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2025-04-16
Ritardi di produzione e dazi: costi dei biglietti aerei ancora alle stelle
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Non è soltanto speculazione sulla domanda che lievita, tanto che il comparto cresce a due cifre in quasi tutto il mondo e il numero di passeggeri trasportati si sta avvicinando ai 5 miliardi, (4,98) record assoluto. Ma anche per l'effetto provocato dalla produzione di nuovi aeroplani da parte dei costruttori perennemente in ritardo sui tempi di consegna previsti dalla ripresa post-covid a oggi.
Risultato: le compagnie di tutto il mondo stanno aspettando la consegna oltre 15.000 nuovi aeromobili e senza questi non possono attivare nuovi collegamenti né aumentare la frequenza di quelli già effettuati. A dirlo non sono soltanto le previsioni fatte dai colossi del comparto come Boeing e Airbus, da Honeywell per le strumentazioni e gli impianti, e anche i costruttori di motori come Pratt & Whitney, Rolls'Royce e Safran.
Nel mondo l'aviazione non cresce tutta alla stessa velocità: se si guarda alla Cina, la flotta delle sue compagnie dovrebbe aumentare del 40% entro il 2035, ovvero quasi duplicare il numero di aeromobili superando la soglia di 7.000 aeroplani. Ma altre nazioni, come l'India e le Filippine arriveranno a registrare un incremento del 50%. Ma per costruire tutti questi aeroplani serve tempo e non soltanto per gli assemblaggi e la costruzione in generale, quanto per trovare e addestrare le maestranze, nonché per disporre dei materiali (alluminio e carbonio in particolare, e i dazi non aiutano), infine ricevere le componenti altamente tecnologiche da una filiera che, invece, non riesce a crescere con lo stesso ritmo. A complicare la situazione anche l'aumento della popolazione mondiale di quella che possiamo definire la classe media, la quale è disposta a spendere denaro per viaggiare.
Dalle nostre parti, talia, Spagna, Francia, Portogallo e Regno Unito, l'aumento sarà più contenuto ma comunque significativo sia perché il mercato è dinamico, sia perché esiste un saturazione delle rotte che non permette un crescita superiore al 4%. Ed anche perché in Europa siamo ancora abituati alle low-cost che hanno caratterizzato il volo commerciale popolare tra la fine degli anni Novanta e il 2019, un sistema che cerca di ritornare in essere m a si scontra contro la necessità di usare aeromobili più moderni e meno inquinanti, con l'uso del carburante sostenibile (Saf) più costoso e l'aumento del costo del lavoro per le categorie degli operatori aeroportuali. Oceania, Sud America e Africa crescono meno di noi, ma tutti gli analisti sono concordi nel dire che per il prossimo decennio il numero di aeroplani in servizio nel mondo raggiungerà le 40.000 unità su 75.000 rotte. Significa che oltre ai circa 1.300 aeromobili commerciali prodotti nel mondo l'anno scorso (dati Honeywell), per soddisfare le richieste ne servirebbero quasi 2.000 in più che non si riusciranno a completare. Così Boeing (Usa), Airbus (Eu), Bombardier (Canada), Embraer (Brasile) e anche Tupolev e Superjet (Russia), accusano ritardi nelle forniture di parti e sono costrette a non rispettare i tempi di consegna, sovente pagando anche le penali ai clienti. Se prendiamo come esempio Airbus, che oggi produce più di Boeing, se nel 2019 riusciva a completare poco più di 50 velivoli al mese, ora non arriva a 48 nonostante le intenzioni, proprio per mancanza di personale qualificato e per la discontinuità delle forniture della catena di approvvigionamento. Su tutto, il fatto che l'aviazione sia l'industria da sempre più globalizzata che esiste e le tensioni internazionali rendono difficile mantenere costanti le forniture. Dall'altra parte dell'Oceano Atlantico, Boeing nonostante la soluzione delle vertenze che hanno portato agli scioperi dell'autunno scorso e il superamento della crisi provocata dal caso degli incidenti ai B-737 Max, dovrebbe oggi sfornare 56 aeroplani al mese, è costretta dall'autorità aeronautica statunitense ad arrivare a non superare 48 unità.
Ma se cercare di aumentare fino al doppio la produzione di nuovi aerei non è affatto semplice, mantenere in linea di volo aeromobili più vecchi significa spendere di più in manutenzione e carburante. Magari soltanto di qualche punto percentuale, ma se si considerano tutti i movimenti giornalieri di una flotta il numero che si ottiene è elevato. Per le compagnie, se si considera anche il costo della manutenzione, in aumento, quello dei diritti di rotta, del carburante e in alcuni casi dell'allungamento delle rotte causato dalle guerre, la marginalità si è ridotta e quindi il costo dei biglietti è stato aumentato nonostante il prezzo del carburante tradizionale sia rimasto quasi invariato. Tra sostituzioni di aerei che arrivano in ritardo, nuove rotte che non si vogliono attivare, mancanza di personale (anche equipaggi), i biglietti disponibili non soddisfano la domanda e i costi aumentano. Più si vola, più frequenti sono le operazioni di manutenzione da fare e più rapidamente si dovranno sostituire gli aeroplani, e il cane si morde la coda. Dal punto di vista della formazione, i giovani che frequentano le scuole per manutentori, che sono corsi para-universitari di tre anni, sono pochi per varie ragioni ma per due motivi in particolare: sono pochi i giovani di 18-21 anni rispetto alle generazioni precedenti; non tutti ambiscono a un lavoro che, seppur ben retribuito i alcune zone del mondo, implica turni, operazioni meccaniche in officina e un continuo aggiornamento a ritmi maggiori rispetto ad altre professioni. Infine, le scuole per meccanici aeronautici sono ancora poche e le classi non possono essere particolarmente numerose proprio per consentire l'apprendimento delle necessarie competenze. Il vecchio adagio dell'aviazione che recita come la sicurezza derivi dall'affidabilità e questa dal tempo è sempre valido. E ogni volta che l'uomo ha cercato una scorciatoia sono accaduto disastri. Un problema complesso non può quindi avere una soluzione semplice e immediata, anche se Airbus sta cercando di costruire aeroplani con un solo pilota a bordo e sistemi di manutenzione automatizzati. C'è chi propone di tornare ai viaggi intercontinentali con uno o più scali, e ciò abbasserebbe i costi delle singole tratte; chi sollecita trasporti regionali a corto raggio con aeroplani più piccoli e chi di semplificare le regole. Ma come abbiamo detto, serve comunque tempo e, intanto, i biglietti costano sempre un po' di più e ci tocca pagare.
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Lasciate ogni speranza voi che viaggiate in aereo. Anche quest'anno, ve ne sarete accorti, il costo dei biglietti aerei sta aumentando e il fenomeno è tanto più marcato quanto avanza la bella stagione.Non è soltanto speculazione sulla domanda che lievita, tanto che il comparto cresce a due cifre in quasi tutto il mondo e il numero di passeggeri trasportati si sta avvicinando ai 5 miliardi, (4,98) record assoluto. Ma anche per l'effetto provocato dalla produzione di nuovi aeroplani da parte dei costruttori perennemente in ritardo sui tempi di consegna previsti dalla ripresa post-covid a oggi.Risultato: le compagnie di tutto il mondo stanno aspettando la consegna oltre 15.000 nuovi aeromobili e senza questi non possono attivare nuovi collegamenti né aumentare la frequenza di quelli già effettuati. A dirlo non sono soltanto le previsioni fatte dai colossi del comparto come Boeing e Airbus, da Honeywell per le strumentazioni e gli impianti, e anche i costruttori di motori come Pratt & Whitney, Rolls'Royce e Safran.Nel mondo l'aviazione non cresce tutta alla stessa velocità: se si guarda alla Cina, la flotta delle sue compagnie dovrebbe aumentare del 40% entro il 2035, ovvero quasi duplicare il numero di aeromobili superando la soglia di 7.000 aeroplani. Ma altre nazioni, come l'India e le Filippine arriveranno a registrare un incremento del 50%. Ma per costruire tutti questi aeroplani serve tempo e non soltanto per gli assemblaggi e la costruzione in generale, quanto per trovare e addestrare le maestranze, nonché per disporre dei materiali (alluminio e carbonio in particolare, e i dazi non aiutano), infine ricevere le componenti altamente tecnologiche da una filiera che, invece, non riesce a crescere con lo stesso ritmo. A complicare la situazione anche l'aumento della popolazione mondiale di quella che possiamo definire la classe media, la quale è disposta a spendere denaro per viaggiare.Dalle nostre parti, talia, Spagna, Francia, Portogallo e Regno Unito, l'aumento sarà più contenuto ma comunque significativo sia perché il mercato è dinamico, sia perché esiste un saturazione delle rotte che non permette un crescita superiore al 4%. Ed anche perché in Europa siamo ancora abituati alle low-cost che hanno caratterizzato il volo commerciale popolare tra la fine degli anni Novanta e il 2019, un sistema che cerca di ritornare in essere m a si scontra contro la necessità di usare aeromobili più moderni e meno inquinanti, con l'uso del carburante sostenibile (Saf) più costoso e l'aumento del costo del lavoro per le categorie degli operatori aeroportuali. Oceania, Sud America e Africa crescono meno di noi, ma tutti gli analisti sono concordi nel dire che per il prossimo decennio il numero di aeroplani in servizio nel mondo raggiungerà le 40.000 unità su 75.000 rotte. Significa che oltre ai circa 1.300 aeromobili commerciali prodotti nel mondo l'anno scorso (dati Honeywell), per soddisfare le richieste ne servirebbero quasi 2.000 in più che non si riusciranno a completare. Così Boeing (Usa), Airbus (Eu), Bombardier (Canada), Embraer (Brasile) e anche Tupolev e Superjet (Russia), accusano ritardi nelle forniture di parti e sono costrette a non rispettare i tempi di consegna, sovente pagando anche le penali ai clienti. Se prendiamo come esempio Airbus, che oggi produce più di Boeing, se nel 2019 riusciva a completare poco più di 50 velivoli al mese, ora non arriva a 48 nonostante le intenzioni, proprio per mancanza di personale qualificato e per la discontinuità delle forniture della catena di approvvigionamento. Su tutto, il fatto che l'aviazione sia l'industria da sempre più globalizzata che esiste e le tensioni internazionali rendono difficile mantenere costanti le forniture. Dall'altra parte dell'Oceano Atlantico, Boeing nonostante la soluzione delle vertenze che hanno portato agli scioperi dell'autunno scorso e il superamento della crisi provocata dal caso degli incidenti ai B-737 Max, dovrebbe oggi sfornare 56 aeroplani al mese, è costretta dall'autorità aeronautica statunitense ad arrivare a non superare 48 unità.Ma se cercare di aumentare fino al doppio la produzione di nuovi aerei non è affatto semplice, mantenere in linea di volo aeromobili più vecchi significa spendere di più in manutenzione e carburante. Magari soltanto di qualche punto percentuale, ma se si considerano tutti i movimenti giornalieri di una flotta il numero che si ottiene è elevato. Per le compagnie, se si considera anche il costo della manutenzione, in aumento, quello dei diritti di rotta, del carburante e in alcuni casi dell'allungamento delle rotte causato dalle guerre, la marginalità si è ridotta e quindi il costo dei biglietti è stato aumentato nonostante il prezzo del carburante tradizionale sia rimasto quasi invariato. Tra sostituzioni di aerei che arrivano in ritardo, nuove rotte che non si vogliono attivare, mancanza di personale (anche equipaggi), i biglietti disponibili non soddisfano la domanda e i costi aumentano. Più si vola, più frequenti sono le operazioni di manutenzione da fare e più rapidamente si dovranno sostituire gli aeroplani, e il cane si morde la coda. Dal punto di vista della formazione, i giovani che frequentano le scuole per manutentori, che sono corsi para-universitari di tre anni, sono pochi per varie ragioni ma per due motivi in particolare: sono pochi i giovani di 18-21 anni rispetto alle generazioni precedenti; non tutti ambiscono a un lavoro che, seppur ben retribuito i alcune zone del mondo, implica turni, operazioni meccaniche in officina e un continuo aggiornamento a ritmi maggiori rispetto ad altre professioni. Infine, le scuole per meccanici aeronautici sono ancora poche e le classi non possono essere particolarmente numerose proprio per consentire l'apprendimento delle necessarie competenze. Il vecchio adagio dell'aviazione che recita come la sicurezza derivi dall'affidabilità e questa dal tempo è sempre valido. E ogni volta che l'uomo ha cercato una scorciatoia sono accaduto disastri. Un problema complesso non può quindi avere una soluzione semplice e immediata, anche se Airbus sta cercando di costruire aeroplani con un solo pilota a bordo e sistemi di manutenzione automatizzati. C'è chi propone di tornare ai viaggi intercontinentali con uno o più scali, e ciò abbasserebbe i costi delle singole tratte; chi sollecita trasporti regionali a corto raggio con aeroplani più piccoli e chi di semplificare le regole. Ma come abbiamo detto, serve comunque tempo e, intanto, i biglietti costano sempre un po' di più e ci tocca pagare.
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L’accordo è stato siglato con Certares, fondo statunitense specializzato nel turismo e nei viaggi, nome ben noto nel settore per American express global business travel e per una rete di partecipazioni che abbraccia distribuzione, servizi e tecnologia legata alla mobilità globale. Il piano è robusto: una joint venture e investimenti complessivi per circa un miliardo di euro tra Francia e Regno Unito.
Il primo terreno di gioco è Trenitalia France, la controllata con sede a Parigi che negli ultimi anni ha dimostrato come la concorrenza sui binari francesi non sia più un tabù. Oggi opera nell’Alta velocità sulle tratte Parigi-Lione e Parigi-Marsiglia, oltre al collegamento internazionale Parigi-Milano. Dal debutto ha trasportato oltre 4,7 milioni di passeggeri, ritagliandosi il ruolo di secondo operatore nel mercato francese. A dominarlo il monopolio storico di Sncf il cui Tgv è stato il primo treno super-veloce in Europa. Intaccarne il primato richiede investimenti e impegno. Il nuovo capitale messo sul tavolo servirà a consolidare la presenza di Fs non solo in Francia, ma anche nei mercati transfrontalieri. Il progetto prevede l’ampliamento della flotta fino a 19 treni, aumento delle frequenze - sulla Parigi-Lione si arriverà a 28 corse giornaliere - e la realizzazione di un nuovo impianto di manutenzione nell’area parigina. A questo si aggiunge la creazione di centinaia di nuovi posti di lavoro e il rafforzamento degli investimenti in tecnologia, brand e marketing. Ma il vero orizzonte strategico è oltre il Canale della Manica. La partnership punta infatti all’ingresso sulla rotta Parigi-Londra entro il 2029, un corridoio simbolico e ad altissimo traffico, finora appannaggio quasi esclusivo dell’Eurostar. Portare l’Alta velocità italiana su quella linea significa non solo competere su prezzi e servizi, ma anche ridisegnare la geografia dei viaggi europei, offrendo un’alternativa all’aereo.
In questo disegno Certares gioca un ruolo chiave. Il fondo americano non si limita a investire capitale, ma mette a disposizione la rete di distribuzione e le società in portafoglio per favorire la transizione dei clienti business verso il treno ad Alta velocità. Parallelamente, l’accordo guarda anche ad altro. Trenitalia France e Certares intendono promuovere itinerari integrati che includano il treno, semplificare gli strumenti di prenotazione e spingere milioni di viaggiatori a scegliere la ferrovia come modalità di trasporto preferita, soprattutto sulle medie distanze. L’operazione si inserisce nel piano strategico 2025-2029 del gruppo Fs, che punta su una crescita internazionale accelerata attraverso alleanze con partner finanziari e industriali di primo piano. Sarà centrale Fs International, la divisione che si occupa delle attività passeggeri fuori dall’Italia. Oggi vale circa 3 miliardi di euro di fatturato e conta su 12.000 dipendenti.
L’obiettivo, come spiega un comunicato del gruppo, combinare l’eccellenza operativa di Fs e di Trenitalia France con la potenza commerciale e distributiva globale di Certares per trasformare la Francia, il corridoio Parigi-Londra e i futuri mercati della joint venture in una vetrina del trasporto europeo. Un’Europa che viaggia veloce, sempre più su rotaia, e che riscopre il treno non come nostalgia del passato, ma come infrastruttura del futuro.
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Brigitte Bardot guarda Gunter Sachs (Ansa)
Ora che è morta, la destra la vorrebbe ricordare. Ma non perché in passato aveva detto di votare il Front National. Semplicemente perché la Bardot è stata un simbolo della Francia, come ha chiesto Eric Ciotti, del Rassemblement National, a Emmanuel Macron. Una proposta scontata, alla quale però hanno risposto negativamente i socialisti. Su X, infatti, Olivier Faure ha scritto: «Gli omaggi nazionali vengono organizzati per servizi eccezionali resi alla Nazione. Brigitte Bardot è stata un'attrice emblematica della Nouvelle Vague. Solare, ha segnato il cinema francese. Ma ha anche voltato le spalle ai valori repubblicani ed è stata pluri-condannata dalla giustizia per razzismo». Un po’ come se esser stata la più importante attrice degli anni Cinquanta e Sessanta passasse in secondo piano a causa delle sue scelte politiche. Come se BB, per le sue idee, non facesse più parte di quella Francia che aveva portato al centro del mondo. Non solo nel cinema. Ma anche nel turismo. Fu grazie a lei che la spiaggia di Saint Tropez divenne di moda. Le sue immagini, nuda sulla riva, finirono sulle copertine delle riviste più importanti dell’epoca. E fecero sì che, ricchi e meno ricchi, raggiungessero quel mare limpido e selvaggio nella speranza di poterla incontrare. Tra loro anche Gigi Rizzi, che faceva parte di quel gruppo di italiani in cerca di belle donne e fortuna sulla spiaggia di Saint Tropez. Un amore estivo, che però lo rese immortale.
È vero: BB era di destra. Era una femmina che non poteva essere femminista. Avrebbe tradito sé stessa se lo avesse fatto. Del resto, disse: «Il femminismo non è il mio genere. A me piacciono gli uomini». Impossibile aggiungere altro.
Se non il dispiacere nel vedere una certa Francia voltarle le spalle. Ancora una volta. Quella stessa Francia che ha dimenticato sé stessa e che ha perso la propria identità. Quella Francia che oggi vuole dimenticare chi, Brigitte Bardot, le ricordava che cosa avrebbe potuto essere. Una Francia dei francesi. Una Francia certamente capace di accogliere, ma senza perdere la propria identità. Era questo che chiedeva BB, massacrata da morta sui giornali di sinistra, vedi Liberation, che titolano Brigitte Bardot, la discesa verso l'odio razziale.
Forse, nelle sue lettere contro l’islamizzazione, BB odiò davvero. Chi lo sa. Di certo amò la Francia, che incarnò. Nel 1956, proprio mentre la Bardot riempiva i cinema mondiali, Édith Piaf scrisse Non, je ne regrette rien (no, non mi pento di nulla). Lo fece per i legionari che combattevano la guerra d’Algeria. Una guerra che oggi i socialisti definirebbero colonialista. Quelle parole di gioia possono essere il testamento spirituale di BB. Che visse, senza rimpiangere nulla. Vivendo in un eterno presente. Mangiando la vita a morsi. Sparendo dalla scena. Ora per sempre.
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«Gigolò per caso» (Amazon Prime Video)
Un infarto, però, lo aveva costretto ad una lunga degenza e, insieme, ad uno stop professionale. Stop che non avrebbe potuto permettersi, indebitato com'era con un orologiaio affatto mite. Così, pur sapendo che avrebbe incontrato la riprova del figlio, già inviperito con suo padre, Giacomo aveva deciso di chiedergli una mano. Una sostituzione, il favore di frequentare le sue clienti abituali, consentendogli con ciò un'adeguata ripresa. La prima stagione della serie televisiva era passata, perciò, dalla rabbia allo stupore, per trovare, infine, il divertimento e una strana armonia. La seconda, intitolata La sex gurue pronta a debuttare su Amazon Prime video venerdì 2 gennaio, dovrebbe fare altrettanto, risparmiandosi però la fase della rabbia. Alfonso, cioè, è ormai a suo agio nel ruolo di gigolò. Non solo. La strana alleanza professionale, arrivata in un momento topico della sua vita, quello della crisi con la moglie Margherita, gli ha consentito di recuperare il rapporto con il padre, che credeva irrimediabilmente compromesso. Si diverte, quasi, a frequentare le sue clienti sgallettate. Peccato solo l'arrivo di Rossana Astri, il volto di Sabrina Ferilli. La donna è una fra le più celebri guru del nuovo femminismo, determinata ad indottrinare le sue simili perché si convincano sia giusto fare a meno degli uomini. Ed è questa convinzione che muove anche Margherita, moglie in crisi di Alfonso. Margherita, interpretata da Ambra Angiolini, diventa un'adepta della Astri, una sua fedele scudiera. Quasi, si scopre ad odiarli, gli uomini, dando vita ad una sorta di guerra tra sessi. Divertita, però. E capace, pure di far emergere le abissali differenze tra il maschile e il femminile, i desideri degli uni e le aspettative, quasi mai soddisfatte, delle altre.
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La nuova applicazione, in parte accessibile anche ai non clienti, introduce servizi innovativi come un assistente virtuale basato su Intelligenza artificiale, attivo 24 ore su 24, e uno screening audiometrico effettuabile direttamente dallo smartphone. L’obiettivo è duplice: migliorare la qualità del servizio clienti e promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione uditiva, riducendo le barriere all’accesso ai controlli iniziali.
Il lancio avviene in un contesto complesso per il settore. Nei primi nove mesi dell’anno Amplifon ha registrato una crescita dei ricavi dell’1,8% a cambi costanti, ma il titolo ha risentito dell’andamento negativo che ha colpito in Borsa i principali operatori del comparto. Lo sguardo di lungo periodo restituisce però un quadro diverso: negli ultimi dieci anni il titolo Amplifon ha segnato un incremento dell’80% (ieri +0,7% fra i migliori cinque del Ftse Mib), al netto dei dividendi distribuiti, che complessivamente sfiorano i 450 milioni di euro. Nello stesso arco temporale, tra il 2014 e il 2024, il gruppo ha triplicato i ricavi, arrivando a circa 2,4 miliardi di euro.
Il progetto della nuova app è stato sviluppato da Amplifon X, la divisione di ricerca e sviluppo del gruppo. Con sedi a Milano e Napoli, Amplifon X riunisce circa 50 professionisti tra sviluppatori, data analyst e designer, impegnati nella creazione di soluzioni digitali avanzate per l’audiologia. L’Intelligenza artificiale rappresenta uno dei pilastri di questa strategia, applicata non solo alla diagnosi e al supporto al paziente, ma anche alla gestione delle esigenze quotidiane legate all’uso degli apparecchi acustici.
Accanto alla tecnologia, resta centrale il ruolo degli audioprotesisti, figure chiave per Amplifon. Le competenze tecniche ed empatiche degli specialisti della salute dell’udito continuano a essere considerate un elemento insostituibile del modello di servizio, con il digitale pensato come strumento di supporto e integrazione, non come sostituzione del rapporto umano.
Fondato a Milano nel 1950, il gruppo Amplifon opera oggi in 26 Paesi con oltre 10.000 centri audiologici, impiegando più di 20.000 persone. La prevenzione e l’assistenza rappresentano i cardini della strategia industriale, e la nuova Amplifon App si inserisce in questa visione come leva per ampliare l’accesso ai servizi e rafforzare la relazione con i pazienti lungo tutto il ciclo di cura.
Il rilascio della nuova applicazione è avvenuto in modo progressivo. Dopo il debutto in Francia, Nuova Zelanda, Portogallo e Stati Uniti, la app è stata estesa ad Australia, Belgio, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svizzera, con l’obiettivo di garantire un’esperienza digitale omogenea nei principali mercati del gruppo.
Ma l’innovazione digitale di Amplifon non si ferma all’app. Negli ultimi anni il gruppo ha sviluppato soluzioni come gli audiometri digitali OtoPad e OtoKiosk, certificati Ce e Fda, e i nuovi apparecchi Ampli-Mini Ai, miniaturizzati, ricaricabili e in grado di adattarsi in tempo reale all’ambiente sonoro. Entro la fine del 2025 è inoltre previsto il lancio in Cina di Amplifon Product Experience (Ape), la linea di prodotti a marchio Amplifon già introdotta in Argentina e Cile e oggi presente in 15 dei 26 Paesi in cui il gruppo opera.
Già per Natale il gruppo aveva lanciato la speciale campagna globale The Wish (Il regalo perfetto) Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, oggi nel mondo circa 1,5 miliardi di persone convivono con una forma di perdita uditiva (o ipoacusia) e il loro numero è destinato a salire a 2,5 miliardi nel 2050.
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