2022-11-05
Era «marchignola» la cucina gourmand di Benito e Claretta
Panorama nei pressi di Carpegna. Nel riquadro il prosciutto locale (IStock)
Benito Mussolini si incontrava con l’amante in Montefeltro. Entrambi apprezzavano la gastronomia «di confine» del duca di Urbino.Un cronista del Quattrocento riferisce che Federico da Montefeltro «non beveva che vino di cerase». Era un vino aromatizzato alle vìsciole, ciliegie acidule. Sono passati sei secoli, ma quel vino si produce ancora nel Montefeltro, terra di dolci colline e di sapori forti, di rocche audaci e di piatti rinascimentali. Quest’anno si è celebrato il 600° anniversario della nascita del Duca di Urbino (1422-1482), uno dei più grandi signori del Rinascimento. Aveva un nasone troncato nella parte superiore e adunco da far invidia a Grimilde, la strega di Biancaneve; era guercio dell’occhio destro, storpio e calvo. Federico non corrispondeva ad alcun canone di bellezza rinascimentale. Era più brutto di Plinio Fernando, la Mariangela di Fantozzi. Eppure uno dei più bei ritratti dell’arte italiana, dipinto da Piero della Francesca, è il suo. L’occhio e il ponte nasale li aveva persi in un torneo cavalleresco: la lancia dell’avversario penetrò nella visiera dell’elmo strappandogli l’occhio. Lui, per allargare il campo visivo dell’occhio rimasto, si fece segare la parte superiore del naso. La zoppìa era dovuta al crollo del pavimento di un palazzo: precipitò per alcuni metri rimanendo claudicante.Nonostante le sventure che lo avevano menomato, ma non incarognito, Federico fu condottiero e stratega abilissimo, navigato politico, munifico mecenate, splendido principe. Amava tutte le arti: dall’architettura (vedi il palazzo ducale di Urbino) alla pittura, dalla miniatura alla gastronomia. Si circondò di artisti, scrittori, cuochi e scalchi. Dava personalmente gli «ordini et uffici de casa», per la tavola, l’approvvigionamento dei cibi, il modo di imbandire la tavola, l’allestimento dei banchetti, il decoro, i divertimenti.«Le sue erano cene del buonumore», spiega Daniela Storoni, storica della cucina rinascimentale che da oltre vent’anni «saccheggia» biblioteche civiche e conventuali alla ricerca di antichi ricettari. La corte di Urbino era parecchio affollata. Federico doveva gestire e sfamare 600 persone tutti i giorni più gli ospiti che arrivavano da tutta Europa. Quotidianamente venivano serviti due pasti, uno alle 11 e uno verso le 17,30. Il banchetto importante durava anche sette ore con parecchie e sontuose portate. «I pasti quotidiani», continua Storoni, «consistevano in pane e vino, carne bollita o arrostita a cena. A pranzo il piatto forte era una minestra, di verdura o pasta, diversa di giorno in giorno. Si servivano minestre di carne, cappelletti, sfogliate, torte salate, la crescia e il crostolo suo parente ma con meno strutto. Non mancava mai il coniglio in porchetta. Venivano utilizzate erbe aromatiche. L’erbolata de maio era un piatto stagionale con erbe e ricotta senza sfoglia. Specialità erano la torta salata d’erbe e alici acconce e i pomodori alla gosutta con lardo erbe aromatiche, tagliere di salumi. La pasta era molto varia, sul tipo delle tagliatelle o dei maltagliati, spolverata con formaggio, cannella e pepe». Molti di questi piatti si possono ancora mangiare grazie a Daniela che ha creato il marchio Rinascimento a tavola. È lei che ha preparato il menu con cibi e piatti che hanno rievocato la tavola del Duca in occasione del 600° di Federico, ed è sempre lei che lo ripropone utilizzando carni selezionate, grani antichi, farine macinate a pietra, zucchero di canna, miele biologico, mandorle, cedri canditi, zafferano dop, spezie e vino senza addittivi né conservanti per avvicinarsi il più possibile ai sapori e ai colori del Rinascimento. In lista la salcizza, impasto di carni suine, vino rosso e spezie; il salcizzone, salume magro misto suino e bovino aromatizzato con vino rosso e semi di finocchio; i dolci: torroni, tortiglioni, brazatelle, pane bianco fatto con latte, zucchero e panna, morselletti biscottati a base di farina, uova e anice stellato, crostatine di marasche, paste sfoglie con zafferano, canditi, cannella e ciliegia selvatica, mostazzoli. Principe dei dolci il mostazzolo ducale, biscotto ricco di spezie, frutta secca e candita. Chi ne mangia si nutre anche di storia, territorio, cultura e di costume. Alessandra Ubaldi, co-pilota di Daniela sulla macchina del tempo che riporta ai sapori e ai colori rinascimentali propone i tessuti tinteggiati con l’estratto di guado, che colora i panni di turchino paradisiaco. Lo stesso che ammiriamo nelle pitture di Piero della Francesca.Il Montefeltro è un territorio complesso. C’è un po’ di Romagna, di Toscana, di Marche e c’è San Marino arroccato sul Monte Titano. La sua è una cucina di confine, di crocevia di genti e contaminazioni dall’una all’altra regione. Lo scrittore Fabio Tombari, autore de I ghiottoni che abitava in una casa colonica a Rio Salso «con la zona giorno in Romagna e la camera da letto nelle Marche» la chiamò «cucina marchignola». Pure il poeta Tonino Guerra di Pennabilli la definì «marchignola». Guerra ha il merito di aver sottratto molte piante da frutto che stavano sparendo creando il Giardino dei frutti dimenticati dove prosperano il biricoccolo, il sorbo, la ciliegia cuccarina, l’uva spina... Anche i prosciutti rischiano di essere dimenticati. Stava per succedere al crudo di Carpegna. Piccola patria dell’antica contea (dall’anno 1000 ai primi dell’Ottocento) stretta tra lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana, Carpegna produce uno straordinario crudo dop che si trova sempre meno nelle salumerie. «Ma non è più così», assicura Samuele Colocci patron della trattoria tipica Da Silvana. «Da quando i Berretta lo producono e sponsorizzano la squadra di basket di Pesaro, il prosciutto di Carpegna sta tornando in auge». Come ritornano i turisti, molti stranieri, a caccia di crostolo (la piadina di Carpegna) col crudo, di coniglio in porchetta e finocchietto selvatico; tortellone al crudo di Carpegna dop, pasta con tartufo (la zona è ricca di trifole, nere, bianche e marzoline) e di funghi tra i quali il pregiato prugnolo. Anche Benito Mussolini percorreva le strade del Montefeltro. Lasciata Donna Rachele con i pargoli a Riccione, si incontrava con Claretta Petacci all’albergo ristorante Antico Furlo, vicino alle gole dove passa la Flaminia. Roberta Roberti, vulcanica proprietaria col marito cuoco Alberto Melagrana, mostra la camera da letto dove il duce passava la notte con l’amante. Roberta e Alberto hanno chiamato la loro cucina «La cucina dell’amore»: tagliatelle al mattarello con tartufo; passatelli al pecorino di fossa, zafferano e tartufo; coniglio con finocchio selvatico, pancetta stagionata, carciofi e bietoline. «Qui Mussolini ha rischiato di lasciarci la pelle per indigestione», racconta Giorgio Nonni, docente dell’università di Urbino e autore di pregevoli pubblicazioni sui trattati di Costanzo Felici, naturalista del Seicento. «Una sera mangiò voracemente una frittata e si sentì male durante la notte, preso da dolori lancinanti allo stomaco. Gli agenti della sicurezza pensarono fosse stato avvelenato e buttarono giù dal letto la proprietaria di allora che si difese proclamando l’innocenza della frittata fatta con 12 uova. Troppe anche per il duce degli italiani».