2020-10-09
Così parlò Depardieu: «I peggiori? I verdi»
Esce «Altrove» il nuovo libro dell'attore anticonformista, ricco di analisi sferzanti: «Mia madre voleva abortirmi ma ho vinto io. Houellebecq è unico, non mente mai. Gli ecologisti sono davvero pericolosi. E occhio alla Silicon Valley, ci ha colonizzati...».Un innocente o un mostro, ma sempre altrove. Gérard Depardieu è uno degli animali più controversi della giungla cinematografica contemporanea. Solo poche settimane fa è stato beccato in scooter, al centro di Parigi, mentre ( passava con il rosso e aveva un tasso alcolemico sopra il consentito. Agli agenti che l'hanno fermato ha cominciato a tessere le lodi del suo amico Vladimir Putin. Eppure non tutti sanno che oltre a essere attore e personaggio border line, Gérard Depardieu è anche uno scrittore originale, un intellettuale sui generis capace di dare una lettura anticonformista della realtà. Nel 2015 ha pubblicato un libro intitolato Innocent, nel 2017 è stata la volta di Monstre. Ieri, nelle librerie francesi, è comparso Ailleurs. Il fil rouge che unisce le tre opere è trasparente sin dall'incipit del nuovo libro: «Talvolta sono un innocente, altre volte un mostro. Ciò che è tra queste due cose non mi interessa. Ciò che è tra queste due cose è corrotto. Solo l'innocente e il mostro sono liberi. Sono altrove».Come gli altri due libri, Ailleurs (che significa, per l'appunto, «altrove») non è propriamente una biografia, né un saggio su qualche argomento specifico, piuttosto una sorta di zibaldone con vari sguardi fulminei gettati sul mondo, sul passato, sul futuro. Cominciando da un ricordo prenatale, terribile e significativo: «È tentando di sopravvivere che ho imparato a vivere. Nel ventre di mia madre, quando lei ha provato a sbarazzarsi di me con dei ferri da calza. Ho lottato contro quelle punte e ho vinto. E sono uscito dal suo ventre, felice di essere in vita». Depardieu cresce in una famiglia violenta e arida, vive soprattutto per strada, si fa da sé, ma oggi lo ricorda senza troppi struggimenti. Il ragazzo tira avanti come può, con mezzi non sempre legali. È questo il suo joli mai. Come disse una volta al Corriere della Sera: «Nel 1968 ero a Parigi, ma non a contestare; ad alleggerire i contestatori di orologi e catenine. Erano tutti figli di ricchi». Il percorso politico di Gérard è un labirinto. Ha sostenuto François Mitterrand negli anni Ottanta, i comunisti negli anni Novanta, Nicolas Sarkozy nel 2007 e nel 2012, ha detestato François Hollande e disprezza Emmanuel Macron, senza peraltro riuscire a mandar giù Marine Le Pen. Si diceva amico di Fidel Castro e vede regolarmente Vladimir Putin. In Innocent ha scritto: «Mi si rimprovera di frequentare Putin, ma ho trovato molto più malsano frequentare i Kennedy e il loro entourage». In Ailleurs, invece, spende belle parole per Jacques Chirac: «Si sentiva che aveva una certa presa sulla vita, che gli dava una vera energia. Amava bere, mangiare, fare tardi, aveva una vera cultura dell'incontro, dell'altro, dell'umano». Non meno complesso il suo itinerario spirituale. Nel 1967 si è convertito all'islam e ha frequentato la moschea di Parigi per due anni. Ama molto Sant'Agostino, di cui ha tenuto delle letture pubbliche. Qualche settimana fa si è invece fatto battezzare cristiano ortodosso. In Ailleurs ricorda di aver meditato in un monastero Shaolin. Con un simile bagaglio di esperienze, anche la sua analisi della contemporaneità appare non lineare, spigolosa, contraddittoria, fanfarona, ma sempre brillante. «La sola cosa che mi ridà ancora speranza nella Francia sono i migranti», spiega in Ailleurs, beandosi delle masse colorate e chiassose venute e vivificare una Francia annoiata e senescente, ma scordandosi dell'atmosfera plumbea dei bar di Saint-Denis in cui i salafiti vietano l'ingresso alle donne. Ma questo amico dei migranti e dell'islam è anche un ammiratore di Michel Houellebecq: «Per me, oggi, Houellebecq è unico. Tutti gli scrittori francesi sembrano ampollosi, dopo di lui. È veramente interessante. La Francia di oggi si ritrova in lui. […] Serotonina non potrebbe essere scritto in un'altra lingua. E, in questo libro, c'è tutta l'onestà della depressione. Ho passato qualche settimana con Houellebecq, l'ho visto innamorato, l'ho visto perverso, l'ho visto manipolatore, l'ho visto insopportabile, l'ho visto irrigidito, ma l'ho sempre visto onesto. Egli non mente mai a sé stesso». Tipicamente houellebecquiana è del resto la sua visione depressiva dell'Esagono: «La Francia è vecchia. Molto vecchia. [...] Vedo in giro solo gente che tiene in mano libri sullo sviluppo personale, che mi dice di pensare positivo. E quando accendo la radio, sento solo trasmissioni sulla depressione, sulle medicine, sulle molecole».Sempre tratta da un romanzo dello scrittore di Saint-Pierre sembra poi la maledizione scagliata contro i talebani dell'ambientalismo: «Soprattutto non parlatemi degli ecologisti. Loro sono i peggiori, questi ragazzi che si danno tante arie. “Ci occupiamo di voi". Non c'è niente di peggio. È tutto un “non fate questo, non fate quello". Ora scrutano la nostra insalata, quello che mangiamo, presto vorranno esaminare la nostra merda. Sono veramente pericolosi, dei giudici, sempre con il ditino alzato. […] Il solo vero rischio ecologico, per me, è il rischio di vedere gli ecologisti al potere». Intervistato pochi giorni fa da Le Point, è stato ancora più duro: «Non ho bisogno degli ecologisti per lavarmi il culo e tritare i miei rifiuti». La condanna dell'ambientalismo non è però la condanna dell'ambiente, verso il quale, anzi, Depardieu conserva uno sguardo incantato: «Quando guardi la natura, non ci sono discorsi, c'è una sola espressione. Un'espressione che non mente. Un albero non mente mai, un uccello non cerca di fregarti. Non c'è niente di falso in una vigna. Non ci sono Tartuffe nella natura. C'è solo correttezza e onestà».il dio dollaroMa ciò che veramente Depardieu odia è l'America. La odia perché è francese, tremendamente francese, malgrado la sua continua ricerca dell'altrove, malgrado il suo rifiuto dell'identità («mi fa troppo pensare alla carta d'identità») e dell'interno («mi fa pensare al ministero dell'Interno»), verso un esterno sempre da scoprire. Ma Depardieu odia l'America anche per un vecchio scandalo che gli bruciò lo sbarco oltre Atlantico nei primi anni Novanta, quando a Time confessò di aver preso parte a uno stupro all'età di... nove anni. L'attore dichiarerà di essere stato frainteso, alla violenza avrebbe solo assistito, non partecipato (ah beh, allora...). Fatto sta che l'Oscar, che pareva nell'aria, svanirà per sempre. Da allora, Gérard l'ha giurata allo Zio Sam. «La Silicon Valley», dice, «ci ha colonizzato. Siamo prigionieri di cinque ragazzi, Zuckerberg, Bezos e gli altri, che conquistano ogni giorno terreno, che già ci rubano il tempo e presto avranno i nostri corpi, che ci fanno il lavaggio del cervello. […] In queste macchine della Silicon Valley c'è l'altra religione dell'America, la sua vera religione, che sta per imporsi, quella del dio dollaro». Nonostante il suo spirito cosmopolita, continuamente ribadito, l'omologazione culturicida lo fa inorridire. Ecco, per esempio, come parla del Giappone: «Laggiù non c'è veramente più nulla. Si è veramente vicini all'Apocalisse. Gli americani si sono imposti, hanno sequestrato un certo numero di cose ai giapponesi, a cominciare dal loro senso dell'onore. Questo popolo, la sua cultura, sono stati letteralmente bruciati dalla bomba». E alla fine l'unica America per cui ha parole di ammirazione, è quella spazzata via dagli europei: «Se amo andare in America è per vedere le tracce che hanno lasciato le genti che, quando Cristoforo Colombo è arrivato, erano già là da più di 7.000 anni». Non tutti i migranti che sbarcano portano gioia, allora.