2024-08-28
No dell’Eliseo a un governo guidato dalla sinistra. Melénchon furioso
Jean-Luc Melénchon (Ansa)
Il leader di Lfi vuole chiedere la destituzione del presidente. Oggi altre consultazioni.La Francia non sarà governata da un esecutivo di sinistra targato Nfp, il Nouveau front populaire. La decisione è stata presa nella serata di lunedì dal presidente Emmanuel Macron. L’Eliseo lo ha annunciato in una nota nella quale è stata evocata l’esigenza di «stabilità istituzionale» che verrebbe a mancare con un governo formato da ministri Nfp e che verrebbe «immediatamente censurato dall’insieme degli altri gruppi presenti nell’Assemblea nazionale». La decisione di Macron ha mandato in bestia il leader de La France insoumise (Lfi) principale partito della coalizione Nfp, Jean-Luc Mélenchon, che ha annunciato via X la presentazione di una mozione di destituzione del presidente della Repubblica. La mossa di Mélenchon e compagni ha un significato più politico che pratico, visto che è molto difficile che Macron venga destituito. Questo perché, in questa materia, l’articolo 68 della Costituzione francese resta piuttosto vago, autorizzando la procedura di destituzione di un capo dello Stato solo «in caso di mancanza ai propri doveri manifestamente incompatibile con l’esercizio del suo mandato».Anche altri esponenti del Nouveau front populaire hanno protestato contro la decisione di Macron di chiudere la porta ad un esecutivo di sinistra. Dai microfoni di Bfm tv, il numero uno del Partito Comunista francese, Fabien Roussel, ha invitato i francesi a partecipare ad «una grande mobilitazione popolare». Lo stesso leader comunista è arrivato anche a fare un paragone tra l’ex presidente americano e Macron che è «un po’ come Trump» che «contesta il risultato delle urne». La leader dei Verdi, Marine Tondelier, ha denunciato la «pericolosa irresponsabilità democratica» di Macron che ha sciolto l’Assemblea nazionale «senza alcuna concertazione» e che rifiuta di riconoscere il risultato delle legislative anticipate.In giornata Lfi ha annunciato una grande manifestazione per il 7 settembre prossimo, «contro il colpo di forza» di Emmanuel Macron. L’ iniziativa è partita da varie organizzazioni studentesche e ha rapidamente ottenuto il sostegno anche di altre associazioni, come quella abortista del Planning familial. Più moderati i Socialisti che, per voce del loro segretario generale Pierre Jouvet, hanno deciso di non scendere in piazza «a questo stadio».L’appello alla piazza di Mélenchon e compagni è stato duramente contestato da Eric Ciotti, leader dei Républicains pro Marine Le Pen che, su X, lo ha paragonato alle «leghe anti parlamentari degli anni Trenta». Ciotti ha anche ricordato all’Nfp che «con il 30% dei deputati non ha alcuna maggioranza».E mentre gli esponenti della gauche francese di stracciavano le vesti perché non otterranno la guida del futuro esecutivo transalpino, Macron ha ripreso le consultazioni incontrando i rappresentanti del piccolo gruppo parlamentare Liot (Libertà, identità, oltremare e territori) e ha detto di voler discutere con «quelli che vogliono lavorare per l’interesse superiore del Paese». Oggi invece torneranno all’Eliseo gli esponenti dei Républicains che non si sono alleati a Le Pen. Proprio dal partito di quest’ultima è arrivata un’indicazione interessante. Il vicepresidente del Rassemblement national, Sébastien Chenu, ha dichiarato che la sua formazione non censurerà il futuro premier se quest’ultimo rispetterà alcune condizioni «sull’immigrazione, la sicurezza, il potere d’acquisto». Per il ministro dell’interno uscente Gérald Darmanin, invece «si potrebbe discutere di una coalizione con un socialista come Bernard Cazeneuve», già primo ministro alla fine del mandato di François Hollande, tra il 2016 e il 2017. Le parole di Chenu e Darmanin lasciano intravedere il lavorìo di trattativa e tattica politica che si sta svolgendo in queste ore nelle sedi dei partiti francesi. Il feuilleton continua.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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