2024-04-10
Tra Conte e la Schlein resta il gelo. Nel caos le liste pd per le Europee
Giuseppe Conte ed Elly Schlein (Ansa)
Elly e Giuseppi si incrociano alla Camera: stretta di mano imbarazzata e fuga. La segretaria dem in alto mare con le candidature. Dal partito si lamentano: «Non parla con nessuno, i deputati uscenti sono tutti a rischio». Elly ti presento Giuseppi: nel braccio di ferro tra Pd e M5s non poteva mancare il siparietto da soap opera, con la Schlein e Conte che ieri, a un convegno alla Camera sulla crisi idrica, arrivano in momenti diversi, si salutano con una poco calorosa stretta di mano e poi se ne vanno, ognuno per la sua strada, non senza aver risposto frettolosamente alla domanda sui rapporti tra i due. «Sempre bene», dice la Schlein; «C’è stata una stretta di mano», risponde Conte, e via ciascuno per la sua strada. Quella del leader del M5s è spianata: il sogno è sorpassare il Pd alle Europee e (ri)diventare il leader del centrosinistra, l’obiettivo più realistico è ottenere una buona affermazione e porsi comunque come alleato imprescindibile per qualsiasi ipotesi di alternativa al centrodestra. Assai più tortuoso invece il cammino della Schlein, alle prese con un partito completamente in preda al caos. «Elly», dice alla Verità un esponente di peso del Pd, «non parla con nessuno, le liste per le Europee sono in alto mare. Il problema sono gli europarlamentari uscenti e le donne: rischiano tutti, seriamente, di non essere rieletti. Lei, a quanto ne sappiamo, dovrebbe essere capolista al Centro e in lista nelle isole. Al Nord Ovest ha chiesto ad Andrea Orlando di correre da capolista, e in questo modo ha fatto arrabbiare il capodelegazione uscente, Brando Benifei, che è stato eletto nella stessa circoscrizione». Al Centro i problemi pure sono assai spinosi: «Non si sa», ci spiega un altro interlocutore dem, «se Tarquinio accetterà la candidatura. Se accetta, andiamo verso una competizione tesa con Zingaretti e i sindaci Ricci di Pesaro e Nardella di Firenze. Quest’ultimo ha fatto un evento un paio di settimane fa per lanciare la candidatura, ma è andata male». E Stefano Bonaccini? «Per quanto mi riguarda ci si mette a disposizione dove si può essere utili», risponde Bonaccini a chi gli chiede della sua candidatura, «quindi che io rimanga qui a terminare una legislatura che comunque terminerà tra pochi mesi o mi candidi alle elezioni europee lo decideremo insieme. Ve lo diremo nei prossimi giorni». Il governatore dovrebbe ovviamente candidarsi nel Nord Est, ma accetta solo il posto da capolista. Il Pd si ritrova poi a rincorrere Conte su un terreno etereo, mistico: quello della lotta ai «cacicchi». Chi sarebbero questi benedetti cacicchi, che Elly dovrebbe, secondo Conte, far fuori dal partito? Semplice: quelli che hanno i voti. I nomi di Michele Emiliano e Vincenzo De Luca, presidenti di Puglia e Campania, vengono spesso accostati, nelle cronache politiche, a questa etichetta diventata di moda: sarebbero esempi di cacicchi, erbacce velenose da estirpare dal Pd in quanto colpevoli del delitto più infamante per la nuova gestione dei dem: essere capaci di raccogliere consensi. Al tempo stesso, nel meraviglioso mondo di Elly, chi non ha neanche il voto della sua famiglia, ed è stato magari eletto parlamentare perché sistemato in una ottima posizione nel listino proporzionale o in un collegio blindato, è un esempio di moralità politica. Siamo, come è evidente, di fronte a una totale follia: oltretutto, insieme ai cacicchi, la Schlein dovrebbe cacciare via dal partito pure i «capibastone», che poi altro non sono che i capicorrente, quindi pure, per fare un paio di esempi, Dario Franceschini e Andrea Orlando, leader rispettivamente di due correnti, Areadem e sinistra interna, che hanno sostenuto la Schlein alle primarie. «Le accuse sui cacicchi? È stata fatta», dice il senatore dem Alessandro Alfieri al Corriere della Sera, «un’operazione mistificatoria, mettendo sullo stesso piano persone indagate, e comunque siccome siamo garantisti e aspettiamo a emettere verdetti, e persone che non hanno processi pendenti e che sono state messe alla berlina per il solo fatto che, avendo lavorato bene nei Comuni e nelle Regioni, hanno consenso. Amministratori capaci che non meritano di essere definiti cacicchi». «Ma chi sono i cacicchi? Mi piacerebbe che si parlasse più chiaro», sostiene al Domani la vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno, «ci sono consiglieri regionali molto votati che sostengono la segretaria: sono meno cacicchi degli altri?». Non si sa: quello che si sa è che intanto, denunciano i consiglieri regionali di Fdi in Puglia, «nel primo consiglio regionale dopo la pesante scossa giudiziaria che ha coinvolto Comune di Bari e Regione Puglia per voto di scambio e che ha portato alle dimissioni l’assessore Maurodinoia e la rottura del campo largo, ci aspettavamo che il presidente Emiliano venisse in aula per assumersi la responsabilità politica di quanto stava accadendo. Ci aspettavamo», aggiungono i consiglieri di Fdi, «che la presidente del consiglio, Loredana Capone, comunicasse che Maurodinoia avesse lasciato il gruppo del Pd per aderire al misto, anche per dar seguito alle sue dimissioni dalle cariche del partito, dove è stata eletta, tenuto conto che i fari della Procura di Bari sono accesi anche sulle Regionali del 2020. Invece, nulla: Emiliano assente e la Maurodinoia sempre parte del gruppo del Pd».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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