2021-10-20
Altro che «è già tutto smontato». Renzi e altri dieci verso il processo
Chiuse le indagini sulla fondazione: sotto inchiesta, oltre a 4 società, anche Maria Elena Boschi, Luca Lotti, Marco Carrai e Alberto Bianchi. Per i pm di Firenze l'ente era la cassaforte dell'ex premier, che contrattacca: «È un processo politico»La Procura di Firenze ha chiuso i conti con la Fondazione Open. Agli undici indagati e alle quattro società coinvolte è stato notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari che, il giorno dopo i risultati elettorali dei ballottaggi, conferma l'ipotesi che la fondazione, in realtà, era la cassaforte della corrente di Matteo Renzi. E oltre a pagare i mega eventi come quello del Lingotto di Torino (10-12 marzo 2017), la corsa a segretario del Pd e le varie Leopolde, stando a quanto hanno ricostruito i pm Luca Turco e Antonino Nastasi, tra il 2012 e il 2018, sarebbe servita pure a finanziare illecitamente il «giglio magico», ovvero la corrente renziana, della quale Open, scrivono i magistrati, era «articolazione politico-organizzativa». Il capo d'imputazione sul finanziamento illecito ai partiti è il primo della lista. E coinvolge Alberto Bianchi, che della fondazione era il presidente, Matteo Renzi, a cui Open secondo le toghe era riferibile (i magistrati scrivono anche che era «da lui diretta»), Luca Lotti e Maria Elena Boschi, all'epoca deputati e componenti della segretaria nazionale del Pd, Marco Carrai, componente del Cda di Open, e Patrizio Donnini, che per anni con la sua agenzia di comunicazione Dotmedia ha organizzato la Leopolda. Stando all'accusa avrebbero ricevuto contributi in denaro, usati per sostenere l'attività politica di Renzi, Lotti, Boschi e della corrente renziana, per 257.000 euro nel 2014, per 332.000 euro nel 2015, per 1.420.000 euro nel 2016, per 805.000 euro nel 2017 e per 752.000 euro nel 2018. Per un totale di oltre 3.567.000 euro. La Procura indica in 109 voci i nomi dei finanziatori di quello che veniva definito lo «schema Bianchi». Nell'elenco compare la Toto Costruzioni generali, al quale Bianchi avrebbe consentito «l'evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto» tramite una fattura per operazione inesistente (per un importo complessivo di 951.600 euro e un netto di 801.600 euro), avendo versato il ricavato, è scritto nell'avviso di chiusura indagini, «alla Fondazione Open e al Comitato nazionale per il sì al referendum costituzionale, in tal modo occultando l'erogazione di Toto Costruzioni generali alla Fondazione Open». Stessa operazione, ma per importi ben più modesti, con la Utopia lab srl. Ma quella di finanziamento illecito non è l'unica accusa. C'è anche un'ipotesi di corruzione per Lotti, Bianchi e Donnini. Lotti, in quel momento sottosegretario alla presidenza del Consiglio, secondo la ricostruzione dell'accusa, si sarebbe adoperato, con la collaborazione di Bianchi e di Donnini, «affinché venissero approvate dal Parlamento disposizioni normative favorevoli al Gruppo Toto, concessionario autostradale». Donnini, in particolare, è indagato anche per traffico illecito di influenze perché si sarebbe fatto promettere da Alfonso Toto «come prezzo della propria mediazione illecita» la somma di 1.030.000 euro, corrisposta da Toto tramite la Renexia spa alla Immobil Green da lui stesso amministrata, quale «apparente prezzo della compravendita del capitale sociale» di alcune società, inattive ma autorizzate alla produzione di energia verde, le cui quote sociali, per la Procura, avevano un valore notevolmente inferiore rispetto a quanto pagato da Toto. Fondi che Donnini, poi, ha impiegato in altre società. Per queste operazioni è scattata l'ipotesi di autoriciclaggio. E da qui è partito tutto. Da quella plusvalenza da un milione per Donnini è saltato fuori il legame con il Gruppo Toto. Le molteplici perquisizioni hanno infine permesso ai pm di raccogliere il materiale sull'ipotizzato finanziamento illecito.Lo stesso copione, infatti, si presenta per la British american tobacco Italia spa. Lotti, con la collaborazione di Bianchi, si sarebbe adoperato in relazione a disposizioni normative nell'interesse del colosso del tabacco. Anche in questo caso sono arrivati fiumi di denaro a Open. Il vicepresidente del Cda Giovanni Carucci e il responsabile delle relazioni esterne Carmine Gianluca Ansalone, sono indagati per corruzione. Per il caso del consorzio Irbm, guidato da Pietro De Lorenzo, invece, è finito nei guai Bianchi. Secondo i pm avrebbe sfruttato la relazione con Lotti e si sarebbe fatto dare da Di Lorenzo 130.000 euro per l'erogazione di finanziamenti pubblici per la realizzazione di una tv scientifica digitale e satellitare.Altro finanziamento finito sotto la lente è quello di Riccardo Maestrelli: 70.000 euro dalla Framafruti, 50.000 dalla Tirrenofruit e 30.000 dalla Fondiaria Mape. Open, secondo i pm, avrebbe usato quei contributi per l'acquistare beni e servizi destinati a Renzi. Che, a modo suo, ha commentato così: «Quando il giudice penale vuole decidere le forme della politica siamo davanti a uno sconfinamento pericoloso per la separazione dei poteri. Loro vogliono un processo politico alla politica, noi chiederemo giustizia nelle aule della giustizia». Prima, però, qualora i pm dovessero decidere di chiedere il processo per gli indagati (l'avviso di conclusione delle indagini di solito è prodromica alla richiesta di rinvio a giudizio), bisognerà passare dall'udienza preliminare (prevedibile per la primavera 2022). Intanto, hanno fatto sapere dall'ufficio stampa dell'ex premier, ha 20 giorni di tempo per chiedere di essere interrogato. E la difesa mostra il petto: «Secondo noi non c'è nessun tipo di reato», ha commentato l'avvocato Federico Bagattini, che con il collega Gian Domenico Caiazza difende Renzi, «la Cassazione ha già messo qualche paletto, che renderà la partita interessante, avvincente e vincente».
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