2020-12-09
«Dai morti si impara. Ma le autopsie non si fanno per ignoranza e paura»
Cristoforo Pomara (Unict)
Il medico legale che ha guidato la rivolta contro la circolare di Roberto Speranza che «sconsigliava» gli esami autoptici: «Sono fondamentali. Salvano i vivi».Le autopsie di pazienti deceduti positivi al Covid-19 devono essere eseguite in ambienti non al massimo livello di biosicurezza BSL4 - quello che abbiamo imparato a conoscere tutti con il famigerato laboratorio di Wuhan - ma al livello inferiore, BSL3. Abbiamo dunque provato a sapere quante sale settorie ci sono in Italia con questi standard di sicurezza. Ed ecco il risultato. All'ufficio stampa dell'Istituto superiore di sanità ci hanno rimandato al ministero della Salute. Dopo circa 24 ore l'ufficio stampa del ministro Speranza ci ha risposto: di chiedere all'Iss… Sul perché e sul come in Italia si sono effettuati pochissimi accertamenti autoptici per i decessi attribuiti al Covid abbiamo chiesto lumi al professor Cristoforo Pomara, ordinario di medicina legale a Catania. A maggio ha guidato la rivolta contro la sconcertante circolare del ministero che «sconsigliava» le autopsie in quanto «inutili». Allora, prof, su 60.000 morti in Italia si conoscono i risultati di 154 autopsie...«Penso siano un po' di più. Solo io e il mio gruppo ne abbiano fatte 25 e, in collaborazione con altri istituti, in totale 60. Abbiamo trovato il 'fattore 8' e gli altri fattori coinvolti nell'iper coagulazione che porta ai trombi, causa di tante morti, e stiamo lavorando sulle endoteliti e tempeste di citochine che sembrerebbero coinvolte in molti decessi…».Non pare un risultato trascurabile per capire come affrontare il Covid.«Guardi, l'unico vero merito che riconosco a me e al mio gruppo è quello di aver contribuito alla marcia indietro del ministero sulla vecchia circolare e aver smosso le acque a livello internazionale rispetto alla comunità scientifica che stava commettendo un grave errore. Da noi c'era quella circolare. Ma c'è anche di peggio. Addirittura il Royal College di Londra diceva di non fare le autopsie perché per il certificato di morte bastava solo il tampone positivo in vita».Invece le autopsie sono utili per salvare i vivi?«Sono fondamentali. Dai morti si impara. Lo avete visto tutti quando si facevano le autopsie “clandestine", mi passi il termine: si è scoperta la presenza della trombo-embolia e si è ricorsi all'eparina. Più in generale se si fossero fatte le autopsie in ospedale si sarebbe stati in grado di intercettare questo come ogni altro virus o patogeno molto prima della sua diffusione. Spero che passi questo insegnamento». Risparmiandoci migliaia di morti, vuol dire? Perché si continua a non farle, allora?«Qui in Italia per profonda ignoranza. Nelle scuole di medicina ormai non si studia più l'anatomia sul cadavere, ma solo sui libri. Fare le autopsie non giudiziarie, quelle a fine conoscitivo, è rimasta una nicchia per pochi. Quindi di fronte all'emergenza del Covid, piuttosto che investire sulle sale settorie qualche centinaio di migliaia di euro, si è preferito dire: chi se ne frega delle autopsie. Anzi, siccome magari sono pure pericolose le “sconsigliamo"». Invece?«Per noi è pane quotidiano. Ovvio che dovendo fare un'autopsia Covid essa va eseguita con tutte le protezioni che per noi sono di routine. Molti colleghi hanno scoperto ora le tute in tyvek (le speciali tute protettive, ndr). Al mio istituto c'è una dotazione ordinaria di 600 tute tyvek».Sicuro che sia solo ignoranza? Primo: all'inizio, le pochissime autopsie effettuate hanno fatto capire che buona parte delle terapie adottate erano inappropriate. Secondo, si è compreso che il virus scatena una serie di reazione, arma la mano di altri killer nell'organismo infettato. Cioè, una parte consistente di morti attribuiti al Covid e che finiscono nel bollettino quotidiano in realtà sono stati uccisi da altro.«No, guardi. Anzi da questo punto di vista vorrei rivolgere un appello rassicurante a tutti i colleghi: ci siamo trovati davanti ad un'epidemia sconosciuta e imprevista, non è possibile dare responsabilità. E invitare tutti ad associarsi alla richiesta che si facciano le autopsie. Semmai il dolo ci sarebbe ora nell'incapacità del sistema di dare risposte. In base ai risultati fondamentali ottenuti dalle autopsie la prima ondata avrebbe dovuto portare a creare un network tra i centri migliori e addestrati a fare questo per mettere insieme le sinergie».In concreto?«Far sedere, come è avvenuto per altre discipline, attorno a un tavolo quelli che le autopsie le fanno tutti i giorni e sanno insegnare a farle. Mettere insieme i dati. Stabilire, che ne so, le fasce di età su cui concentrarci. Per avere risultati in tempo reale. Non per pubblicarli sulle riviste scientifiche, ma per fornirli ai colleghi che i malati devono curare». Qualcosa si muove?«Molto a rilento. Al Policlinico di Catania, grazie anche alla Regione, abbiamo messo a punto due sale settorie. Ma in generale continua a dominare la paura dell'autopsia Covid».È credibile la risposta dell'Istituto superiore di sanità che non vengono registrati i dati delle autopsie perché sono difficili da tenere?«Assolutamente no. Se facciamo un protocollo - quali organi prelevare, come conservarli, su quali pazienti - il registro si può fare. Credo invece che manchi una conoscenza specifica della materia». Dall'Iss e dal ministero della Salute non hanno risposto su quanti sono in Italia gli ambienti con livello di biosicurezza adeguato per fare le autopsie Covid.«C'è uno studio scientifico su questo argomento. In generale le dico che abbiamo una sala settoria con queste caratteristiche per ogni regione e quasi una per ogni provincia. Tiri lei le conclusioni».