2020-09-22
Corte suprema: Trump tira dritto
Al posto della defunta Ruth Ginsburg, forse nominata già venerdì la cattolica Coney Barrett. Critiche dai dem, ma Barack Obama fece lo stesso alla scadenza del secondo mandato.È uno spiacevole doppiopesismo quello si sta registrando negli Stati Uniti sulla questione della Corte suprema. I democratici stanno aspramente criticando Donald Trump per la sua intenzione di nominare un nuovo giudice già questa settimana, in sostituzione della defunta Ruth Ginsburg. Costoro affermano che il presidente dovrebbe infatti attendere le elezioni novembrine e citano –a tal proposito – la volontà della stessa Ginsburg che avrebbe confidato alla nipote: «Il mio desiderio più fervido è di non essere sostituita fino a quando non sarà insediato un nuovo presidente». Peccato che fu lei stessa, in un'intervista al New York Times nel luglio del 2016, a sostenere che Barack Obama – allora all'ultimo anno del suo secondo mandato – avesse tutto il diritto di nominare un nuovo giudice alla Corte suprema e che il Senato fosse obbligato ad avviare il processo di ratifica. Ricordiamo che Obama aveva nominato il giudice Merrick Garland in sostituzione del defunto Antonin Scalia: una nomina che venne tuttavia bloccata dai senatori repubblicani. In quell'occasione, il capogruppo dell'elefantino alla camera alta, Mitch McConnell, si appellò a un precedente del 1992: quando, cioè, Joe Biden – all'epoca senatore del Delaware – sostenne che il presidente George H. W. Bush non dovesse nominare un nuovo togato, perché giunto al suo ultimo anno di mandato. In tal senso, molti repubblicani hanno accusato i democratici di ipocrisia nelle scorse ore. «Prendere lezioni dai democratici su come gestire le nomine giudiziarie è come un piromane che dà consigli ai vigili del fuoco», ha twittato il senatore Lindsey Graham. Effettivamente la situazione è ben diversa da quattro anni fa. Non solo all'epoca Obama era allo scadere del suo secondo mandato, ma il Senato – cui in base alla Costituzione spetta la ratifica dei giudici nominati – era in mano al partito a lui avverso. Trump, di contro, potrebbe essere riconfermato a novembre e – soprattutto – ha la maggioranza alla camera alta. Tutto questo, con buona pace di Biden che ha addirittura accusato l'inquilino della Casa Bianca di «abuso di potere», mentre la speaker della Camera Nancy Pelosi non ha escluso la possibilità di ricorrere all'impeachment: un'ipotesi, bollata dalla Casa Bianca come «bizzarra e pericolosa». Lo stesso presidente ha commentato: «Vogliono mettermi in stato d'accusa per aver rispettato il mio dovere costituzionale. Se lo fanno, vinciamo tutte le elezioni». Senza poi considerare che il fatto di avere i numeri al Senato non garantisca a Trump automaticamente una vittoria. Il tempo è risicato, i democratici affilano i coltelli dell'ostruzionismo e alcuni senatori repubblicani si sono già detti contrari all'ipotesi di confermare un nuovo togato prima delle presidenziali: si tratta di notori malpancisti che non hanno mai granché digerito il presidente, come Lisa Murkowski e Susan Collins. Frattanto ieri Trump –che aveva promesso la scelta di una donna negli scorsi giorni– ha annunciato di aver stilato una lista di cinque candidate, dichiarando inoltre che effettuerà la nomina nella giornata di venerdì o sabato. In particolare, nell'elenco comparirebbero: Allison Jones Rushing (38 anni), Barbara Logoa (52 anni) ed Amy Coney Barrett (48 anni). L'attenzione mediatica si è concentrata nelle scorse ore soprattutto su quest'ultima, che qualcuno ha teso a presentare quasi come un'estremista scriteriata. In realtà, la situazione è un po' più complessa. Antiabortista, ha lavorato con Scalia (condividendone la filosofia «originalista») e ha insegnato diritto costituzionale all'Università di Notre Dame. Un profilo professionalmente solido quindi, ma contestato per le sue idee. Non è del resto la prima volta, visto che, durante l'audizione di conferma al Senato nel 2017 per diventare giudice d'appello, la Barrett si vide chiedere conto della propria fede cattolica dai democratici, Dianne Feinstein e Dick Durbin.
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