L’agenzia ha un potere enorme sulle politiche sanitarie globali, ma non è per nulla autonoma: l’80% dei fondi su cui si regge proviene da privati che hanno grandi interessi in ballo. Lo strano caso di Veneto e Regioni rosse.
L’agenzia ha un potere enorme sulle politiche sanitarie globali, ma non è per nulla autonoma: l’80% dei fondi su cui si regge proviene da privati che hanno grandi interessi in ballo. Lo strano caso di Veneto e Regioni rosse.L’emergenza pandemica e la sua fallace gestione a livello globale hanno generato un cortocircuito percettivo sul concetto di salute pubblica, le cui responsabilità sono state attribuite ora alla classe medica o politica dei singoli Paesi, ora ai media. La loro grottesca interazione, che in un Paese come l’Italia è riuscita a suscitare consapevolezza diffusa di un’inaffidabilità scientifico-istituzionale ormai cronica, ha offuscato il ruolo (e le responsabilità) dell’unico organismo sovranazionale che sta ridisegnando la salute del nostro futuro, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), nata subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale (1946) con l’ambizioso obiettivo di promuovere la salute pubblica globale. L’Oms non è mai evocata nei dibattiti televisivi perché non associabile a volti e responsabilità definite: nessuno sa a chi rende conto l’Oms, come funziona, a cosa serve e soprattutto chi sostiene l’ente che ha fatto il bello e il cattivo tempo in epoca Covid, e promette di continuare a farlo in vista delle «future pandemie».L’Oms è, sulla carta, un’istituzione pubblica: dipende dalle Nazioni Unite (Onu), è governata da 193 Stati membri attraverso l’Assemblea mondiale della Sanità - composta dai rappresentanti nominati dai Paesi membri - ed è un soggetto di diritto internazionale. È quest’entità che ha officiato la liturgia comunicativa pandemica, a cominciare dalla promulgazione dello stato d’allerta globale causa Covid, il cui termine è stato decretato ufficialmente tre giorni fa. È l’Oms che ha ufficializzato queste date - 23 gennaio 2020/5 maggio 2023 - affinché finiscano sui libri di storia, così come è stata l’Oms a stabilire - smentita dai dati ufficiali che in data odierna parlano di 6.870.000 decessi «per» e «con» Covid - che l’emergenza Covid ha causato la morte di «almeno 20 milioni di persone». È l’Oms inoltre ad aver deciso, dopo una missione organizzata insieme con gli esperti - alcuni dei quali fino al giorno prima avevano maneggiato il virus nel laboratorio di Wuhan - che l’origine della Sars Cov-2 era naturale: tutta colpa del famoso pangolino del mercato. Date, numeri e fatti ormai cristallizzati in una memoria collettiva edificata a tavolino sulla base di una comunicazione distillata fin dall’inizio.A chi ha reso conto l’Oms nei tre anni pandemici? L’Oms è sostenuto dai contributi dovuti dagli Stati membri, calcolati sul rispettivo Pil, e da quelli volontari. Nonostante questa dimensione sovranazionale, che lascerebbe immaginare un’illusoria concertazione tra le nazioni che la finanziano, soltanto il 20% delle entrate dell’organizzazione deriva da amministrazioni pubbliche, mentre il restante 80% arriva da fondazioni e filantropi. L’Oms decide la sua agenda, i suoi programmi, le sue iniziative di risposta globale e le sue priorità proprio intorno a loro, a cominciare dal maggiore finanziatore privato in assoluto, il filantropo americano Bill Gates, che rappresenta da solo, con i suoi 693 milioni di dollari annuali (dati 2022), il 10% del budget dell’istituzione, secondo soltanto allo storico e maggior contribuente pubblico, gli Stati Uniti d’America. Se il desiderio di Donald Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’Oms si fosse concretizzato, la Bill & Melinda Gates Foundation (Bmgf) sarebbe addirittura diventata il suo principale contribuente.È evidente che senza le risorse dei privati, molti obiettivi di salute globale sarebbero compromessi. Ma, come ha riconosciuto anche Lawrence Gostin, professore a Georgetown e direttore del centro di diritto sanitario dell’Oms, «gran parte dei finanziamenti concessi all’Oms dalla Fondazione Gates sono legati alla sua agenda. Ciò significa che l’Organizzazione non è più in grado di stabilire in autonomia le sue priorità sanitarie globali». Senza contare che, a differenza degli Stati membri, che devono rispondere delle loro azioni agli elettori, la Bmgf non risponde a nessuno.A scorrere la lista dei finanziamenti pubblicati annualmente in diverse tabelle, non mancano le sorprese: nonostante l’Italia come Stato membro paghi le quote dovute, le principali Regioni rosse italiane - l’Emilia Romagna di Stefano Bonaccini, la Puglia di Michele Emiliano e il Lazio che nel 2022 era governato da Nicola Zingaretti - nonché il Veneto di Luca Zaia, erogano ulteriori finanziamenti. E sono, assieme alla Catalogna, la regione di Lione e quella delle Fiandre, le uniche amministrazioni locali in tutto il mondo a sovvenzionare direttamente, con i soldi delle rispettive comunità, l’Oms. Nel 2022, Bonaccini ha versato nelle casse dell’Oms 283.282 dollari, Emiliano ne ha dati 138.498 e Zingaretti 217.391, mentre Luca Zaia ha offerto 236.278 dollari: sarà forse anche in virtù di queste proficue sinergie che il governatore veneto è stato particolarmente attivo nell’aprire al suicidio assistito e promuovere il Centro per la transizione gender di Padova, temi cari all’Organizzazione. A fare la parte del leone tra i finanziatori privati ci sono i maggiori sostenitori delle politiche vaccinali di massa: oltre a Bill Gates spiccano altre entità para-istituzionali che fanno a lui capo, come la Gavi Alliance (Global Alliance for Vaccines and Immunisation), fondata dall’ex patron di Microsoft, che nel 2022 ha versato 354.098.469 dollari, il Wellcome Trust, ente di beneficenza britannico che ha concertato tutte le iniziative antipandemiche di pari passo con la Bmfg (32.583.300 dollari nel 2022), e la Clinton Initiative di Bill, Hillary e Chelsea Clinton, che tra i suoi dirigenti chiave ha arruolato proprio l’ex presidente del Global Health Program della Bmgf (3.513.845 dollari). L’International Vaccine Institute, finanziato a sua volta dalla Bmgf, ha versato all’Oms 632.272 dollari. Una gigantesca partita di giro.Anche media e società di comunicazione finanziano attivamente l’Organizzazione: si va dalla Bloomberg Family Foundation di Michael Bloomberg (10. 953.213 dollari) all’European Health Forum Gastein (21.008 dollari), soprannominato «la Davos della Salute Pubblica» per il suo impegno all’interno del World Economic Forum di Klaus Schwab, passando per la Fondazione Telecom Italia, che nel 2022 ha sovvenzionato l’Oms con 1.977.035 dollari. A questi si aggiungono Meta di Marck Zuckerberg (1 milione di dollari) e Microsoft (59.000 dollari). Non potevano mancare le case farmaceutiche: Bayer (506.338 dollari nel 2022), Gilead (282.588 dollari), Glaxo (16.324.799 dollari), Roche (3.520.045 dollari), Jannsen (1.934.884) e Johnson & Johnson (9.481.842 dollari), Merck (5.131.428 dollari), Novartis (9.294.430 dollari), Novo Nordisk (4.484.283 dollari) e Sanofi, che soltanto nel 2022 ha versato nelle casse dell’Oms 26. 192.422 dollari. Quale indipendenza scientifica può avere un’organizzazione, preposta alla definizione di misure globali per la salute pubblica, se gran parte dei suoi finanziatori ruotano intorno al mondo dell’industria farmaceutica? Complicato stabilirlo, soprattutto se a questi si sovrappongono autorità sanitarie pubbliche come il Koch Institute tedesco (che ha versato all’Oms 794.558 dollari) e la Fondazione dei Cdc americani (2.214.960 dollari), senza contare l’Imperial College di Londra (106.310 dollari). E chissà in quale modo avranno influito le donazioni della Aids Foundation del cantante Elton John (427.140 dollari nel solo 2022) rispetto alle istanze portate avanti dal Rotary International, che soltanto nel 2022 ha offerto all’Organizzazione 68918.257 dollari, senza contare la McKinsey (58.803 dollari) e la Rockfeller Foundation (2.498.716).Chris Elias, dirigente della Fondazione Gates, ha ammesso tempo fa di aver recepito queste preoccupazioni. Ma ha rimescolato le carte sostenendo che «alcuni campi d’azione beneficiano di un sostegno maggiore rispetto ad altri, perché non abbiamo una strategia ad hoc per tutti i campi che coprono oggi la salute globale. Pertanto spetta all’organo di governo dell’Oms risolvere queste fragilità». Ergo: non sono loro a seguire la nostra agenda, siamo noi che finanziamo soltanto i progetti che ci interessano. Chiaro? Un buco nero nella salute globale, palesato impudentemente da chi continua a gestirla senza rendere conto né ai governi, né ai cittadini.
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Un servizio di «Fuori dal coro» mostra il racket dei bengalesi a Monfalcone: o cedi metà del tuo stipendio oppure non lavori o, peggio ancora, vieni pestato. I soldi presi dai caporali servono anche a finanziare gli imam che predicano abusivamente.
(Arma dei Carabinieri)
Ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone indagate per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro. Con l’aggravante del metodo mafioso.
Questa mattina, nei comuni di Gallipoli, Nardò, Galatone, Sannicola , Seclì e presso la Casa Circondariale di Lecce, i Carabinieri del Comando Provinciale di Lecce hanno portato a termine una vasta operazione contro un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti che operava nella zona ionica del Salento. L’intervento ha mobilitato 120 militari, supportati dai comandi territoriali, dal 6° Nucleo Elicotteri di Bari Palese, dallo Squadrone Eliportato Cacciatori «Puglia», dal Nucleo Cinofili di Modugno (Ba), nonché dai militari dell’11° Reggimento «Puglia».
Su disposizione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, sono state eseguite misure cautelari di cui 7 in carcere e 9 ai domiciliari su un totale di 51 indagati. Gli arrestati sono gravemente indiziati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro, con l’aggravante del metodo mafioso.
Tutto è cominciato nel giugno del 2020 con l’arresto in flagranza per spaccio di stupefacenti avvenuto a Galatone di un giovane nato nel 1999. Le successive investigazioni avviate dai militari dell’Arma hanno consentito di individuare l’esistenza di due filoni parallel ed in costante contatto, che si spartivano le due principali aree di spaccio della zona ionica del Salento, suddivise tra Nardò e Gallipoli. Quello che sembrava un’attività apparentemente isolata si è rivelata ben presto la punta dell’iceberg di due strutture criminali ramificate, ben suddivise sui rispettivi territori, capaci di piazzare gradi quantitativi di droga. In particolare, l’organizzazione che operava sull’area di Nardò è risultata caratterizzata da una struttura verticistica in grado di gestire una sistematica attività di spaccio di stupefacenti aggravata dal tipico ricorso alla violenza, in perfetto stile mafioso anche mediante l’utilizzo di armi, finalizzata tanto al recupero dei crediti derivanti dalla cessione di stupefacente, quanto al controllo del territorio ed al conseguente riconoscimento del proprio potere sull’intera piazza neretina.
Sono stati alcuni episodi a destare l’attenzione degli inquirenti. Un caso eclatante è stato quando,dopo un prelievo di denaro presso un bancomat, una vittima era stata avvicinata da alcuni individui armati che, con violenza e minaccia, la costringevano a cedere il controllo della propria auto.
Durante il tragitto, la vittima veniva colpita con schiaffi e minacciata con una pistola puntata alla gamba destra e al volto, fino a essere portata in un luogo isolato, dove i malviventi la derubavano di una somma in contanti di 350 euro e delle chiavi dell’auto.
Uno degli aggressori esplodeva successivamente due colpi d’arma da fuoco in direzione della macchina, uno dei quali colpiva lo sportello dal lato del conducente.
In un'altra circostanza invece, nei pressi di un bar di Nardò, una vittima era stata aggredita da uno dei sodali in modo violento, colpendola più volte con una violenza inaudita e sproporzionata anche dopo che la stessa era caduta al suolo con calci e pugni al volto, abbandonandolo per terra e causandogli la deformazione e lo sfregio permanente del viso.
Per mesi i Carabinieri hanno seguito le tracce delle due strutture criminose, intrecciando intercettazioni, pedinamenti, osservazioni discrete e perfino ricognizioni aeree. Un lavoro paziente che ha svelato un traffico continuo di cocaina, eroina, marijuana e hashish, smerciati non solo nei centri abitati ma anche nelle località marine più frequentate della zona.
Nell’organizzazione, un ruolo di primo piano è stato rivestito anche dalle donne di famiglia. Alcune avevano ruoli centrali, come referenti sia per il rifornimento dei pusher sia per lo spaccio al dettaglio. Altre gestivano lo spaccio e lo stoccaggio della droga, controllavano gli approvvigionamenti e le consegne, alcune avvenute anche alla presenza del figlio minore di una di loro. Spesso utilizzavano automobili di terzi soggetti estranei alla compagine criminale con il compito di “apripista”, agevolando così lo spostamento dello stupefacente.
Un’altra donna vicina al capo gestiva per conto suo i contatti telefonici, organizzava gli incontri con le altre figure di spicco dell’organizzazione e svolgeva, di fatto, il ruolo di “telefonista”. In tali circostanze, adottava cautele particolari al fine di eludere il controllo delle forze dell’ordine, come l’utilizzo di chat dedicate create su piattaforme multimediali di difficile intercettazione (WhatsApp e Telegram).
Nell’azione delle due strutture è stato determinante l’uso della tecnologia e l’ampio ricorso ai sistemi di messaggistica istantanea da parte dei fruitori finali, che contattavano i loro pusher di riferimento per ordinare le dosi. In alcuni casi gli stessi pusher, per assicurarsi della qualità del prodotto ceduto, ricontattavano i clienti per acquisire una “recensione” sullo stupefacente e quindi fidelizzare il cliente.
La droga, chiamata in codice con diversi appellativi che ricordavano cibi o bevande (come ad es. “birra” o “pane fatto in casa”), veniva prelevata da nascondigli sicuri e preparata in piccole dosi prima di essere smerciata ai pusher per la diffusione sul territorio. Un sistema collaudato che ha permesso alle due frange di accumulare ingenti profitti nel Salento ionico, fino all’intervento di oggi.
Il bilancio complessivo dell’operazione è eloquente: dieci arresti in flagranza, il sequestro di quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marijuana, che avrebbero potuto inondare il territorio con quasi 5.000 dosi da piazzare al dettaglio.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha ritenuto gravi gli elementi investigativi acquisiti dai Carabinieri della Compagnia di Gallipoli, ha condiviso l’impostazione accusatoria della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, emettendo dunque l’ordinanza di custodia cautelare a cui il Comando Provinciale Carabinieri di Lecce ha dato esecuzione nella mattinata di oggi.
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