2021-03-29
La Corea del Nord torna a farsi sentire
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Ci risiamo. Le turbolenze missilistiche nordcoreane sono ricominciate. Un chiaro segnale diretto al nuovo presidente americano. Circa dieci giorni fa, Pyongyang ha innanzitutto lanciato due missili da crociera: il primo test missilistico dall'avvento di Joe Biden alla Casa Bianca. Una mossa che non aveva tuttavia preoccupato granché Washington, tanto che un alto funzionario americano aveva riferito alla Cnn che quel lancio non preludesse necessariamente alla chiusura dei canali diplomatici. La questione si è tuttavia fatta più calda appena pochi giorni dopo, quando – giovedì scorso – la Corea del Nord ha lanciato due missili balistici. In particolare, secondo Seul, si tratterebbe di vettori che avrebbero volato per circa 450 chilometri, raggiungendo un'altitudine di 60 chilometri. La Corea del Sud ha quindi espresso "profonda preoccupazione", mentre il comando indo-pacifico degli Stati Uniti ha dichiarato: "L'impegno degli Stati Uniti per la difesa della Repubblica di Corea e del Giappone rimane irremovibile". Sulla questione è del resto intervenuto lo stesso Biden. "Stiamo consultando i nostri alleati e partner […]. Risponderemo di conseguenza", ha affermato il neo presidente americano nel corso della sua prima conferenza stampa, giovedì stesso. Biden, citando l' Obama del 2016, ha quindi definito Pyongyang la più grande minaccia della politica estera americana e ha aggiunto di essere "preparato per una qualche forma di diplomazia, ma [che] deve essere condizionata al risultato finale della denuclearizzazione". Nel frattempo, Pyongyang ha rivendicato di aver lanciato un "proiettile a guida tattica di nuovo tipo". "Lo sviluppo di questo sistema d'arma è di grande importanza per rafforzare il potere militare del Paese e scoraggiare ogni sorta di minacce militari", ha detto Ri Pyong Chol, l'ufficiale che ha supervisionato il test.E intanto i dubbi fioccano. Per quale ragione – dopo un periodo di relativa quiete – la Corea del Nord ha ripreso i lanci adesso? In primo luogo, si scorge l' intento di mandare un monito alla nuova amministrazione americana: Pyongyang vuole infatti presentarsi come attore cruciale nello scacchiere dell'estremo Oriente e punta, per così dire, a mettere subito le cose in chiaro con il neo presidente statunitense. In tal senso, il lancio di giovedì è avvenuto (probabilmente non a caso) nello stesso giorno della prima conferenza stampa di Biden. In secondo luogo, come notato dalla Bbc, è anche possibile che i lanci siano avvenuti come forma di protesta contro la recente estradizione di un cittadino nordcoreano dalla Malesia negli Stati Uniti. Si tratta, nella fattispecie, di Mun Chol Myong, un uomo d'affari accusato di riciclaggio di denaro. L'evento è significativo, perché – come sottolineato da Cnbc – si tratta del primo nordcoreano ad essere mai stato estradato negli Usa. Non a caso, Pyongyang ha rotto le relazioni diplomatiche con la Malesia. Infine, una terza ragione potrebbe risiedere nella volontà di replicare a una recente risoluzione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite: una risoluzione che non a caso condannava la Corea del Nord per violazione dei diritti umani. Va da sé che queste tre (possibili) motivazioni non si escludano vicendevolmente e che, anzi, potrebbero essere tutte insieme alla base del rinnovato attivismo missilistico di Pyongyang. Quale sarà la risposta degli Stati Uniti? Al momento, come abbiamo in parte visto, Washington non sembrerebbe del tutto intenzionata a una rottura definitiva: il che non significa tuttavia che stia perseguendo un atteggiamento irenistico. Gli americani stanno infatti cercando di muoversi lateralmente, per esercitare pressione su Pyongyang. In particolare, sono due le linee che il Dipartimento di Stato sta seguendo. La prima è quella di puntare sul Quadrilateral Security Dialogue. In una dichiarazione congiunta del quartetto di Stati indo-pacifici, risalente allo scorso 12 marzo, c'è un passaggio che recita come segue: "Riaffermiamo il nostro impegno per la completa denuclearizzazione della Corea del Nord in conformità con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e confermiamo anche la necessità di una risoluzione immediata della questione dei rapiti giapponesi". L'altro canale a cui Washington vorrebbe ricorrere è poi quello cinese. Poco prima del tesissimo vertice sino-americano di Anchorage, il segretario di Stato americano, Tony Blinken, aveva invocato l'influenza di Pechino per condurre Pyongyang a più miti consigli. "Pechino ha un interesse, un chiaro interesse personale nell'aiutare a perseguire la denuclearizzazione [della Corea del Nord] perché è una fonte di instabilità. È una fonte di pericolo e ovviamente una minaccia per noi e per i nostri partner", aveva detto.Una posizione non poco problematica tuttavia. Innanzitutto perché le relazioni tra Washington e Pechino si stanno facendo sempre più difficili: ragion per cui i cinesi potrebbero considerare una Corea del Nord bellicosa un fattore positivo nel confronto con la Casa Bianca. In secondo luogo, non bisogna neppure sopravvalutare la positività delle relazioni tra Pechino e Pyongyang: si tratta, sì, di due alleati e di due stretti partner commerciali. Tuttavia, da quanto è possibile capire, si registrano anche degli attriti: i cinesi razziano da tempo le acque nordcoreane di calamari (alimento essenziale per Pyongyang) e, da quanto si sa al momento, la Corea del Nord avrebbe per ora ottenuto vaccini (AstraZeneca) solo dall'iniziativa Covax: perché la Cina, solitamente così generosa di sieri in giro per il mondo, non ne invia anche al suo alleato? In tutto questo, attenzione alla Russia. Mosca sta infatti cercando di rientrare nella partita nordcoreana, con il suo ministro degli Esteri Sergey Lavrov che, la scorsa settimana, ha invocato una ripresa dei colloqui a sei sulla denuclearizzazione di Pyongyang.
Iil presidente di Confindustria Energia Guido Brusco
Alla Conferenza annuale della federazione, il presidente Guido Brusco sollecita regole chiare e tempi certi per sbloccare investimenti strategici. Stop alla burocrazia, realismo sulla decarbonizzazione e dialogo con il sindacato.
Visione, investimenti e alleanze per rendere l’energia il motore dello sviluppo italiano. È questo il messaggio lanciato da Confindustria Energia in occasione della Terza Conferenza annuale, svoltasi a Roma l’8 ottobre. Il presidente Guido Brusco ha aperto i lavori sottolineando la complessità del contesto internazionale: «Il sistema energetico italiano ed europeo affronta una fase di straordinaria complessità. L’autonomia strategica non è più un concetto astratto ma una priorità concreta».
La transizione energetica, ha proseguito Brusco, deve essere affrontata con «realismo e coerenza», evitando approcci ideologici che rischiano di danneggiare la competitività industriale. Decarbonizzazione, dunque, ma attraverso strumenti efficaci e con il contributo di tutte le tecnologie disponibili: dal gas all’idrogeno, dai biocarburanti al nucleare di nuova generazione, dalle rinnovabili alla cattura e stoccaggio della CO2.
Uno dei nodi principali resta quello delle autorizzazioni, considerate un vero freno alla competitività. I dati del Servizio Studi della Camera dei Deputati parlano chiaro: nel primo semestre del 2025, la durata media di una Valutazione di Impatto Ambientale è stata di circa mille giorni; per ottenere un Provvedimento Autorizzatorio Unico ne servono oltre milleduecento. Tempi incompatibili con la velocità richiesta dalla transizione.
«Non chiediamo scorciatoie — ha precisato Brusco — ma certezza del diritto e responsabilità nelle decisioni. Il Paese deve premiare chi investe in innovazione e sostenibilità, non ostacolarlo con inefficienze che non possiamo più permetterci».
Per superare la frammentazione normativa, Confindustria Energia propone una legge quadro sull’energia, fondata sui principi di neutralità tecnologica e sociale. Uno strumento che consenta una pianificazione stabile e flessibile, in linea con l’evoluzione tecnologica e con il coinvolgimento delle comunità. Una recente ricerca del Censis evidenzia infatti come la dimensione sociale sia cruciale: i cittadini sono disposti a modificare i propri comportamenti, ma servono trasparenza e dialogo.
Altro capitolo centrale è quello delle competenze. «Non ci sarà transizione energetica senza una transizione delle competenze», ha ricordato Brusco, rilanciando la necessità di investire nella formazione e nel rafforzamento della collaborazione tra imprese, università e scuole.
Il presidente ha infine ringraziato il sindacato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore energia e petrolio, definendolo un esempio di confronto «serio, trasparente e orientato al futuro». Un modello, ha concluso, «basato sul dialogo e sulla corresponsabilità, capace di conciliare la valorizzazione del lavoro con la competitività delle imprese».
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