2022-10-23
La crisi del gas dimostra che Berlino pensa soltanto a fare i suoi interessi
Le parole di Olaf Scholz e Robert Habeck, che si oppongono al debito comune Ue e smontano il già debole price cap, rappresentano l’ennesima prova del fatto che l’Italia non può aspettarsi nulla di buono dalla Germania.Al governo italiano Meloni I, appena insediato, servirebbe un’Europa che va in senso esattamente opposto a quello indicato, in questi ultimi giorni, dal cancelliere tedesco Olaf Scholz e dal suo ministro dell’Economia e del clima, Robert Habeck. All’Italia infatti servirebbe un’Europa che interviene a favore dei suoi Stati membri in difficoltà perché è consapevole che l’economia di tutti i Paesi è interdipendente da quella degli altri e fare male ad alcune è come tagliare l’albero sul quale si è seduti, mentre - evidentemente - alla Germania, e del resto lo ha dimostrato in tante occasioni - serve un’Europa che serva a sé stessa e faccia i propri interessi. Punto.C’eravamo illusi quando un po’ di giorni fa erano giunte, con almeno 20 anni di ritardo (a partire dalle proposte Prodi-Quadrio Curzio e Tremonti-Trichet dei primissimi anni Duemila), delle aperture della Germania nei confronti della possibilità di creare un debito pubblico europeo proprio con la funzione di essere utilizzato come strumento per far progredire le economie della Stati membri o con grandi investimenti o intervenendo nei momenti di crisi facendo da motorino di riavviamento delle economie in difficoltà. Un debito, quello pubblico europeo, certamente con un rating molto alto e al riparo anche da speculazioni e crisi come lo sono, invece, quelli nazionali, soprattutto quando sono elevati, come nel nostro caso. Certamente questa apertura della Germania avrebbe rappresentato una variazione sostanziale del suo atteggiamento nei confronti dell’Europa perché sarebbe passata dal badare e perseguire solo ed esclusivamente i suoi più o meno legali interessi, a perseguire quelli dell’Europa come unione di Stati diversi. Alla moneta unica, che da sola può fare quel che può fare, si sarebbe aggiunto un altro strumento fondamentale per tutta l’economia europea.Ma, come quando ci si risveglia da un sogno tutti sudati, pochissimi giorni fa il ministro tedesco dell’Economia e del clima se ne è uscito con delle affermazioni che, oltre a smentire questa linea, aggiungono un carico da novanta in senso contrario e cioè: noi tedeschi pensiamo ai nostri interessi e gli altri stiano a guardare. A proposito della crisi energetica e del caro bollette ha detto che «non servono nuovi fondi Ue per la crisi energetica». Non soddisfatto ha sostenuto l’intervento unilaterale di 200 miliardi della Germania a favore dei tedeschi - intervento criticato da molti altri Paesi - perché quello stesso «scudo» da 200 miliardi «garantirebbe stabilità» anche agli altri Paesi dell’Unione. In parole povere: se stiamo bene noi state bene tutti. Un’idiozia allo stato puro, un’affermazione che porterebbe uno studente del primo anno di economia a non superare l’esame, un’arroganza propria di chi presumendo di sé stesso chissà che o cosa, vuol far sentire la sua superiorità, una roba bambinesca e stupida. Forse dimentica, il ministro tedesco, che solo con l’Italia la sua Germania ha un interscambio commerciale di oltre 120 miliardi di lire l’anno del quale il caro Robert non può fare a meno e che senza in particolare la componentistica e la meccanica italiana in generale quel suo Paese non va proprio da nessuna parte. Come se non bastasse è intervenuto il suo compare, il cancelliere Scholz che, a proposito del tanto discusso e mai attuato price cap, cioè un tetto al prezzo del gas, ha sbugiardato la sempre più irrilevante Ursula von der Leyen - che invece di preoccuparsi di quel che succede in Italia con le elezioni dovrebbe occuparsi di quello che non succede in Germania, anche per causa sua - affermando che in realtà non si tratta di un price cap ma che vogliono solo limitare i picchi del prezzo del gas stesso. Sempre in parole povere: vediamo se serve e quanto ci serve - a noi tedeschi - e poi decidiamo se lo rendiamo un provvedimento vero e proprio, un intervento spot o non se ne fa nulla proprio. Questo contraddicendo, tra gli altri, Mario Draghi, al suo ultimo atto internazionale, ed Emmanuel Macron nel pieno dei suoi poteri.Per carità, che uno Stato persegua i suoi interessi è legittimo e sta nella stessa natura dei suoi obiettivi, ma se decide di entrare a far parte di un’Unione come quella europea il discorso cambia, o dovrebbe cambiare. No, evidentemente, il discorso per i tedeschi per bocca dei suoi massimi rappresentanti non cambia un bel fico secco. Ecco, questa è precisamente l’Europa della quale non abbiamo bisogno, quella che è stata definita l’«Europa matrigna», l’Europa a parole, l’Europa che è pronta ad alzare il ditino (Germania in testa, ma anche la Francia talvolta non scherza) su questioni irrilevanti e pianta la trave negli occhi ad alcuni Stati, insomma l’Europa a guida tedesca. E se la guida è franco-tedesca non è più zuppa ma pan bagnato, cioè lo stesso.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)