2023-01-03
Cina malata senza vaccini? I positivi che scoviamo hanno tosse e naso che cola
Pechino sarebbe nei guai perché non ha usato Pfizer. Ma con l’arrivo di Omicron pure qui si scatenò il panico. E le virostar ammettono: casi blandi tra i viaggiatori.Il fallimento del modello cinese di gestione della pandemia ha dato la stura a una barocca liturgia del vaccino. Non vogliamo negare che i medicinali a mRna abbiano protetto le fasce di popolazione più fragili, le quali, sotto il regime di Xi Jinping, si sono ritrovate pressoché indifese dopo le riaperture. Ma poi uno legge l’intervista al Giornale del virologo Massimo Clementi. E rimane confuso.Il professore osserva che Pechino ha usato immunizzanti «poco efficaci», coprendo «meno del 30%» degli abitanti. Ma poco dopo ammette: «Anche i cinesi infettati da Omicron che sono stati sequenziati in Italia accusano sintomi che colpiscono le vie aeree superiori. Così come avviene da noi». Scusate, abbiamo capito bene? Il problema della Cina è che è vaccinata poco e male. Però i cinesi contagiati, quando non sono completamente asintomatici, avvertono giusto qualche blando disturbo. «Come avviene da noi», dove quasi tutti sono vaccinati e quasi tutti hanno aggiunto, a quella indotta dalle punture, l’immunità garantita dal contatto diretto con il virus. Sì, è improbabile che tra i viaggiatori dal Dragone figurino ottantenni malati. Tuttavia, costoro restano a rischio pure da noi, tanto che è ripartito il martellamento sulle quarte (e quinte) dosi. Benché il secondo booster, trascorsi 120 giorni dall’iniezione, lasci chi lo riceve in condizioni peggiori degli altri vaccinati a vario titolo - lo mostrano i dati dell’Iss. Quindi, persino i fiori all’occhiello della tecnologia occidentale non bastano a schermare i più esposti al Covid grave; mentre gli adulti senza patologie, rimpinzati di mRna o meno, con Omicron, tendenzialmente si buscano la consueta influenza.Non sappiamo con certezza cosa stia avvenendo in Cina. Clementi ritiene che, entro un mese, «si assisterà a una normalizzazione» del Sars-Cov-2. Da ciò che trapela - e che va preso con le pinze - i casi sarebbero già in calo nella capitale, a Shanghai, Chongqing e Guangzhou. Sappiamo invece con certezza ciò che è avvenuto negli Stati democratici e liberali, dopo la comparsa della variante sudafricana. A dispetto dell’alto tasso d’immunità da vaccino, da infezione, o ibrida. Che essa, in ultima istanza, ha consolidato.A dicembre 2021, stando almeno ai conteggi dell’allora commissario Francesco Paolo Figliuolo, l’Italia vantava quasi il 90% di popolazione coperta. In più, vigevano parecchie restrizioni: mascherine, green pass, profilassi coatta per medici, insegnanti e forze dell’ordine, zone a colori. Eppure, Omicron ci travolse. Gettando nel panico il governo di Mario Draghi. Entro gennaio 2022, ci siamo ritrovati con il super green pass imposto quasi ovunque, il lockdown per i renitenti, l’obbligo vaccinale esteso agli over 50, le discoteche chiuse. Per carità: in proporzione, l’aumento esponenziale delle infezioni non fu seguito da un’uguale impennata di ospedalizzazioni e morti. Solo che la capillare campagna d’inoculazioni non ci mise al riparo da allarmismi e inasprimenti dei diktat sanitari. Un esempio ancor più calzante è l’Australia, vero capofila del Covid zero in Occidente. Ebbene: abbandonato quel sistema ad agosto 2021 e sebbene avesse a disposizione i farmaci di Pfizer e Moderna, la nazione oceanica fu investita dall’ondata di Omicron esattamente come la Cina oggi. Canberra schivò l’ecatombe: avendo somministrato più dosi degli Stati Uniti, a fronte del maggior numero di infezioni, pianse meno vittime che in America. Ma non ne uscì affatto illesa. Perciò è lecito chiedersi: la catastrofe dell’autocrazia orientale dipende solo dalle lacune nella vaccinazione? O un ruolo lo gioca l’inadeguatezza delle cure e dei servizi ospedalieri? Quel vulnus che ha reso pure l’Italia una pecora nera?E poi c’è la questione delle varianti. Il motivo ufficiale per cui stiamo testando i passeggeri provenienti dalla Cina è che vogliamo monitorare l’eventuale importazione di ceppi più contagiosi o letali. Dopodiché, su Repubblica, leggiamo che Bf.7, sottovariante di Omicron che assedia Shanghai e che sarebbe «pericolosa», provoca «principalmente sintomi respiratori alle vie aeree superiori», tipo «febbre, tosse, mal di gola, rinorrea (naso che cola), dolori muscolari e affaticamento», al limite «vomito e diarrea». Valgono gli stessi dubbi sollevati per l’intervista di Clementi. Il quale, per di più, spiega che Omicron, nel Dragone, l’abbiamo esportata noi. E la variante killer che dovrebbe svilupparsi in Cina, a causa dell’elevatissimo tasso di trasmissione del Covid? Per adesso, non esiste. Nel frattempo, il Wall Street Journal ha messo in fila gli studi che indagano su come le vaccinazioni contribuiscano a far affermare i ceppi mutanti. Lo schermo vaccinale crea una pressione selettiva. E i virus come Omicron, bravi a eludere l’immunità, sono quelli che alla fine sopravvivono. Non è un male, perché di solito, a restare in circolazione, sono le loro versioni meno aggressive. Ma sarebbe un paradosso se dovessimo temere la nuova fantomatica variante proprio perché siamo vaccinatissimi. O nonostante questo. Che forse è anche più assurdo.
Kim Jong-un (Getty Images)
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)