2025-10-12
La crescita infastidisce il «Corsera»
Per Fubini gli italiani tifano per Gaza perché si sentono pure loro vittime, ma dei salari bassi. Bizzarro dirlo ora che c’è una ripresa dopo aver applaudito nei momenti più bui.Perché proprio ora? È la domanda che è sorta spontanea ieri dopo la lettura dell’articolo di Federico Fubini sul Corriere della Sera («La crescita e i salari più leggeri»). Ovviamente non abbiamo la presunzione di ipotizzare alcuna risposta, che solo Fubini conosce.Noi qui ci limitiamo a riportare dei fatti e dei dati che testimoniano, «per tabulas», che le cose non stanno proprio come vengono raccontate in quell’articolo. Nel senso che i dati sono veri, ma mancano dei dettagli essenziali che cambiano radicalmente la prospettiva e le conclusioni.Sorvoliamo sull’ardito paragone (quasi blasfemo, a detta dello stesso autore) tra gli italiani, vittime dell’economia del Paese, e i cittadini di Gaza, vittime della guerra. Accomunati, perché gli italiani si sono identificati con quelle vittime, a cui «nessuno si interessa, ignorate da tutti e schiacciate in un gioco di cui solo loro pagano il prezzo».Il punto è che Fubini denuncia correttamente il calo dei salari reali (cioè i salari nominali al netto dell’inflazione) e il calo della quota salari (cioè la quota dei salari sul Pil, in contrapposizione alla quota dei profitti). Ma tutto dipende dalla scelta dei momenti di osservazione di questi dati.Perché per gli italiani il momento per mobilitarsi «a livello Gaza» avrebbe dovuto essere negli ultimi mesi del governo di Mario Draghi, quando il morso dell’inflazione cumulata a partire dal dicembre 2019 è arrivato quasi all’11%. Dal settembre 2022 a oggi, l’inflazione cumulata è invece pari solo al 4%. Con l’essenziale differenza che in quei tre anni i salari nominali non hanno tenuto il passo dell’inflazione e si sono quindi ridotti in termini reali, e nei successivi tre anni è accaduto esattamente il contrario, con una decisa rimonta dei salari reali e del potere d’acquisto.Quindi è vero che i salari reali sono ancora inferiori rispetto al periodo pre Covid (1,5% per la precisione) ma è doveroso aggiungere che il punto di minimo è ormai lontano nel tempo (oltre tre anni fa) e che da allora la forbice si sta rapidamente chiudendo, anche grazie alle scelte del governo Meloni sul cuneo fiscale e sugli sgravi fiscali a favore delle fasce di reddito medio-basse.Scegliersi un punto di osservazione (pre Covid o 2021) rispetto a oggi e trarre conclusioni senza raccontare cosa è accaduto nel frattempo, non rende un grande servizio alla comprensione del problema. Perché la dinamica e la visione prospettica sono fondamentali.A questo proposito, rileviamo sommessamente che i salari reali hanno smesso di crescere in Italia dall’inizio degli anni Novanta e che l’intero decennio pre pandemia, a partire dal governo di Mario Monti, è stato caratterizzato da una significativa discesa di quei salari. Quello sarebbe stato il momento opportuno per scendere in piazza a difesa dell’erosione del potere d’acquisto, non oggi, quando quello stesso potere è in recupero da circa tre anni.Stessa cosa a proposito della quota salari. Infatti, quando i salari reali crescono meno del prodotto del Paese - esattamente l’altro fenomeno che denuncia Fubini - la quota salari diminuisce a scapito della quota profitti. In altre parole, in un Paese che produce più beni, per il salariato è ben magra consolazione sapere che il suo potere d’acquisto è inalterato, perché partecipa alla distribuzione del prodotto in misura men che proporzionale. Ma, ancora una volta, questo è vero dall’inizio degli anni Ottanta. Perché dirlo solo oggi? Allo stesso modo, è altrettanto vero che quella quota salari sta risalendo da poco più di tre anni, dopo aver toccato un minimo relativo proprio durante il governo Draghi. Ma noi di quel periodo ricordiamo solo la mano di Draghi poggiata sulle spalle di Maurizio Landini.Allora pare che la soluzione sia quella di convincere i capitalisti cattivi e avidi a concedere aumenti salariali ai propri dipendenti. Ma, anche qui, non si menziona che proprio le auspicate concentrazioni nel settore finanziario creano posizioni dominanti che ingrassano i profitti. E poi manca un tassello fondamentale: non essendoci più l’ammortizzatore di breve periodo costituito dalla svalutazione del cambio, la compressione dei salari è prima di tutto elemento costitutivo e «primo motore immobile» della competitività nell’Eurozona e poi anche delle diverse ondate della globalizzazione. E su una feroce compressione salariale si è basato il recupero di competitività dell’Italia a partire dal 2012.Se torturi i dati abbastanza, alla fine confesseranno quello che vuoi. È una citazione di incerta attribuzione, ma certamente vera.
Abdel Fattah Al-Sisi e Donald Trump (Ansa)
Volodymyr Zelensky (Ansa)