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2018-10-13
Dalle violenze sessuali agli omicidi. Centri per immigrati allo sbando
ANSA
L'ultimo in ordine di tempo è il cadavere di un uomo con la testa sfondata ritrovato nel parco di un centro di accoglienza di Como. Ma c'è anche la slovacca violentata a Roma, il pusher che nascondeva la droga sotto al letto, le operatrici sequestrate ad Agrigento, il direttore aggredito a Foggia e persino un neonato, partorito e poi buttato in un secchio come fosse immondizia, in una struttura di Salerno.
Nei centri dedicati ai profughi i richiedenti asilo sono meno numerosi, quello che non cala, invece, è il livello di violenza che si registra in quei luoghi. Tra gli operatori del business sempre poco presenti e l'alta quantità degli ospiti, negli stabili che ospitano i richiedenti asilo, ne succedono un po' di tutti i colori. Due giorni fa, a pochi metri dai cancelli del centro di accoglienza dei padri salesiani del quartiere Tavernola, a Como è stato rinvenuto il cadavere di un giovane uomo, certamente immigrato, privo di documenti e in avanzato stato di putrefazione. Il suo corpo è stato gettato in una piccola scarpata dietro alla struttura, tra i rifiuti abbandonati, avvolto in una coperta insanguinata e con il cranio sfondato. Lo stato del cadavere ha subito reso evidente che non si è trattato di una morte accidentale, ma molto probabilmente di un omicidio.
Sull'identità del giovane gli inquirenti stanno ancora indagando ma potrebbe trattarsi di uno dei tanti sedicenti profughi sbarcati nei mesi scorsi, inseriti nel circuito dell'accoglienza e che poi spariscono nel nulla. Il giovane potrebbe essere stato vittima dell'aggressione di uno degli ospiti o di qualcuno della zona, magari parte di qualche giro d'affari non esattamente lecito. Il centro di accoglienza di Tavernola si trova in un quartiere che affaccia sul lago, all'interno della struttura di proprietà dei salesiani gestita dall'Associazione il Focolare, che si occupa di profughi nel territorio. E lì, le risse violente non sono una novità: lo scorso febbraio, all'interno della struttura erano intervenute le forze dell'ordine per una lite degenerata, durante la quale un giovane di 23 anni era rimasto ferito.
Anche ieri non sono mancati gli episodi inquietanti. A Roma un pusher senegalese di 24 anni, già noto per i suoi precedenti, è stato colto mentre cedeva dosi di stupefacenti e fermato con l'accusa di spaccio.
I militari hanno anche perquisito il centro di accoglienza di Torre Gaia, dove lo spacciatore era ospite, e nella camera in cui era sistemato hanno trovato soldi, droga e bilancini di precisione per il confezionamento delle dosi.
Sempre ieri, una trentottenne slovacca ha denunciato di essere stata sequestrata e violentata per un'intera notte in una tenda all'interno del centro Baobab Experience, situato in zona Tiburtina, a Roma. Il fatto che si tratti di un campo gestito da volontari e fondato in alternativa alle politiche di accoglienza di Stato sotto lo slogan «Refugees welcome», non lo ha reso immune da episodi di violenza: la donna, infatti, avrebbe riferito di essere stata sequestrata da un giovane arabo che l'ha portata nella sua tenda, l'ha violentata e l'ha colpita con un bastone quando lei ha tentato di fuggire.
Sempre in tema di sequestri, ad Agrigento, appena quattro giorni fa, la polizia aveva arrestato tre diciottenni cittadini nigeriani e uno gambiano ospiti del Villaggio di Mosè dopo che questi avevano bloccato all'interno della struttura due operatrici per farsi consegnare il denaro del pocket money.
E ancora, tre giorni fa nel foggiano un nigeriano di 26 anni, richiedente asilo, è stato arrestato dopo che, entrato nel Cara di Borgo Mezzanone, avrebbe minacciato violentemente il direttore, pretendendo che gli consegnasse del denaro.
Ma c'è molto di peggio. Lo scorso 19 settembre, nel centro migranti Lontrano di Auletta, in provincia di Salerno, una giovane nigeriana dopo aver partorito un feto al settimo mese, lo ha nascosto in un secchio all'esterno della struttura, abbandonandolo tra i rifiuti. Solo le sue condizioni di salute, conseguenti al parto, hanno consentito la macabra scoperta.
Alessia Pedrielli
Il tunisino spacca vetrine di Padova era abusivo in una casa popolare
Lo chiamavano «il re delle spaccate» e non perché avesse delle gambe particolarmente elastiche: si sospetta infatti che al suo attivo ci siano ben 37 colpi effettuati in altrettanti negozi, tutti furti realizzati allo stesso modo, ovvero spaccando la vetrina e rubando tutto quello che c'era da rubare. Ora, tuttavia, il caso del tunisino arrestato martedì a Padova si arricchisce di un ulteriore particolare che ha il sapore della beffa: l'uomo, infatti, si nascondeva in una casa popolare assegnata alla sorella, che però ora vive in Tunisia.
Ma facciamo un passo indietro. Martedì, come detto, la polizia ha sottoposto a fermo Ammor Ben Lazhar Torch, pluripregiudicato tunisino di 40 anni, irregolare sul territorio nazionale. L'uomo si spostava in bicicletta (ovviamente rubata, ne aveva più di una) e agiva da solo, spaccando le vetrate delle attività commerciali e poi portando via il fondo cassa. Nel 2014, Torch era stato arrestato per un altro furto in un negozio di abbigliamenti, sempre a Padova (all'epoca aveva a suo carico anche svariate denunce per stupefacenti). Nel luglio 2017, il tunisino è stato scarcerato e nell'agosto 2017 è stato portato nel Centro di Torino per l'espulsione. Qui però, la prima beffa: in quell'occasione, infatti, non era stato possibile identificarlo, per questo motivo la Tunisia non lo aveva accettato. L'uomo era quindi tornato a piede libero.
Ora si apprende la seconda, incredibile circostanza: il presunto criminale viveva infatti a spese dei cittadini di Padova, in una casa a cui non aveva diritto. L'appartamento, spiega Il Gazzettino, risulta assegnato alla sorella, 51 anni, che però, come ha ammesso l'arrestato, ora vive in Tunisia. Il quotidiano riporta anche le dichiarazioni in merito dell'assessore al Sociale Marta Nalin: «Noi facciamo le verifiche in base alle segnalazioni che riceviamo. In questo caso specifico, parliamo di una casa assegnata nel 2015 ad una donna che aveva tutti i requisiti per essere in graduatoria. Nessuno ci aveva chiesto di intervenire. Di questo uomo non sappiamo nulla, ma siamo felici che si sia risolto un problema che stava preoccupando tutti».
Il riferimento dell'assessore è ai numerosi furti in centro realizzati a Padova negli ultimi mesi. Una catena di crimini che aveva allertato le forze dell'ordine, portandole a restringere il cerchio dei sospettati a pochi individui, uno dei quali era appunto Torch, tenuto sotto controllo da circa un mese.
L'uomo usciva sempre alla sera tardi, prima faceva un giro nelle piazze di spaccio, da lui ben conosciute. Poi, dopo aver fatto incetta di crack, spaccava le vetrine dei negozi. Al momento vengono attribuiti all'uomo con relativa sicurezza almeno quattro colpi, ma le indagini potrebbero allungare il curriculum criminale dello straniero. Il Ris di Parma, nel frattempo, sta esaminando i campioni prelevati da altri sei sospettati, per confrontarli con le tracce biologiche rilevate nei locali che hanno subito le spaccate.
Il tunisino, dal canto suo, si è dichiarato innocente ed estraneo ai furti che gli vengono contestati. Quanto alla merce trovata nella casa (in cui non aveva comunque diritto di stare), ha detto di averla comprata regolarmente, spesso nei mercatini dell'usato. Ma diversi oggetti rinvenuti nell'abitazione sarebbero già risultati rubati.
Adriano Scianca
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Trovato a Como il corpo di un africano: era nel giardino di una struttura d'accoglienza con il cranio sfondato. E mentre si intensificano le aggressioni nei Cara, a Roma una donna viene stuprata nella tendopoli di Baobab.Il tunisino spacca vetrine di Padova era abusivo in una casa popolare. Contestati all'uomo 37 furti. Ha precedenti per droga ed era già stato espulso. Invano.Lo speciale comprende due articoli.L'ultimo in ordine di tempo è il cadavere di un uomo con la testa sfondata ritrovato nel parco di un centro di accoglienza di Como. Ma c'è anche la slovacca violentata a Roma, il pusher che nascondeva la droga sotto al letto, le operatrici sequestrate ad Agrigento, il direttore aggredito a Foggia e persino un neonato, partorito e poi buttato in un secchio come fosse immondizia, in una struttura di Salerno.Nei centri dedicati ai profughi i richiedenti asilo sono meno numerosi, quello che non cala, invece, è il livello di violenza che si registra in quei luoghi. Tra gli operatori del business sempre poco presenti e l'alta quantità degli ospiti, negli stabili che ospitano i richiedenti asilo, ne succedono un po' di tutti i colori. Due giorni fa, a pochi metri dai cancelli del centro di accoglienza dei padri salesiani del quartiere Tavernola, a Como è stato rinvenuto il cadavere di un giovane uomo, certamente immigrato, privo di documenti e in avanzato stato di putrefazione. Il suo corpo è stato gettato in una piccola scarpata dietro alla struttura, tra i rifiuti abbandonati, avvolto in una coperta insanguinata e con il cranio sfondato. Lo stato del cadavere ha subito reso evidente che non si è trattato di una morte accidentale, ma molto probabilmente di un omicidio.Sull'identità del giovane gli inquirenti stanno ancora indagando ma potrebbe trattarsi di uno dei tanti sedicenti profughi sbarcati nei mesi scorsi, inseriti nel circuito dell'accoglienza e che poi spariscono nel nulla. Il giovane potrebbe essere stato vittima dell'aggressione di uno degli ospiti o di qualcuno della zona, magari parte di qualche giro d'affari non esattamente lecito. Il centro di accoglienza di Tavernola si trova in un quartiere che affaccia sul lago, all'interno della struttura di proprietà dei salesiani gestita dall'Associazione il Focolare, che si occupa di profughi nel territorio. E lì, le risse violente non sono una novità: lo scorso febbraio, all'interno della struttura erano intervenute le forze dell'ordine per una lite degenerata, durante la quale un giovane di 23 anni era rimasto ferito.Anche ieri non sono mancati gli episodi inquietanti. A Roma un pusher senegalese di 24 anni, già noto per i suoi precedenti, è stato colto mentre cedeva dosi di stupefacenti e fermato con l'accusa di spaccio. I militari hanno anche perquisito il centro di accoglienza di Torre Gaia, dove lo spacciatore era ospite, e nella camera in cui era sistemato hanno trovato soldi, droga e bilancini di precisione per il confezionamento delle dosi.Sempre ieri, una trentottenne slovacca ha denunciato di essere stata sequestrata e violentata per un'intera notte in una tenda all'interno del centro Baobab Experience, situato in zona Tiburtina, a Roma. Il fatto che si tratti di un campo gestito da volontari e fondato in alternativa alle politiche di accoglienza di Stato sotto lo slogan «Refugees welcome», non lo ha reso immune da episodi di violenza: la donna, infatti, avrebbe riferito di essere stata sequestrata da un giovane arabo che l'ha portata nella sua tenda, l'ha violentata e l'ha colpita con un bastone quando lei ha tentato di fuggire.Sempre in tema di sequestri, ad Agrigento, appena quattro giorni fa, la polizia aveva arrestato tre diciottenni cittadini nigeriani e uno gambiano ospiti del Villaggio di Mosè dopo che questi avevano bloccato all'interno della struttura due operatrici per farsi consegnare il denaro del pocket money.E ancora, tre giorni fa nel foggiano un nigeriano di 26 anni, richiedente asilo, è stato arrestato dopo che, entrato nel Cara di Borgo Mezzanone, avrebbe minacciato violentemente il direttore, pretendendo che gli consegnasse del denaro.Ma c'è molto di peggio. Lo scorso 19 settembre, nel centro migranti Lontrano di Auletta, in provincia di Salerno, una giovane nigeriana dopo aver partorito un feto al settimo mese, lo ha nascosto in un secchio all'esterno della struttura, abbandonandolo tra i rifiuti. Solo le sue condizioni di salute, conseguenti al parto, hanno consentito la macabra scoperta.Alessia Pedrielli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dalle-violenze-sessuali-agli-omicidi-centri-per-immigrati-allo-sbando-2611942548.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-tunisino-spacca-vetrine-di-padova-era-abusivo-in-una-casa-popolare" data-post-id="2611942548" data-published-at="1765403221" data-use-pagination="False"> Il tunisino spacca vetrine di Padova era abusivo in una casa popolare Lo chiamavano «il re delle spaccate» e non perché avesse delle gambe particolarmente elastiche: si sospetta infatti che al suo attivo ci siano ben 37 colpi effettuati in altrettanti negozi, tutti furti realizzati allo stesso modo, ovvero spaccando la vetrina e rubando tutto quello che c'era da rubare. Ora, tuttavia, il caso del tunisino arrestato martedì a Padova si arricchisce di un ulteriore particolare che ha il sapore della beffa: l'uomo, infatti, si nascondeva in una casa popolare assegnata alla sorella, che però ora vive in Tunisia. Ma facciamo un passo indietro. Martedì, come detto, la polizia ha sottoposto a fermo Ammor Ben Lazhar Torch, pluripregiudicato tunisino di 40 anni, irregolare sul territorio nazionale. L'uomo si spostava in bicicletta (ovviamente rubata, ne aveva più di una) e agiva da solo, spaccando le vetrate delle attività commerciali e poi portando via il fondo cassa. Nel 2014, Torch era stato arrestato per un altro furto in un negozio di abbigliamenti, sempre a Padova (all'epoca aveva a suo carico anche svariate denunce per stupefacenti). Nel luglio 2017, il tunisino è stato scarcerato e nell'agosto 2017 è stato portato nel Centro di Torino per l'espulsione. Qui però, la prima beffa: in quell'occasione, infatti, non era stato possibile identificarlo, per questo motivo la Tunisia non lo aveva accettato. L'uomo era quindi tornato a piede libero. Ora si apprende la seconda, incredibile circostanza: il presunto criminale viveva infatti a spese dei cittadini di Padova, in una casa a cui non aveva diritto. L'appartamento, spiega Il Gazzettino, risulta assegnato alla sorella, 51 anni, che però, come ha ammesso l'arrestato, ora vive in Tunisia. Il quotidiano riporta anche le dichiarazioni in merito dell'assessore al Sociale Marta Nalin: «Noi facciamo le verifiche in base alle segnalazioni che riceviamo. In questo caso specifico, parliamo di una casa assegnata nel 2015 ad una donna che aveva tutti i requisiti per essere in graduatoria. Nessuno ci aveva chiesto di intervenire. Di questo uomo non sappiamo nulla, ma siamo felici che si sia risolto un problema che stava preoccupando tutti». Il riferimento dell'assessore è ai numerosi furti in centro realizzati a Padova negli ultimi mesi. Una catena di crimini che aveva allertato le forze dell'ordine, portandole a restringere il cerchio dei sospettati a pochi individui, uno dei quali era appunto Torch, tenuto sotto controllo da circa un mese. L'uomo usciva sempre alla sera tardi, prima faceva un giro nelle piazze di spaccio, da lui ben conosciute. Poi, dopo aver fatto incetta di crack, spaccava le vetrine dei negozi. Al momento vengono attribuiti all'uomo con relativa sicurezza almeno quattro colpi, ma le indagini potrebbero allungare il curriculum criminale dello straniero. Il Ris di Parma, nel frattempo, sta esaminando i campioni prelevati da altri sei sospettati, per confrontarli con le tracce biologiche rilevate nei locali che hanno subito le spaccate. Il tunisino, dal canto suo, si è dichiarato innocente ed estraneo ai furti che gli vengono contestati. Quanto alla merce trovata nella casa (in cui non aveva comunque diritto di stare), ha detto di averla comprata regolarmente, spesso nei mercatini dell'usato. Ma diversi oggetti rinvenuti nell'abitazione sarebbero già risultati rubati. Adriano Scianca
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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