2023-02-04
Crisi post lockdown: ragazza suicida
Altro gesto estremo di una giovane a Venezia: la diciannovenne era un talento del ballo, ma le chiusure avevano mandato in fumo i suoi progetti. «Non è più riuscita a reagire».Non è facile inventarsi la felicità. Neanche se hai 17 anni, sei ballerina e ti ritrovi finalista in un premio internazionale di danza classica, neanche se sei ammessa alla scuola di danza del teatro dell’Opera di Roma. Perché se poi arriva il lockdown e manda in fumo tutti i tuoi progetti, nulla è più scontato. E nulla è sembrato più scontato a Francesca T., giovane trevigiana che martedì si è tolta la vita nei giardini della Biennale a Venezia. Oltre a lei, Manuel, Lucas, Alessandro, Riccardo, la ragazza trovata senza vita in un bagno dello Iulm di Milano, il ragazzo che si è buttato sotto un treno a Mestrino, il ventenne che si è gettato nel fiume Reno: un susseguirsi quasi quotidiano, ormai, di gesti estremi di adolescenti, cui nessuno riesce a dare una spiegazione e, soprattutto, una risposta. Il sistema mediatico ha attribuito molti di questi suicidi al bullismo, al disagio rispetto all’omofobia, ai social network, ai telefonini. L’allarme si moltiplica, e anche i dati: un suicidio ogni 11 minuti, un suicidio ogni 16 ore, «il suicidio è la seconda causa di morte tra i 15 e i 19 anni in Europa occidentale», sostiene l’Unicef, mentre la Fondazione Veronesi riporta che, nella stessa fascia di età sarebbe invece la quarta. L’unica certezza, in questi dati drammaticamente imprecisi, è che registrano tutti un’impennata dal lockdown in poi: +55%, e +75% di ricoveri di bambini, adolescenti e ragazzi. L’Osservatorio Suicidi Covid-19 ha provato a monitorare la situazione sulla base delle notizie di cronaca e ha contato, solo nel 2022, 595 suicidi e 598 tentati suicidi. Le richieste di aiuto sono quasi quadruplicate rispetto al periodo pre pandemico, come testimonia anche l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, che riferisce un importante aumento degli accessi per ideazione suicidaria (pensieri connessi al suicidio o alla sua pianificazione).Erano evitabili? Forse sì, come testimonia il mea culpa dei politici, rigorosamente non italiani, pentiti delle restrizioni imposte ai giovani in pandemia, non ultimo il ministro della salute tedesco Karl Lauterbach. Nel primo periodo di chiusura delle scuole - che in Italia è stato totale, a differenza degli altri Paesi Ue - hanno dominato il dibattito due pericolose fake news: la prima era quella che etichettava i bambini come «maligni amplificatori biologici», diffusa dalla virostar Roberto Burioni. Nelle case degli italiani i giovanissimi sono stati tenuti isolati anche dai loro stessi familiari impauriti: eppure, lo studio di Vò pubblicato su Nature, già ad aprile 2020, dal professor Andrea Crisanti, aveva riscontrato un tasso significativo di immunità proprio nella loro fascia di età. La seconda fake news ha colpito le scuole, dove i ragazzi vivono la fase più delicata della loro vita, l’adolescenza: è stato subito chiaro che le scuole non fossero affatto il primo setting di contagio, ma semmai uno degli ultimi. Lo studio italiano Gandini et. Al., pubblicato su Lancet, già a dicembre 2020 dimostrava che le scuole potevano e dovevano rimanere aperte. Non è servito a nulla: gli studenti italiani hanno subìto due anni di presenza a singhiozzo a scuola e tre anni con le mascherine, delle quali è stata ripetutamente dimostrata l’inefficacia in comunità. Colpevolizzati per tre anni, hanno inoltre dovuto portare sulle loro spalle tutto il peso della responsabilità: «Dovete vaccinarvi per proteggere i nonni». La pressione sociale, insomma, sembra essere la prima responsabile di questa tremenda crisi che giovani e adolescenti continuano a patire. Serve a poco il disclaimer riportato da tutti i media, che invita a consultare il Telefono Amico o uno psicologo: basterebbe far valere l’evidenza scientifica, e il buon senso, per capire che i ragazzi, privati di punti di riferimento cruciali come la socialità e la scuola, continuano a covare disagio e infelicità.