2022-11-07
Conte spolpa il Pd di Letta e guida l’opposizione
Maurizio Landini e Giuseppe Conte (Imagoeconomica)
Una decina di giorni prima delle elezioni del 25 settembre scrivemmo su questo giornale che Giuseppe Conte si apprestava a lanciare un’Opa sul Pd, cioè a conquistarlo per poi annetterlo, trasformandolo dunque in una succursale grillina. L’idea che il Movimento 5 stelle fosse in grado di sconfiggere il maggior partito della sinistra, arrivando al punto di scalarlo con un’operazione ostile, sembrò a molti una fantasia priva di fondamento. Anzi, una sparata pre elettorale, destinata a spegnersi subito dopo il voto, appena toccata con mano la sconfitta cui andava incontro l’avvocato di Volturara Appula.In realtà, in poche settimane è accaduto proprio ciò che immaginavamo e che nel mondo finanziario viene classificato come un takeover. Con questo termine, negli anni Novanta si indicavano le scorribande dei finanzieri d’assalto, i quali prendevano di mira una società senza il consenso dei vertici aziendali, manovrando per conquistarla e infine spolparla. Beh, al Partito democratico sta succedendo proprio questo, al punto che sul suo destino indipendente non scommetteremmo un euro. Altro che avanguardia delle classi popolari, come un tempo si definivano i compagni: oggi, nel migliore dei casi per il Pd si profila una vita da gregario.L’immagine di Enrico Letta fischiato e costretto sabato ad abbandonare il corteo della pace, lasciando il campo a Giuseppe Conte, non è solo la rappresentazione di una sconfitta politica, ma è l’immagine di una resa. Nel passato è sempre stato il principale partito della sinistra a dettare la linea, stabilendo le priorità dell’agenda, e anche quando, negli anni di piombo, il Pci fu contestato dai partitini della galassia extraparlamentare, conservò comunque un primato. Il grosso dell’elettorato e la stragrande maggioranza dell’establishment culturale e giornalistico restavano schierati a sostegno del Partito comunista, la cui leadership dell’opposizione ai governi del pentapartito non era mai messa in discussione.In questi giorni, invece, non solo si discute di chi debba contestare, e come, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, ma l’iniziativa non sembra ormai più nelle mani del partito di cui Enrico Letta è segretario. Sì, a leggere le cronache si capisce che alla guida dell’opposizione ormai c’è Giuseppe Conte, mentre l’esile professore che un anno e mezzo fa le correnti del Pd invitarono a tornare dall’esilio francese, è soltanto l’ombra dell’uomo giunto promettendo di pacificare le diverse anime della sinistra. Con il che si conferma l’opinione che avevamo nei suoi confronti sin dai tempi in cui era sottosegretario alla presidenza del Consiglio, epoca Prodi.Letta è un uomo trasparente, nel senso che ha lo spessore di una carta velina. Di lui si può riconoscere la buona fede e, probabilmente, anche l’impegno, ma nulla di più. Da quando è rientrato da Parigi possiamo dire che le ha sbagliate tutte. Prima si è intestato le proposte dello ius soli e della legge Zan, poi si è messo a parlare di patrimoniale per regalare 10.000 euro ai ventenni. Infine, in campagna elettorale ha pure lanciato l’allarme fascismo. Immaginare che cosa sarebbe successo non era difficile. Mentre il compagno Letta si preoccupava del ritorno di Mussolini, l’avvocato Conte prometteva sussidi a pioggia. Dimostrando di conoscere il proprio elettorato più di quando Letta conosca il suo, il leader grillino ha rinunciato alla pochette per trasformarsi in una sorta di capopopolo. Risultato, oggi il M5s è avanti rispetto al Pd e il corteo contro la guerra in Ucraina ne è la rappresentazione. Con la cacciata del suo segretario, il Partito democratico si è arreso all’evidenza: i ceti popolari, ma soprattutto il mondo della sinistra, non sono più i punti cardinali del Pd. Letta e i suoi hanno perso la bussola e ora navigano in un mare mosso che non conoscono. Del resto, i tempi di reazione della classe dirigente di quello che un tempo fu il principale partito d’opposizione sono incompatibili con la situazione. Con una guerra alle porte e una crisi economica che si mangia i salari mese dopo mese, come si può sopportare un congresso per scegliere i vertici del partito che dura sei mesi? In qualsiasi Paese, un leader sconfitto si fa da parte all’istante, invece per non si sa quale ragione Letta è rimasto al suo posto, dicendo di voler garantire la transizione. Il problema è che in primavera, quando presumibilmente le correnti saranno chiamate a decidere il nuovo segretario, la transizione potrebbe già essere completata. Sì, ma nell’aldilà.
(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare della Lega Roberto Vannacci durante un'intervista al Parlamento europeo di Bruxelles.