
Al vertice in Nord Africa si rinsalda la collaborazione per fronteggiare l'emergenza migrazione. Sul tavolo anche la crisi in Libia, dove un gruppo di miliziani ha rapito un dirigente della compagnia francese Total.L'Italia continua nei suoi sforzi diplomatici per arrivare al cessare il fuoco in Libia. Ieri il premier Giuseppe Conte, assieme al ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, ha incontrato il presidente della Repubblica tunisina Beji Caid Essebsi e l'omologo Youssef Chahed. Al centro delle discussioni del primo vertice intergovernativo, i rapporti bilaterali (firmati, tra le varie intese, un impegno per rafforzare le infrastrutture tra Tunisia e sud Europa, un accordo per sviluppare il sistema scolastico in Tunisia e un accordo tra Cassa depositi e prestiti e la sua equivalente tunisina) e la Libia. L'Italia continua a insistere per una soluzione politica rifiutando quella militare e ha trovato a Tunisi una sponda in Nord Africa per sostenere il cessate il fuoco promosso in sede di Consiglio di sicurezza Onu dal Regno Unito ed evocato anche ieri dal premier Conte. «Tunisia e Italia sono tra i Paesi più danneggiati dalla crisi libica dal 2011», ha spiegato Chahed. «Abbiamo paura che si ripeta l'esperienza del 2011 con l'ondata di profughi verso Tunisia e la paura per terrorismo, abbiamo 500 chilometri di confine con La Libia». Tunisi ha anche chiesto a Roma maggiore sostegno logistico e di risorse per fronteggiare l'emergenza migranti, ha continuato il premier tunisino. A unire Roma, Tunisi e Londra è il rapporto di fiducia e cooperazione con Misurata, la città Stato alleata del governo di accordo nazionale di Tripoli guidato da Fayez Al Serraj. Il leader di Misurata, AhmedMaitig, ieri ha avuto un colloquio telefonico con il ministro dell'Interno Matteo Salvini, presente anch'egli in Tunisia (ieri ha parlato di Libia con l'omologo tunisino Hicher Fourati). Il leader leghista, ha annunciato lo stesso Maitig, ha confermato il sostegno dell'Italia al governo di Serraj e ribadito la necessità di fermare l'operazione militare di Khalifa Haftar su Tripoli. Ma che l'uomo forte della Cirenaica sia un fattore in Libia con cui l'Italia è chiamata a fare i conti è confermato da due fatti di lunedì. Il primo: grazie alla ripresa delle attività nel giacimento di Sharara (che rappresenta circa un terzo della produzione del Paese) dopo tre mesi di chiusura forzata, la compagnia petrolifera libica (Noc) ha aumentato del 20% le esportazioni di petrolio a marzo rispetto a febbraio. Il secondo: le forze di Haftar hanno respinto un attacco proprio contro il sito di El Sharara, da loro controllato da febbraio. L'uomo forte della Cirenaica controlla buona parte dei giacimenti e la capitale Tripoli, da cui passano invece i dollari del petrolio, è ancora al centro dei combattimenti. Negli ultimi tre giorni un bambino è rimasto ucciso e altri tre feriti in attacchi aerei. L'esecutivo di Serraj punta il dito contro i «due Paesi arabi», accusandoli di aver compiuti i raid di sabato notte sulla capitale per conto di Haftar, e contro la Francia, accusando il governo di Emmanuel Macron di sostenere l'offensiva nonostante ufficialmente appoggi ancora Tripoli. Accuse definite «completamente infondate» da Parigi, che ha rinnovato il suo sostegno al «governo legittimo» di Serraj e alla mediazione dell'Onu. Ma a rafforzare i sospetti di Tripoli (e di Roma) su Parigi è intervenuto perfino l'inviato Onu in Libia, Ghassan Salamè: la Francia ha «la tentazione dell'uomo forte», ha spiegato alla radio France Inter. E il rapimento di Bashir Bzezi, uno dei più importanti dirigenti della francese Total (la rivale dell'italiana Eni) in Libia, potrebbe inserire in questo quadro, che vede Tripoli nervosa per l'avvicinamento di Parigi ad Haftar. L'uomo sarebbero stato catturato da un gruppo di miliziani nella capitale libica venerdì scorso, secondo quanto ricostruito dal sito Africa Intelligence.Haftar intanto pressa l'Italia. Due episodi. Il primo: lunedì gli organi di propaganda del generale avevano fatto circolare la voce del viaggio a Bengasi, la «capitale» del generale, dell'ambasciatore italiano Giuseppe Maria Buccino Grimaldi. Missione: la riapertura del consolato chiuso nel 2013 dopo l'attentato al consolato Guido De Sanctis ma rinviata di qualche giorno (era prevista entro fine aprile). Tuttavia, il diplomatico non si è mosso da Tripoli né lunedì né ieri. Il secondo: la macchina mediatica di Haftar ha diffuso in Rete i fotomontaggi di nostri militari al fianco di Serraj per screditare la presenza di 300 soldati italiani a protezione dell'ospedale di Misurata. Seppure Ahmed Al Mismari, portavoce di Haftar, abbia fatto un passo indietro rispetto all'intervista al Corriere della Sera di alcuni giorni fa (ha spiegato all'Ansa che la presenza italiana a Misurata non è una «minaccia» e che l'Italia non è considerata un Paese «nemico»), Bengasi continuare a marcare stretto la città Stato.A Misurata, secondo quanto riportato da Agenzia Nova e dal media libico Alwasat, sarebbe giunto un gruppo di militari statunitensi via mare proveniente dalla vicina Tunisia. E nel porto della città c'è da giorni la nave portacontainer Shahr E Kord, sequestrata dal governo di Tripoli in quanto la compagnia proprietaria, vicina ai Pasdaran iraniani, è sotto sanzioni Usa. Il carico dei 144 container è sconosciuto. Al Mismari ha chiesto all'Onu di fare chiarezza. Ma che a bordo ci sono o meno armi, questo episodio è un perfetto esempio del fallimento (e del mancato controllo) dell'Unione europea in Libia.
Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni (Ansa)
Sulla sentenza con cui la Corte dei Conti ha bocciato il Ponte sullo Stretto ci sono le impronte digitali di quella parte della magistratura che si oppone a qualsiasi riforma, in particolare a quella della giustizia, ma anche a quella che coinvolge proprio i giudici contabili.
Ansa
Il provvedimento, ora al Senato dopo l’ok della Camera, mira a introdurre misure più garantiste per i pubblici amministratori e a fissare un tetto per gli eventuali risarcimenti. Anche in questo caso, l’Anm contabile frigna.
Il clochard ha anche minacciato gli agenti. Silvia Sardone (Lega): «Sala ha nulla da dire?».
Guido Carlino, presidente della Corte dei conti (Ansa)
I magistrati «dei numeri», a fine carriera, possono arrivare a prendere emolumenti da nababbi e pure arrotondare con incarichi esterni. Il loro capo fu nominato da Giuseppe Conte.





