2024-04-02
Dal Covid all’etica: le idee «eretiche» che la Consulta non vuol far vedere
Nicolò Zanon (Imagoeconomica). Nel riquadro la cover del suo libro «Le opinioni dissenzienti in Corte costituzionale»
Nel libro di Nicolò Zanon le opinioni dissenzienti mai venute alla luce. Una lezione di laicità contro i giudici sacerdoti della democrazia.C’è un sottile «inganno» all’origine delle sentenze della Corte costituzionale, il cui peso non può certo essere sottovalutato a livello culturale, politico e - ovviamente - legislativo-giudiziario: esse vengono accolte come inevitabili. Perché? Ovviamente il fatto di essere inappellabili conferisce ai pronunciamenti delle toghe supreme un livello giuridico non rivedibile, ma un conto è non essere appellabili, un altro non essere «discutibili». Concorrono a costituire quest’aura magica tre fattori essenziali: in primis l’ordinamento italiano, che attribuisce a tutti i 15 giudici (oggi sono 14, per la verità) la responsabilità di ogni sentenza, facendo formalmente scomparire pur ovvi elementi di dissenso; secondariamente, un’opinione pubblica mediamente abituata a una riverenza sacramentale nell’accoglimento dei pronunciamenti, specie quelli utilizzabili come arma politica (lodo Alfano, caso Cappato, legislazione Covid, solo per fare esempi relativamente recenti). Il terzo è l’assenza - a differenza di molti altri ordinamenti - della cosiddetta dissenting opinion, ovvero la formalizzazione scritta delle ragioni di dissenso rispetto all’opinione prevalente nella Corte: ragioni ovviamente legittime, ma non condivise dalla maggioranza dei giudici.Questo terzo fattore è in realtà forse il più importante, e parziale causa degli altri due. Almeno, è il convincimento rafforzato con decisione dalla lettura dell’ultimo lavoro di Nicolò Zanon, già vicepresidente della Corte costituzionale voluto nel 2014 da Giorgio Napolitano. Del testo (Le opinioni dissenzienti in Corte costituzionale, 20 euro, Zanichelli) si è già occupato su queste colonne Alessandro Rico, nella parte dedicata al pronunciamento sull’obbligo vaccinale imposto anche a una psicologa che operava on-line, cioè senza contatto col paziente. Ma l’intera opera, pensata per ambiti accademici, merita un cenno più allargato: sia perché il tema della dissenting opinion è centrale in sé, sia per l’incredibile gogna preventiva cui è stato sottoposto un volume universitario, a riprova che qualcosa di gravemente problematico sta accadendo alla libertà d’espressione, specie in ambito formativo-educativo.Prima ancora dell’uscita, infatti, Repubblica ha di fatto accusato Zanon di aver violato gli interna corporis della Corte, e lo stesso presidente, professor Augusto Barbera, ha fatto un riferimento neppure troppo velato all’esercizio intellettuale dell’ex collega. Che c’è di così «pericoloso» o addirittura presuntivamente illecito nelle 156 pagine del libro? La Verità né da qui un superficiale sunto, nella convinzione che all’importanza del testo in sé si unisca quella conferitagli per converso alla congiura del silenzio fatta calare su di esso. Zanon fa una premessa proprio sulla dissenting opinion, ragionando sul fatto che la sua assenza concorre a convincere che esista «una e una sola decisione “giusta”, quella che si esprime nella decisione della Corte, e che vincola tutti i suoi componenti». Tale efficace sintesi, applicazione di certo positivismo giuridico, ha immediato riscontro nella discussione pubblica italiana: non è infrequente leggere appelli al Parlamento che dovrebbe «ascoltare» i giudici, «adeguare» l’azione legislativa ai «suggerimenti» di una Corte che si dà per scontato sia più «avanzata» rispetto a deputati e senatori, preoccupati di inseguire il consenso. Del resto, quello di «cooperare» indirizzando l’azione legislativa è un compito che i giudici costituzionali si sono auto-assegnati da lustri, rivendicando pubblicamente un ruolo progressivo nella lettura della Carta che legga tempi, sensibilità e mutazioni della pubblica opinione.Zanon rappresenta una posizione filosofico-giuridica agli antipodi (che potremmo collocare nell’alveo dell’originalismo), la quale assegna al giudice un compito più circoscritto ma non certo meno importante: interpretare la Carta così com’è, evitando per esempio l’introduzione di «nuovi diritti» o il perseguimento di agende politiche arbitrariamente messe in capo al potere giudiziario. Come egli stesso scrive, è «seguace di dottrine che hanno l’obiettivo di limitare l’arbitrarietà dell’interpretazione giudiziale». Tuttavia, per tornare al punto, la battaglia sulla dissenting è indipendente da questa sensibilità. È una faccenda di idee e di libertà, a prescindere dal «verso» in cui sia impiegata: conoscere l’esistenza, le riflessioni, gli argomenti utilizzati a fondamento di un’opinione giuridica opposta a quella maggioritaria è o no un bene? Il libro, convincentemente, scommette su una risposta positiva, memore delle illuminate parole di Justice Hughes, che si appellava (1936) all’«intelligenza dei giorni futuri», certo che dopo anni quelle argomentazioni avrebbero potuto costituire il punto di partenza di pareri diversi, se non del tutto opposti.È uno strano paradosso quello per cui la nostra mentalità comune, che tende a considerare tutto soggettivo, mutevole e relativo, paia quasi spaventata di fronte a idee diverse, che potrebbero un giorno divenire maggioritarie. Balza all’occhio, indipendentemente dal giudizio che se ne possa dare, il ribaltamento di «Roe vs Wade» (1973), la celeberrima sentenza Usa che sanciva l’aborto come diritto costituzionale, ribaltata perché alcune delle perplessità (delle dissenting opinions) espresse già ai tempi sono poi diventate maggioritarie. Una di queste peraltro era condivisa da una vera star della corrente giuridica liberal, la giudice suprema Ruth Bader Ginsburg (1933-2020), che aveva spiegato di ritenere che «Roe» si fosse spinta «too fast, and too far» («troppo velocemente, e troppo lontano»).Il secondo merito di Zanon, oltre alla solida perorazione della dissenting come antidoto a una «democrazia giudiziaria», è di tradurre in pratica nel libro stesso la proposta. Esso infatti è costituito da dieci casi di opinioni dissenzienti «mai venute alla luce»: è davvero difficile affermare che leggerle non costituisca un arricchimento, e soprattutto non testimoni una laica rassicurazione, in uno Stato che si vuole liberale: è possibile pensarla diversamente, è possibile ragionare in altro modo, non c’è alcuna neutra inevitabilità nei pronunciamenti della Corte (il che come ovvio non intacca il potere effettuale delle sentenze stesse). Che un libro così possa spaventare è semmai indice della sua necessità. Ecco dunque tre tra le idee che molti non vogliono si possano leggere.Referendum sulla vitaNel 2022, la Consulta ha rigettato un quesito referendario piuttosto «estremo» che puntava alla legittimazione parziale dell’omicidio del consenziente: uno step ulteriore rispetto al suicidio assistito, che avrebbe liberalizzato l’atto di togliere la vita a una persona che ne facesse esplicita richiesta. La motivazione di fondo è stata che il quesito avrebbe toccato una legge di derivazione costituzionale a tutela della vita, ritenuto qui un paletto non negoziabile. La dissenting opinion di Zanon non sposa il merito della modifica proposta, ma contesta il metodo con cui la Corte si è arrogata un ruolo di katechon, e per cui «ha creduto suo dovere operare moralisticamente e paternalisticamente a difesa della società contro un male possibile», l’eutanasia. Qui l’ex vicepresidente ha gioco facile a rilevare la plateale incoerenza col pronunciamento - di tre anni precedente - sul «caso Cappato», dove «quindici illuminati signori» hanno deciso «facendo dire alla Costituzione anche ciò che essa proprio non dice», indicando al Parlamento come e in che termini anche temporali (poi disattesi) legiferare sul suicidio assistito. La sua opinione dissenziente avrebbe dunque accolto il referendum: semmai la Corte avrebbe potuto definire incostituzionale la legge da esso derivante, ma non avrebbe dovuto impedire al popolo di esprimersi, specie dopo aver essa stessa spinto un’attività legislativa che molti possono ritenere altrettanto in contrasto col principio della difesa della vita.immigrati, reati, permessiNel 2023, la Consulta ha ritenuto incostituzionale l’automatismo che disponeva per legge di non rinnovare il permesso di soggiorno a un immigrato resosi colpevole di spaccio e vendita di merce contraffatta, stabilendo che l’autorità giudiziaria debba valutare caso per caso se rinnovare o meno il permesso stesso. Zanon «rispettosamente dissente», notando una discutibile «evoluzione» della stessa giurisprudenza costituzionale precedente, fatta su esplicita sequela a una pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, e soprattutto una tappa della «battaglia contro le regole decise dal legislatore e a favore del potere valutativo del giudice».lo stato d’eccezione Sempre nel 2023, la Corte, adita dal tribunale di Padova, ha discusso un ricorso sulla costituzionalità della decisione di demandare a una circolare ministeriale il momento in cui scattasse l’obbligo vaccinale per un sanitario già positivo al Covid (un caso statisticamente non proprio raro). Speranza e soci stabilirono infatti di esimere da una delle dosi obbligatorie chi fosse risultato positivo e poi guarito, affidando a una circolare le scadenze temporali degli obblighi «differiti» causa immunità naturale. La Consulta ha respinto il ricorso, ritenendo lecita la strada scelta dall’esecutivo. L’opinione dissenziente coglie un punto infuocato (basti pensare alle libertà di movimento compresse con Dpcm da Giuseppe Conte), e ritiene sia «costituzionalmente illegittima» la scelta di affidare a una legislazione secondaria non già «un mero dato tecnico» ma «stabilire a partire da quale momento il soggetto che non adempie all’obbligo perde il lavoro e la retribuzione».Come dimostra il libro, su questi - e altri - casi, ci sono argomentazioni che avrebbero potuto affinare il tessuto giuridico e culturale (per non parlare del dibattito pubblico, spesso dogmatico e polarizzato), anche laddove fossero rimaste minoritarie, e che oggi il nostro orientamento rende impossibile codificare in tempo reale. Tale impedimento (che proprio per questo viene difeso con unghie e denti) non fa che ammantare le decisioni della Corte di una «inevitabilità» che esercita una pressione politica innegabile (e del resto rivendicata) sul Parlamento. C’è un piccolo problema: questo spostamento del potere dalla legislazione alla giurisdizione avviene fuori dal dettato costituzionale che la Corte stessa dovrebbe garantire: la perdita di sovranità avviene anche e soprattutto con silenziosi spostamenti simili. Ce n’è abbastanza per capire che le quattro nomine parlamentari di altrettanti giudici costituzionali che la maggioranza dovrà decidere entro l’anno solare sono forse il punto più delicato e potenzialmente incisivo dell’intera legislatura.