2024-11-28
È clandestino lo slavo che ha scatenato l’inferno al Corvetto
Atteso dal gip il montenegrino che guidava gli assalti. Il padre di Ramy: «No alla vendetta». Oggi la visita di Piantedosi.Dal campo di battaglia urbano di Corvetto, scosso dalla morte del giovane elettricista egiziano disoccupato Ramy Elgaml, volato, durante un lungo inseguimento dei carabinieri, da uno scooter guidato da un tunisino senza patente, con precedenti per rapina e per droga e con addosso 1.000 euro in contanti, una catenina d’oro spezzata (con tutta probabilità frutto delle rapine in centro), un coltello a serramanico e una bomboletta di spray al peperoncino, stanno saltando fuori gli arruffapopoli che hanno prodotto tre notti di vandalismi e riportato alla ribalta le fragilità di un’area urbana milanese segnata da degrado, tensioni etniche e criminalità. Corvetto è un quartiere in cui si cammina su un filo sottile, tra sogni di integrazione e un’ombra sempre presente fatta di rabbia, povertà e illegalità. Le notti di fuoco hanno riportato alla luce un problema che brucia sotto la superficie: bande di giovani che si muovono come clan e che covano una violenza pronta a esplodere. I maranza spesso vivono una doppia vita: adolescenti ai margini delle scuole durante il giorno, guerriglieri di periferia durante la notte, armati di bottiglie incendiarie, coltelli e rabbia accumulata. Le indagini vanno avanti su due binari paralleli. Uno cerca di ricostruire con precisione i momenti dell’incidente di domenica sera. E sebbene al momento sembra che non ci sia stato contatto fisico tra la vettura dei carabinieri e lo scooter, il carabiniere alla guida della Giulietta dell’Arma è stato iscritto nel registro degli indagati per omicidio stradale in concorso. Anche il tunisino è indagato per lo stesso reato, oltre che per resistenza a pubblico ufficiale. Il pm Marco Cirigliano ha disposto l’autopsia sul corpo di Ramy e l’analisi delle telecamere di sorveglianza. Il secondo percorso investigativo riguarda le proteste, cominciate già la sera di domenica e proseguite per le successive 48 ore. Lunedì notte circa un centinaio di giovani si è radunato nelle strade del quartiere, molti con il volto coperto, sventolando striscioni e accendendo fuochi d’artificio. Il gruppo, inizialmente pacifico, si è presto trasformato in una folla violenta: sono stati lanciati petardi e bottiglie contro le auto delle forze dell’ordine, mentre i cassonetti venivano dati alle fiamme. Un autobus della linea 93 è stato assaltato, costringendo i passeggeri a fuggire in preda al panico. Una pensilina dell’Atm è stata distrutta, mentre un’auto del commissariato Mecenate è stata gravemente danneggiata da un petardo che ha squarciato il cofano e il parabrezza. La situazione è degenerata ulteriormente quando un gruppo di manifestanti, accerchiando una donna che cercava di tornare a casa, ha minacciato di distruggerle l’auto. «Vuoi vedere che non torni a casa con la tua macchina?», le hanno urlato.La scena, documentata per Striscia la notizia da Vittorio Brumotti con telecamere nascoste, ha mostrato il volto più cupo di queste proteste. Lo stesso video mostra anche un Suv, guidato da un egiziano, che, sfrecciando tra la folla, ha ferito quattro persone. L’auto è stata successivamente raggiunta da un gruppo di giovani che ha distrutto vetri e carrozzeria. L’egiziano è stato poi arrestato per lesioni aggravate e omissione di soccorso. Le forze dell’ordine, intervenute con reparti mobili e lacrimogeni, hanno disperso i manifestanti solo a tarda notte. Tra i manifestanti era stato arrestato a stretto giro un maranza ventunenne di origine montenegrina, nato in Italia ma con permesso di soggiorno scaduto, residente in un’altra area difficile della città: la cosiddetta «Casbah» di San Siro. Un aspetto che prova l’esistenza di una fitta rete tra le bande maranza che occupano i quartieri difficili. Già noto alle forze dell’ordine, il montenegrino è stato identificato attraverso i video che hanno ripreso le proteste e si sarebbe distinto come uno dei più attivi e violenti. L’accusa nei suoi confronti è di devastazione, resistenza a pubblico ufficiale aggravata, uso di armi improprie (bottiglie incendiarie) e danneggiamenti in concorso con oltre dieci persone non ancora identificate. Il ragazzo è ora detenuto a San Vittore in attesa dell’interrogatorio di garanzia da parte del gip Chiara Valori. La famiglia di Ramy, pur devastata dal dolore, si è dissociata dalle violenze, appellandosi alla giustizia italiana. Yehia Elgaml, il padre del ragazzo, ha dichiarato: «Non vogliamo vendetta, ma chiarezza. Ci dissociamo dai violenti, ringraziamo tutti per la loro vicinanza, soprattutto gli italiani. Mio figlio era ormai più italiano che egiziano». Anche Aly Harhash, presidente della comunità egiziana della Lombardia, ha condannato i disordini: «Il dolore non può essere un alibi per la violenza. Chiedere giustizia è giusto, ma distruggere il quartiere non porta a nulla». Corvetto, da anni simbolo delle difficoltà delle periferie milanesi, ora vive in bilico. Le forze dell’ordine continuano a monitorare l’area, perché il rischio che la folla s’infiammi di nuovo non è ancora rientrato. Gli ultimi eventi non sono che l’ennesima manifestazione di un malessere profondo, che ricorda da vicino le banlieue. Una diagnosi che Elly Schlein e Beppe Sala devono aver tralasciato quando hanno deciso di organizzare lì lo scorso settembre la Festa dell’Unità, piazzando proprio a Corvetto la solita e inutile passerella radical chic. Oggi Sala dovrà accogliere il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, in arrivo per fare il punto, e ha in mente di invitare in Municipio i familiari di Ramy. L’effetto banlieue, invece, continua a sottovalutarlo.