2023-12-31
Cuciniamo insieme: zuppa inglese di pandoro
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Di certo dalle libagioni natalizie vi è avanzato un pandoro, ecco una ricetta per riciclarlo. Si tratta di rispolverare un dolce che fa felici da generazioni e generazioni gli italiani: la zuppa inglese. L’abbiamo fatta all’emiliana-marchigiana, cioè con le creme un po’ più sode, ma copiando da Firenze la forma dello zuccotto. Ci siamo: meno cinque, quattro, tre, due, uno…buon anno!!!! Vi facciamo «dolcissimi» auguri per un 2024 sereno e proficuo. E se avete deciso di passarlo in famiglia con gli amici questo San Silvestro per voi c’è un’occasione per fare un figurone e dimostrarvi, come si usa adesso, sostenibili. Di certo dalle libagioni natalizie vi è avanzato un pandoro, ecco una ricetta per riciclarlo. Si tratta di rispolverare un dolce che fa felici da generazioni e generazioni gli italiani: la zuppa inglese. L’abbiamo fatta all’emiliana-marchigiana cioè con le creme un po’ più sode, ma copiando da Firenze la forma dello zuccotto. Sull’origine della ricetta ci sono infinite dispute. L’Artusi risolve dicendo che vi sono due formule: una fiorentina, da cui l’uso dell’Alchermes che è il liquore principe dell’arte degli speziali gigliati, che si serve in tazza con le creme più liquide, l’altra emiliana con creme più sode che avrebbe origine alla corte di Maria Luigia d’Austria a Parma. Sicuramente però la zuppa inglese che d’inglese non ha nulla (pare che il nome derivi dalla cuoca fiorentina che preparò il dolce per un ospite britannico o dall’uso parmigiano di bagnare il pan di Spagna che pure questo non ha nulla d’iberico con il rum, il distillato preferito dai marinai britannici) ha origini tardo medievali: l’uso dell’Alchermes o del Rosolio rimandano all’epoca degli speziali invidiati produttori di meraviglie. Che via sia stato un adattamento rinascimentale lo si evince dal cacao, ma sarebbe giustificata anche la versione anconetana che vuole la zuppa inglese creata ad Ancona da una cuoca dell’ammiragliato inglese. Sia come sia ora festeggiamo con questa zuppa inglese di pandoro il capodanno. Ingredienti - Un litro di latte (meglio se fresco e intero), 8 cucchiai colmi di zucchero e 8 di rasi di farina 00, 4 cucchiai di cacao in polvere, 4 uova, 6 cucchiai di Alchermes, un limone non trattato, mezzo pandoro (circa 600 grammi). Procedimento - Affettate in fette sottili il pandoro, ora mettete sul fuoco un pentolino con il latte, la scorza del limone, le uova (due intere e due tuorli), lo zucchero e cominciate a girare con la frusta mentre fate cadere a pioggia la farina. Sorvegliate la crema girando continuamente e tenendo il fuoco molto dolce. Quando la crema si è addensata toglietela dal fuoco, separatela in due metà e mettete in una metà tre cucchiai di cacao in polvere amalgamando bene. Prendete le due creme e ponetele a raffreddare in frigorifero. Ora prendete uno stampo semisferico (quelli da zuccotto) di 20 cm di diametro, foderatelo con pellicola alimentare facendo sbordare abbondantemente la pellicola e foderatelo con alcune fette di pandoro che con un pennello irrorerete di Alchermes. Versate la crema al cacao e copritela con uno strato di pandoro che irrorerete di Alchermes, sopra a questo strato di pandoro versate la crema pasticcera bianca e chiudete con un ulteriore strato di pandoro. Ora sigillate il tutto con la pellicola che sborda dallo stampo e ponete in frigorifero per almeno 2 ore. Come far divertire i bambini - Fate versare a loro le creme nello stampo. Sorvegliate che non se le mangino! Abbinamenti - Noi abbiamo optato per un Moscato d’Asti, ma un abbinamento perfetto è col Marsala stravecchio oppure con il Sagrantino di Montefalco passito.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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