2022-12-02
Coro unanime persino a Bruxelles. «Il Recovery plan va aggiornato»
Gilberto Pichetto Fratin (Ansa)
Funzionari Ue in Italia per controllare i progressi del Pnrr mentre l’esecutivo spinge per una revisione: Paolo Gentiloni apre ai ritocchi. Gilberto Pichetto Fratin: «Con i rincari o tagliamo sulle opere o non ci stiamo dentro».Settimana importante per il Pnrr italiano, il più costoso d’Europa. A Roma sono arrivati i tecnici della Commissione che hanno già avuto un incontro al ministero dell’Ambiente così come in quello dell’Economia e ieri in serata al ministero per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr. Tutto si concluderà venerdì con l’evento annuale sul Pnrr a cui parteciperanno anche il titolare del Mef Giancarlo Giorgetti e il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni.Una missione, quella della task force Ue, organizzata per verificare il percorso in vista della consegna della terza rata da 19 miliardi che dovrebbe arrivare a fine anno. E intanto i dubbi sollevati già alcune settimane fa proprio da La Verità adesso cominciano a diventare i dubbi di molti. Il Pnrr così com’è non va. L’inflazione ha cambiato tutte le stime, sono mesi che si sa, ma nessuno, almeno nel precedente esecutivo ha pensato di affrontare il problema. Adesso arrivano le prime scadenze e quindi la parte più difficile. I primi interventi si sono concentrati soprattutto sulle riforme necessarie, ora invece il focus si sposta sulla messa a terra degli investimenti. Sono numerosi gli obiettivi che molto probabilmente verranno mancati, come la costruzione di nuovi asili nido: secondo i sindaci sarà impossibile stare nei tempi. Incertezze anche sulla digitalizzazione: «Noi rischiamo di bucare le milestone previste dal Pnrr per quanto riguarda le aree grigie», ha spiegato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alessio Butti che ha aggiunto: «Bisogna intensificare i rapporti con la Commissione Ue». E sono decine le grandi opere che devono partire entro fine anno per assicurarsi che gli obiettivi vengano rispettati e il cronoprogramma venga seguito senza intoppi.Lo ha ricordato anche il Commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, in occasione del convegno organizzato da Il Messaggero, Molto Economia: la recessione che verrà: «Il principale impegno di qualsiasi Paese Ue è cercare di rispettare scadenze e obiettivi. I “ritocchi” si possono fare, ma a condizione che si rispettino gli impegni», ha precisato, «Ho sentito il presidente Meloni, l’ho incontrata a Bruxelles con Giorgetti e Fitto, conosco le difficoltà, se ci sono ritardi vanno affrontati». Secondo il vicepremier e ministro dei Trasporti Matteo Salvini, vanno rivisti i tempi, perché considerato che siamo oramai a fine 2022, «chiudere tutte le opere e rendicontarle entro il 2026 sembra assolutamente ambizioso». Poi ha aggiunto: «Molte opere, anche rilevanti, del Pnrr sono finanziate solo in parte. I ritardi sono dovuti anche all’aumento esponenziale dei prezzi». Dello stesso avviso anche il ministro dell’Ambiente e sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin: «Dovremo rivedere il Pnrr con l’Europa, perché a causa dell’inflazione, solo il mio ministero dell’Ambiente per gli interventi ha un onere maggiore di 5 miliardi». Ministero per il quale almeno inizialmente era stata stanziata la maggior parte dei fondi. Adesso 35 miliardi. «O si taglia sulle opere, o non ci stiamo dentro», è il suo avvertimento. Fratin ha poi evidenziato come non ci siano solo i prezzi a porsi come ostacolo al raggiungimento degli obiettivi. Si pone infatti anche il tema della capacità delle filiere produttive di rispettare le consegne. «Per questo», ha aggiunto, «in un’ottica di prevenzione, stiamo per avviare uno studio dedicato sulle misure più rilevanti a titolarità del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica».Sul tema è intervenuto anche il ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, che ha fatto saper che nei prossimi giorni comunicherà la reale situazione di spesa del Pnrr. All’inizio, ha ricordato, la previsione di spesa del Piano nazionale di ripresa e resilienza era di 42 miliardi di euro alla fine di quest’anno, ma questa programmazione è stata rivista al ribasso a 33 miliardi e poi ridotta a settembre a 22 miliardi. «Nei prossimi giorni noi prenderemo atto di quanto si è speso» ma «temo che la percentuale di spesa non sarà molto alta e sarà distante dai 22 miliardi di euro. L’indicatore della spesa è molto preoccupante, perché se mettiamo insieme tutte le risorse disponibili e le proiettiamo al 2026 è chiaro che c’è bisogno di un confronto a livello europeo e nazionale».Insomma, il Pnrr da grande opportunità rischia di trasformarsi in una grana per il nuovo governo che si ritrova a gestire problemi che andavano affrontati già mesi fa, quando si era capito che i prezzi stavano aumentando e già si faticava a reperire le materie prime. Il 31 dicembre si scoprirà quanto sarà riuscita a spendere l’Italia dei fondi messi a disposizione dall’Unione europea, tra erogazioni a fondo perduto e prestiti. Per come siamo messi adesso, sarà un fallimento annunciato: la parola chiave è negoziare. Fondamentale mettersi a tavolino con l’Ue e allungare i tempi per rimodulare i cantieri, altrimenti il rischio è quello di perdere tutto. E sarebbe un peccato perché come ha detto Gentiloni: «il Pnrr è l’antidoto all’alto debito italiano».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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