deterrente. Quanto all’impatto del reato di violenza sessuale riformato sulla base di un accordo Meloni-Schlein, restano sempre forti le riserve degli italiani. Non tanto perché non serva una legge dura (oltre il 53% sia a sinistra sia a destra si dice a favore), ma in quanto non risulta ben formulata. Non definisce che cosa costituisce consenso, anche nelle forme non verbali e nemmeno chiarisce quali elementi probatori possono dimostrarlo o escluderlo. «Si pensa che questi requisiti di libertà e attualità siano puntualizzati a tutela della donna e a vincolo e controllo per l’uomo: anche qui siamo di fronte a un ribaltamento concettuale e fisico della prova, spesso sono le donne che prendono l’iniziativa e non si può “pregiudizialmente” pensare al maschio come attaccante-persecutore, attizzatore di incendi passionali che si trasformano in atti di coercizione nel “fare” e nell’insistere», osservava due giorni fa su Startmag Francesco Provinciali, già giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Milano.
Fanno pensare, inoltre, gli esiti di un altro sondaggio che è stato riportato sempre da Ghisleri. «Abbiamo chiesto quali sono le paure più grandi (degli italiani, ndr), al primo posto ci sono le aggressioni e le minacce (22,7%), seguite da rapine in casa (20,5%), furti e rapine (19,4%), truffe e frodi (16,6%)». La violenza sessuale risultava solo al quinto posto (9,4%) come preoccupazione. Eppure, dai primi dati emersi dall’indagine 2025 sulla violenza contro le donne condotta dal dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio e l’Istat denominata «Sicurezza delle donne», risultano aumentate «dal 30,1% al 36,3% le vittime che considerano un reato la violenza subita dal partner e raddoppia la percentuale delle richieste di aiuto ai Centri antiviolenza e gli altri servizi specializzati (dal 4,4 del 2014 all’8,7% del 2025)».
Evidentemente, la certezza della pena non è un deterrente. Rispetto al passato, c’è una diversa sensibilità verso la violenza sessuale e i diversi contenuti giuridici che il reato ha assunto nel tempo, però occorrono strategie volte all’educazione, alla sensibilizzazione, al riconoscimento della violenza, formando operatori (dalla scuola alla magistratura, passando per i servizi sociali). Serve rendere operativo ovunque il percorso di tutela per le donne che hanno subito violenza e perseguire chi l’ha provocata. Discutere di pertinenza e liceità all’interno della coppia, criminalizzando a priori, non argina la violenza sessuale.
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Quella al ladro, invece, è finita «grazie» all’intervento di quanti hanno braccato un albanese di 40 anni finito poi in ospedale con 30 giorni di prognosi. Il messaggio della questura è chiaro, «nessuna giustizia fai da te». Ma la corsa a identificare i residenti che hanno inseguito il ladro, alcuni forse armati di piccone tanto da provocargli una frattura al bacino, per la comunità è difficile da digerire. «In casa con me vivono mia moglie e i miei due bambini piccoli. Per fortuna, in quel momento non eravamo presenti. L’allarme è scattato ma le forze dell’ordine sono arrivate una decina di minuti dopo: il tempo sufficiente perché i ladri scappassero», scrive in una lettera al sito Aostasera.it un cittadino che vive in una delle case finite nel mirino dei ladri. «Non vuole essere un rimprovero ai carabinieri che sono intervenuti, ma il dato di fatto di un territorio in cui i tempi di reazione non sono adeguati alla pressione dei furti che subiamo da mesi». Addirittura cinque o sei i raid di furti verificatisi a partire dall’estate. Troppi per il paesino che ormai vive nell’angoscia.
Lo scorso venerdì erano passate da poco le 19 quando un massaggio da parte di un cittadino ha fatto scattare l’allarme: «Sono tornati i ladri». E di lì il tam tam da un telefonino all’altro: «Fate attenzione, chiudete le porte». Il rumore provocato dai ladri nel tentativo di aprire una cassaforte richiama l’attenzione dei cittadini che chiamano i carabinieri. In poco tempo, però, scatta il caos perché in molti si riversano in strada. Partono le urla, le segnalazioni, alcuni residenti sono armati di bastoni. Qualcuno parla di picconi ma i cittadini, oggi, negano. Uno dei malviventi scappa verso il bosco mentre l’altro viene individuato grazie all’utilizzo di una termocamera e fermato. Ha con sé la refurtiva, 5.000 euro, gli abitanti gli si scagliano contro e solo l’intervento dei carabinieri mette fine al linciaggio oggi duramente stigmatizzato dal questore Gian Maria Sertorio: «La deriva giustizialista è pericolosissima, le ronde non devono essere fatte in alcun modo, bisogna chiamare il 112 e aspettare le forze dell’ordine». Dello stesso avviso il comandante dei carabinieri della Valle d’Aosta, Livio Propato, che ribadisce un secco «no alle ronde e alla giustizia fai da te. Non bisogna lasciarsi prendere dalla violenza gratuita perché è un reato. E si passa dalla parte del torto. I controlli ci sono, i furti ci sono, ma noi tutti stiamo facendo ogni sforzo per uscire tutte le sere con più pattuglie e quella sera siamo subito intervenuti».
Già, peccato che, a quanto pare, tutto questo non basti. Negli ultimi mesi il Comune si era attrezzato di una cinquantina di telecamere per contrastare le incursioni dei ladri ma senza successo. «A livello psicologico è un periodo complicato», stempera il sindaco Alexandre Bertolin, «le forze dell’ordine fanno del loro meglio ma non si riesce a monitorare tutto. Abbiamo le telecamere ma al massimo riusciamo a vedere dopo il fatto come si sono mossi i ladri». E anche qualora si dovesse arrivare prima e si riuscisse a fermare il ladro, commentano i cittadini, tutto poi finisce in un nulla di fatto.
«Leggendo le cronache», si legge sempre nella lettera a Aostasera.it, «si apprende che il ladro fermato sarebbe incensurato. Temo che questo significhi pochi giorni di detenzione e una rapida scarcerazione. Tradotto: io resto l’unica vittima, con la casa a soqquadro, i ricordi rubati e la paura addosso; lui invece rischia di cavarsela con poco senza dover dire chi lo aiutava e dove sono finiti i nostri beni».
Un clima di esasperazione destinato ad aumentare ora che si scopre che nemmeno difendersi sarebbe legittimo. Intanto, per il ladro, accusato di furto e in carcere fino al processo che si terrà il 19 dicembre, la linea difensiva è già pronta . Quella di un cuoco con figli piccoli da mantenere e tanto bisogno di soldi. «Mi hanno mandato altri albanesi», dice. In attesa di vedere quale corso farà la giustizia, i cittadini ribadiscono che l’attesa inerme non funziona. «Quando la legge non riesce a proteggere chi subisce i reati, le persone, piaccia o no si organizzano da sole. Se vogliamo evitare che episodi come questo si ripetano non dovremmo essere stigmatizzati. Occorre dare alla comunità strumenti per sentirsi protette. Prima che la rabbia prenda il sopravvento». Non proprio la direzione in cui sembra andare ora l’Arma.
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«Little Disasters: L'errore di una madre» (Paramount+)
Sarah Vaughan è quella di Anatomia di uno scandalo, diventato poi miniserie Netflix. Ed è la stessa che pare averci preso gusto, con la narrazione televisiva. Giovedì 11 dicembre, tocca ad un altro romanzo della scrittrice debuttare come serie tv, non su Netflix, ma su Paramount+.
Little Disasters: L'errore di una madre non è un thriller e non ha granché delle vicissitudini, amorose e politiche, che hanno decretato il successo di Anatomia di uno scandalo. Il romanzo è riflessivo. Non pretende di spiegare, di inventare una storia che possa tenere chi legga con il fiato sospeso o indurlo a parteggiare per questa o quella parte, a indignarsi e commuoversi insieme ai suoi protagonisti. Little Disasters è la storia di un mestiere mai riconosciuto come tale, quello di madre. Non c'è retorica, però. Sarah Vaughan non sembra ambire a veder riconosciuto uno dei tanti sondaggi che alle madri del mondo assegnano uno stipendio, quantificando le ore spese nell'accudimento dei figli e della casa. Pare, piuttosto, intenzionata a sondare le profondità di un abisso che, spesso, rimane nascosto dietro sorrisi di facciata, dietro un contegno autoimposto, dietro una perfezione solo apparente.
Little Disastersè, dunque, la storia di Liz e di Jess, due amiche che sulla propria e personale concezione di maternità imbastiscono - loro malgrado - un conflitto insanabile. Jess, pediatra all'interno di un ospedale, è di turno al pronto soccorso, quando Liz si presenta con la sua bambina fra le braccia. Sembra non stare bene, per ragioni imperscrutabili ad occhio profano. Ma i primi esami rivelano altro: un'altra verità. La piccola ha una ferita alla testa, qualcosa che una madre non può non aver visto. Qualcosa che, forse, una madre può addirittura aver provocato. Così, sui referti di quella piccinina si apre la guerra, fatta di domande silenziose, di diffidenza, di dubbi. Jess comincia a pensare che, all'interno della famiglia di Liz, così bella a guardarla da fuori, possa nascondersi un mostro. Ipotizza che l'amica possa soffrire di depressione post partum, che la relazione tra lei e il marito possa essere violenta. Liz, da parte sua, non parla. Non dice. Non spiega come sia possibile non abbia visto quel bozzo sul crapino della bambina. E Little Disasters va avanti, con un finale piuttosto prevedibile, ma con la capacità altresì di raccontare la complessità della maternità, le difficoltà, i giudizi, la deprivazione del sonno, il peso di una solitudine che, a tratti, si rivela essere assordante.
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