2024-04-04
Vescovi e coop contro gli aumenti di stipendio
Migranti sbarcati a Lampedusa (Ansa)
«Avvenire» spalleggia la ribellione delle associazioni di categoria che, dopo aver incassato robusti benefit, ora protestano per le paghe alzate dal rinnovo del contratto e battono cassa: «A rischio 40.000 posti di lavoro, ora nuovi finanziamenti».«Non basta». È la parola d’ordine quando realismo, buonsenso (e decenza) impediscono di muovere critiche più pesanti. E allora non basta che lo Stato abbia aumentato del 15% le retribuzioni ai dipendenti delle cooperative sociali; non basta che i 400.000 lavoratori del welfare guadagnino (di questi tempi) 120 euro in più al mese; non basta che in un periodo di finanze traballanti - prosciugate da totem di cartapesta come il reddito di cittadinanza e il superbonus -, il governo abbia compiuto uno sforzo considerevole per accontentare un settore strategico come quello dei servizi ai fragili. E non basta neppure che accanto agli aumenti, dal gennaio 2025, vengano introdotte la quattordicesima al 50% e la copertura totale della maternità.A Confcooperative Federsolidarietà, al suo presidente Stefano Granata e al quotidiano Avvenire che ha pubblicato in prima pagina la notizia come se fosse una Caporetto del terzo settore, tutto questo «non basta». Il pacchetto farebbe felice perfino Maurizio Landini ma non sembra sufficiente a mettere tranquillo il comparto «che rischia di perdere il 10% degli occupati, circa 40.000 lavoratori, con inevitabili ripercussioni sulle prestazioni essenziali». Parola del numero uno Granata, che mentre incassa il malloppo lancia l’allarme nonostante l’accordo sia stato accolto «con soddisfazione sia dai datori di lavoro sia dai sindacati», come scrive il quotidiano cattolico.Tutto questo perché il governo di Giorgia Meloni continuerebbe a non voler vedere l’altra faccia del problema: la necessità (secondo i lacrimanti) di adeguare le tariffe dei bandi per tornare a rendere interessante la partecipazione delle cooperative sociali «agli appalti pubblici, che non sono stati aggiornati». Poiché almeno la metà di questi enti morali ha nella ragione sociale «l’accoglienza», il motivo della gastrite improvvisa non ha niente a che vedere con gli ultimi, i malati, gli anziani e le diseguaglianze. Ma riguarda essenzialmente i migranti. Sono loro il vero nodo; loro e il rimpianto degli anni d’oro degli esecutivi guidati dal Pd, quando il business era fiorente e c’era la corsa a costituire associazioni per intercettare i bandi delle prefetture. E già, «non basta». La ragione del contendere è il mancato finanziamento dell’accoglienza diffusa, senza mai nominarla nell’articolo.Spiega Granata, con tortuoso incedere, che «ci sono due ambiti su cui agire: per gli appalti regionali dovrebbe essere più semplice trovare un’omogeneità di sistema che valorizzi la portata di interesse generale dei servizi erogati, mentre la questione si complica quando si lavora con le singole amministrazioni comunali. Perché è vero che il nuovo codice degli appalti apre a una revisione dei prezzi, ma bisognerebbe agire sul piano normativo per esplicitare maggiormente che le tariffe vanno adeguate obbligatoriamente e in modo automatico ai rinnovi dei contratti». Traduzione dal burocratese: servono soldi sicuri non solo per i dipendenti ma anche per le cooperative che devono tornare a guadagnare sui migranti. Sottinteso morale: è gratificante parlare di grande abbraccio ma deve pagarlo lo Stato. In caso contrario, sottolinea il presidente delle Coop «la sopravvivenza di tante realtà è in pericolo».Siamo al solito corto circuito da sacrestia: a noi umanità, inclusione e bene comune, a voi il conto. Che già fin d’ora è più salato del mar Morto. Ad oggi un migrante costa allo Stato 945 euro al mese, per un totale annuo di 11.340 euro. Poiché nel 2023 sono sbarcate ufficialmente 160.000 persone, l’esborso per il contribuente italiano è stato di 1,8 miliardi. Nessun pregiudizio, siamo tutti resilienti, solo numeri. Quei numeri che nel 2019 (esecutivo Conte uno) Matteo Salvini tentò di limare suscitando una rivolta nel mondo cooperativo al grido: «Non vale più la pena».Quel setaccio fu decisivo per dividere, come da insegnamento evangelico, il grano dal loglio, vale a dire le associazioni che davvero hanno come obiettivo coloro che soffrono da quelle che spuntavano come funghi per evidenti ragioni di business. Il fenomeno fu messo a nudo anche da inchieste della Guardia di finanza con denunce che fecero emergere comportamenti come minimo imbarazzanti pure da parte di alcune diocesi e Caritas locali. Poi i contributi sono stati ritoccati a crescere, ma evidentemente «non basta». Con polemiche a strascico come a Modena, dove il Comune di sinistra chiede che «il governo non finanzi più il fenomeno migratorio come emergenza ma come fenomeno strutturale» spiega l’assessore Roberta Pinelli, «perché i capitolati dei bandi non sono più economicamente sostenibili».In questi mesi un supporto integrativo, almeno per le associazioni cattoliche, è il 5 per 1000. A sensibilizzare i fedeli potrebbe dare una mano il testimonial Casarini, quel fratello Luca che presenziando al Sinodo «ha edificato» più di un vescovo. Lui, a raccogliere fondi, è un fenomeno.